Una firma per le Apuane

Da alcuni giorni si trova on line una petizione per richiedere al Ministero dell’Ambiente l’istituzione del Parco Nazionale delle Alpi Apuane (http://chng.it/sq9kpXsn), in sostituzione di quello attuale regionale.
Il 21 gennaio 1985 la legge regionale n. 5 istituiva il Parco delle Alpi Apuane, un percorso partito molti anni prima con la raccolta di firme e la presentazione nel 1978 di una legge di iniziativa popolare per la sua istituzione. I sostenitori erano soprattutto nelle città della Toscana e quasi nessuno o pochissimi nei paesi arroccati sulle pendici di queste montagne.
Con la legge regionale 65/1997 si è poi proceduto a ridefinirne il perimetro, riducendone la superficie da circa 54.000 ettari agli attuali 20.598 ettari. In questo modo è stata salvaguardata la presenza delle cave marmifere, classificandole come “aree contigue”; una definizione che è un vero e proprio equilibrismo lessicale, ambiguo e fuorviante perché fa supporre che queste zone siano adiacenti al Parco, cioè esterne al suo perimetro, mentre si tratta in realtà di aree intercluse in esso.


L’ultimo censimento effettuato dall’Università di Siena conta circa 165 cave attive e 510 inattive, ma i numeri sono approssimativi perché la situazione è in continua evoluzione. Alcune cave sono in cresta, anche al di sopra dei 1.200 metri di altitudine (la cava di passo Focolaccia ha alterato il crinale ed abbassato il passo, già a m 1650, oggi 70 metri più basso), altre sono situate nei circhi glaciali o a ridosso di grotte accatastate, i cui ingressi sono spesso occlusi dalle lavorazioni, altre ancora hanno invaso con i detriti i torrenti, sepolto sorgenti (ad es. quella del canale del Giardino, sopra Ruosina) e geositi (le cosiddette Marmitte dei giganti, nella zona di Arni).
Dal 2011 le Apuane sono diventate un Geoparco sotto l’egida UNESCO. Le quattro caratteristiche fondamentali per un UNESCO Global Geopark sono: un patrimonio geologico di valore internazionale, un organo di gestione “adeguatamente attrezzato per l’intera area, con un piano di gestione che provveda ai bisogni sociali ed economici delle popolazioni, tuteli il paesaggio in cui vivono e conservi la loro identità culturale”, visibilità per stimolare il geoturismo e il cosiddetto networking, cioè la collaborazione con altri Geoparchi. Ogni quattro anni i valutatori dell’UNESCO visitano i Geoparchi per verificare il mantenimento del riconoscimento, le Apuane sono state riconfermate nell’agosto 2019. Come purtroppo abbiamo potuto constatare anche per le Dolomiti, l’UNESCO evidentemente non si interessa tanto della effettiva tutela del bene quanto del funzionamento dell’apparato di gestione del bene stesso.


Il Parco regionale nasce per tutelare un ambiente unico al mondo. Ma dov’è la tutela del Parco? Negli ultimi sette anni si contano oltre dieci raccolte di firme in difesa delle Apuane sui siti internet, decine di migliaia di persone hanno sostenuto queste campagne, evidentemente per l’opinione pubblica il Parco non fa bene il suo lavoro. Certo, nel Parco non ci sono solo rocce e montagne. Sulle Apuane sono censite 1.784 specie di flora delle 5.929 presenti in Italia, circa il 30% dell’intero patrimonio floristico italiano; sono presenti lupi, ungulati, rapaci ed avifauna varia, anfibi endemici come il Tritone alpestre apuano. Ci sono i monitoraggi, la didattica, tutti aspetti che danno valore alla gestione di un’area protetta, e che forse sono meno visibili all’occhio di un visitatore che viene distratto dalla impressionante visione delle cave.
La sensazione è che il Parco per la sua natura regionale risenta fortemente degli interessi politici ed economici locali, probabilmente questa è la motivazione alla base di questa nuova raccolta di firme. L’elaborazione del documento di Piano di Gestione del Parco, avviata nel 1996, è arrivata a compimento solo nel 2016 con la definitiva approvazione; vent’anni di gestazione che la dicono lunga sulle difficoltà di mettere d’accordo le varie componenti, dovendo interfacciarsi ad esempio con la normativa della Regione Toscana sui piani di attività estrattiva perché le cave sono nel Parco ma non sono nel Parco, perché le cave anche se non sono nel Parco rientrano nelle aree SIC e ZPS. Tanto che lo stesso Ente Parco naturale regionale delle Alpi Apuane ha chiesto, con la deliberazione Consiglio direttivo n. 2 dell’1 marzo 2019, di ottenere dalla Regione un’interpretazione di manica larga per l’attività estrattiva nella ZPS.


A livello ambientale, preoccupa anche l’inquinamento dell’acquifero contenuto all’interno degli anfratti carsici del massiccio. Dalle Apuane sgorga la più importante sorgente della Toscana; la presenza di marmettola (polvere bianca impalpabile residuo dell’attività di estrazione) e terre di cava determina un significativo degrado qualitativo dei corpi idrici. Inoltre la marmettola, per l’ecosistema, è inquinante per azione meccanica: riempie gli interstizi ed impermeabilizza le superfici eliminando gli habitat di molte specie animali e vegetali, modifica i naturali processi di alimentazione della falda, rende più rapido lo scorrimento superficiale delle acque (in pratica è come se il fondo del fiume fosse cementato), infiltrata nel reticolo carsico modifica i percorsi delle acque sotterranee e può essere causa del disseccamento di alcune sorgenti e/o del loro intorbidamento. Infine, un altro interrogativo inquietante: se per fare funzionare i macchinari di estrazione del marmo salgono alle cave centomila litri di olio l’anno e ne ridiscendono a valle solo ventimila, dove va a finire il resto?

Il Parco tutela il territorio, ma le cave sono lì, sotto gli occhi di tutti. Anzi no, non è nemmeno così, perché ormai molte cave si sviluppano nel sottosuolo. Non le vediamo, ma ci sono. E continuano a “mangiare” le montagne. Il Parco, con la famosa delibera del 2019 di cui sopra, ha stabilito che
“l’attività estrattiva condotta in sotterraneo, per la profondità degli scavi, non determina sempre e comunque interferenze con la tutela dell’avifauna presente in superficie, a differenza delle cave a cielo aperto” e che “il limite delle ZPS non può estendersi nel sottosuolo in maniera indefinita
secondo una proiezione verticale, di tipo geodetico”. Quindi, se non si può scavare in ZPS lo si può fare sotto le ZPS. Fino a quando le montagne non imploderanno, mancandogli il terreno sotto i piedi nel vero senso della parola, e allora l’unica firma che potremo apporre sarà quella sul
certificato di morte delle Apuane.

Fabio Valentini