Turismo senza sci
Valle di Braies, 16 agosto 2018: picco annuale di 17.474 presenze giornaliere, quando il limite di carico turistico suggerito non supera le 6.000 persone al giorno. Nell’estate 2019 si registrano nell’area quasi 400.000 visitatori nel solo mese di agosto, la Provincia autonoma di Bolzano decide di vietare il transito alle automobili contribuendo a far crescere le visite addirittura del 30%. Per l’estate 2020 la Giunta altoatesina vara un piano per garantire l’accessibilità al lago e limitare la possibilità di sovraffollamento, ci si aspettava di contenere le presenze sul sito naturalistico in un massimo di 4.500 visitatori al giorno (lo scorso anno ne sono state registrate in media 7.000) ma le restrizioni e le limitazioni alle automobili messe in campo dalla Provincia di Bolzano non sono riuscite ad evitare gli assembramenti “mordi e fuggi”.
Venezia, che già aveva annunciato dal 2022 l’introduzione del “numero chiuso” e multava chi si fermava a consumare cibi o bevande su suolo pubblico, si è ritrovata deserta ad inveire contro scelte che hanno portato la popolazione residente dai 170.000 degli anni ’50 agli odierni 50.000. Lo spopolamento non colpisce solo la montagna.
La scorsa estate masse di vacanzieri si sono riversate sulle nostre montagne: causa covid non si poteva viaggiare all’estero, in alcuni periodi nemmeno uscire dai confini della propria regione o addirittura della provincia, ed allora si sono riscoperti i “prati di casa”, compensando largamente la mancanza di turisti stranieri ma evidenziando palesi criticità. Gli operatori turistici locali sono stati ovviamente soddisfatti di una simile boccata di ossigeno a livello economico, ma per lo più hanno convenuto che una pressione turistica così forte sul territorio non può essere sopportata a lungo.
Forse la politica del turismo va rivista. Anche quello invernale. Ora si parla di “danno irreversibile” per la chiusura forzata degli impianti, ma nulla è irreversibile se non la morte e questo rispetto lo dobbiamo ai tanti deceduti per covid; si può invece, e direi che si deve, riconvertire. Che non vuol dire chiudere. La pressione antropica sull’ambiente e il sistema di mobilità e modalità di accesso ai siti, che hanno contribuito -insieme ai ritrovi mondani- a far ripartire la curva dei contagi dopo l’estate, non si sono riproposte quest’inverno solo perché siamo rientrati in lockdown nel tentativo di evitare ulteriori ripercussioni sanitarie, anche alla luce di quanto accaduto nel corso della famosa “prima ondata” come nel caso delle settimane bianche di Ischgl in Tirolo che hanno diffuso il virus in mezza Europa.
Gli esperti di settore affermano che la tendenza per la prossima stagione è la “ricerca del piccolo”, basata sulla volontà di allontanarsi dai luoghi affollati, quindi si prevedono valori di turismo in crescita per le piccole località invernali considerate più sicure dal punto di vista sanitario, con clientela di prossimità. Allo stesso tempo si prevede un forte incremento della pratica dello scialpinismo e del cosiddetto “winter trekking”, le attività sportive invernali a ritmi lenti. Qualcuno se ne è già accorto, come ad esempio al Monte Bondone in Trentino (https://www.ladige.it/territori/trento/2020/12/08/bondone-senza-impianti-paradiso-skialper-slittini-ciaspole-tanta-gente?fbclid=IwAR14hAMvwgTyPxKnCVQdszHh6jZ28a5CcOC4LTsgsAA7A2CIZcHZeZGU2hU), altri rifiutano l’idea di perdere profitti ed insistono sulla politica dei grandi impianti. L’Appennino insegue le Alpi con progetti come il TSM2 al Terminillo, puntando a sottrarre “clienti” alle altre stazioni attraverso un vero e proprio saccheggio ambientale in un’ottica di concorrenza e non certo di alleanza. Un tempo si diceva “lavorare meno, lavorare tutti”: era il ’68, la ricerca di un benessere che riguardava più la qualità di vita che la disponibilità economica, sappiamo poi come sono andate le cose e quale visione abbia prevalso. Oggi ne vediamo i risultati, abbiamo fatte delle scelte e non serve lamentarsi, dobbiamo solo decidere se continuare su quel binario senza considerare le alternative possibili oppure se desideriamo cambiare qualcosa, per noi e per quelli che verranno dopo di noi. Dicevamo che nulla è irreversibile, esempi di buone pratiche già esistono, manca però quello spirito di comunità che ci consenta di aiutarci l’un l’altro e di farci sentire un unico territorio nazionale, pur nelle proprie specificità locali.
Il lago di Braies ha subìto un forte ed improvviso incremento di presenze a seguito della realizzazione di una serie televisiva ambientata nella zona: perché allora non realizzare programmi di informazione sulle diverse realtà turistiche e culturali del nostro territorio, su quelle che chiamiamo “eccellenze” ma che spesso sono solo normalità nascoste, e se questi programmi già esistono perché relegarli su reti e fasce orarie di nicchia anziché sulle reti “generaliste” che invece ci propongono all’unisono talkshow e programmi di intrattenimento? Forse la cultura non fa abbastanza audience? Forse l’italiano medio non è abbastanza intelligente e quindi il servizio pubblico si concentra su altro? Forse non siamo ancora un Paese?
Fabio Valentini