Trecentomila passi per il Monte Bianco
Nel 1990 fu realizzata un’unione senza cavi e funivie, scrivendo con i corpi le parole “Pour le Parc” sulla neve. Dieci anni dopo viaggio-staffetta da Torino. Di Enrico Camanni
Se si cerca su internet“Parco del Monte Bianco”vengono fuori le seguenti voci: Parco giochi Skyway, Parco avventura Mont Blanc, Parchi divertimenti Courmayeur, Monte Bianco area turistica: sport, sci e relax, Domaine skiable Mont Blanc.
All’epoca avevamo tutta un’altra idea: il parco doveva servire a proteggere la montagna più alta e famosa d’Europa, minacciata dai progetti speculativi e soprattutto dalla banalizzazione.
C’era stato un precedente, sempre a firma Mountain Wilderness, il 16 agosto 1989. Precisamente un anno dopo l’”attacco” di Messner e compagni all’impianto della Vallée Blanche, i militanti italiani e francesi erano saliti in funivia alla Punta Helbronner e all’Aiguille du Midi.
Dalle due cime si erano inoltrati sul ghiacciaio, camminando in direzioni opposte e incontrandosi a metà strada. Così avevamo realizzato la liaison ecologica del Monte Bianco, un’unione senza cavi e funivie, scrivendo con i nostri corpi le parole “Pour le Parc” sulla neve. Già chiedevamo a gran voce l’istituzione del parco internazionale, un progetto di cui tutti parlavano da anni e anni, e di cui non importava niente a nessuno. Fare un parco della montagna più alta delle Alpi avrebbe significato salvaguardarne il significato simbolico e promuoverla a monumento europeo, abbattendo le barriere che separavano (e ancora separano) Italia, Francia e Svizzera.
Perché il progetto non cada definitivamente nel dimenticatoio, dieci anni dopo, alla vigilia del nuovo millennio, mettiamo in piedi una manifestazione più organica e ambiziosa, che si prefigge di incuriosire i giornali, generare buona stampa e, di riflesso, destare dal sonno politici, intellettuali e opinione pubblica. Ci sembra corretto, visto che siamo alpinisti, che il mezzo di denuncia siano i piedi e il camminare. Alle estremità del viaggio-staffetta collochiamo la grande città e la cima della montagna: da Torino al Monte Bianco attraverso il Parco nazionale del Gran Paradiso.
«Repubblica» coglie parte del messaggio pubblicando sulle pagine nazionali un commento sul “caso” e confrontando la nostra staffetta (di podisti, escursionisti e alpinisti) al keniota Michael Werike «che cammina per sei mesi tra Usa e Canada per chiedere la salvezza del rinoceronte nero» e all’artista ceco Frantisek Skala che va a piedi da Praga a Venezia per «chiedere l’indipendenza integrale». Anche la nostra è un’impresa d’altri tempi, di quando si partiva a piedi o in bicicletta per raggiungere le montagne, ma è anche un’impresa futuristica perché guarda al futuro del mondo, alla sostenibilità della nostra presenza e dei nostri giochi. Simbolico anche il gesto del testimone, passato, ai piedi del Monte Bianco, dai podisti agli alpinisti. Il mondo deve investire in staffette, unendo, non dividendo.
Oltre duecento simpatizzanti di MW e Italia Nostra partono dal centro di Torino il 24 luglio 1999 e in una fantastica giornata di sole raggiungono a piedi Ceresole Reale, dove si discute della chiusura al traffico della strada del Nivolet. Il 25 si prosegue per La Thuile attraverso i colli, il 26 per la Val Veny e finalmente, il 27 luglio, una cordata internazionale di 37 alpinisti sale in cima al Monte Bianco per la via normale italiana.
La manifestazione è un successo di idee, collaborazione e amicizia, anche se non cambia i destini del Monte Bianco. Il parco non si farà, non si uniranno gli sforzi progettuali di Italia, Francia e Svizzera, e soprattutto si continuerà a pensare la montagna come un grande attrattore turistico, ignorandone le fragilità e le valenze simboliche. Courmayeur diventa sempre più città, Chamonix è un caotico crocevia di genti, la Svizzera resta chiusa nel suo splendido isolamento.
Enrico Camanni