Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso 2 di 4

Sempre con riferimento alla proposta di istituire una Montagna Sacra nel Parco del Gran Paradiso, proseguiamo con commenti e reazioni.

Massimo Manavella – gestore di rifugio
Io parlo da un altro mondo. Tieni conto che sono tre settimane oggi che non scendo per la spesa e che la spesa precedente l’avevo fatta tre settimane prima. E che domani saranno otto settimane esatte che il rifugio è chiuso ed io sono qui.
Pertanto, il mio pensiero non deve essere considerato rappresentativo.
A me la tua idea piace moltissimo. Io, fosse per me, prenderei la decisone in maniera arbitraria e poco democratica. Punto e basta.
Mi piace l’Idea di una Montagna Sacra, quindi inviolabile, perché va contro a qualunque ordine di pensiero moderno. In un’epoca nella quale tutto deve essere verificabile, controllabile e raggiungibile. Per noi tutto deve essere oggetto di studio e di valutazione, perché noi abbiamo la conoscenza, quindi il diritto ed il dovere di osservare per fornire spiegazioni.
Il rendere un luogo inviolabile, significa impedirne l’accesso. Quindi, automaticamente, fa venir voglia di andarci: perché siamo, tutti, degli sbruffoni arroganti.
Il rischio è appunto quello di suggerire, di far venire voglia di andarci. Un po’ come sappiamo essere successo in Himalaya.
Ma siccome è bello provarci, per me è un’ottima idea.

Edoardo Martinetto – ricercatore universitario, professore aggregato
Spero vivamente che l’idea di delimitare una Montagna Sacra nelle Alpi occidentali, “per tutte le genti e per tutte le fedi”, possa riscuotere consensi e ottenere un grande successo. Per me e per i miei studenti universitari, che portavo spesso in ambiente alpino prima del Covid-19, rappresenterebbe un punto estremamente notevole, da osservare da lontano e da apprezzare quale materiale didattico inavvicinabile, ma probabilmente in grado di trasmettere curiosità per la conoscenza naturalistica di tutto ciò che gli sta intorno e impegno per garantirne il futuro.

Giuseppe Mendicino – scrittore, dirigente comunale
Non salirci mai? Sono perplesso. Io sono per ampliare i parchi, e sostenerli in tutti i modi. Ricordare di più uomini come Videsott anche. I limiti sono importanti, sarei già felice se venissero rispettati i limiti utili a non danneggiare le montagne e la natura tutta. Ma purtroppo va sempre peggio.

Roberto Menzio – gestore di rifugio
Mi sembra una bellissima idea.
Mi sembra una bellissima idea. La sacralità della Montagna è un tema ben conosciuto da chi in montagna ci va e da chi la montagna la ama. La sacralità per me è la salita. Sono il rispetto, il silenzio e la fatica. Faccio fatica a pensare ad un monte sacro e per questo chiuso all’uno.
Come concretizzare?

Luca Mercalli – Presidente Società Meteorologica Italiana
Per me l’idea è buona.
Hai già un’ipotesi di quale vetta potrebbe trattarsi?

Franco Michieli – geografo, esploratore, scrittore
L’idea che il Parco possa presentare una montagna sacra mi pare molto interessante, ma molto dipende da come la si pensa e propone.
La mia riflessione è questa: il “sacro” imposto dalle autorità è una caratteristica della storia umana, ma è un tradimento del significato originario di ogni corrente spirituale, che in genere nasce come rivoluzione e conversione della persona, per libera scelta. Anche nel caso di immaginare una montagna sacra dovremmo quindi evitare che sia un’imposizione dall’alto, ma pensare a come possa essere uno stimolo per un cambiamento di visione per chi ne viene a conoscenza o la avvicina. In particolare, dopo questi mesi di divieti e di clausura a causa del coronavirus, che potrebbero anche ripetersi più volte, aggiungere un divieto di accesso a una montagna, anche se misconosciuta e poco frequentata comunque, creerebbe una reazione di contrarietà e di opposizione tra le comunità locali e tra gli alpinisti. Secondo me la soluzione potrebbe essere molto più elevata e innovativa: si potrebbe individuare un monte che si sceglie come simbolo del rispetto dell’uomo per la sacralità della natura, dove ciascuno si trovi di fronte a un bivio. Accogliere la proposta, fermarsi e non andare oltre la contemplazione del luogo, divenendo con questo gesto co-creatore della sacralità; oppure rifiutarla e penetrare nel luogo, cosa che non sarebbe proibita, ma che significherebbe porsi e mostrarsi come dissacratore. Non punterei sulla creazione di un’area di protezione integrale, che pure la legge quadro prevede, ma utilizzerei la zonizzazione come già è.
In gioco sarebbe dunque la nostra coscienza, non la legge. Ciò potrebbe creare una crescita nel tempo di rispetto per quella sacralità costruita da continue scelte libere, e di riprovazione per chi manca di sensibilità per un bene superiore e sceglie di non riconoscere un limite. Non un divieto, insomma, che spingerebbe all’istante innumerevoli individui a volerlo violare per principio, anche se di quel monte non avevano mai sentito parlare prima, ma una sfida spirituale di ben altro respiro. Se un’idea così parte, potrebbe anche essere copiata in molti altri parchi; potrebbe anche divenire un motivo di attrazione escursionistica per località che faticano a far partire un turismo sostenibile, in quanto camminare verso il monte sacro e poi fermarsi a contemplare ciò che abbiamo scelto di non consumare potrebbe venir riconosciuto come un bisogno diffuso e benefico nella società di oggi.
Naturalmente ci vorrebbe un’attenta ricerca del monte adatto per questa proposta. A mio parere vanno esclusi tutti i monti che per tradizione o qualità del terreno si prestano bene all’alpinismo e all’arrampicata, o sono meta di frequentate ascensioni escursionistiche. Meglio un monte di rocce friabili e versanti impervi, non raggiunto in cima da alcun sentiero. Ciò fra l’altro lo renderebbe interessante da un punto di vista ambientale perché adatto al soggiornare di molti animali selvatici. Dovrebbero però esserci sentieri che si avvicinano e che permettono di osservarlo, in modo che con la sacralità del luogo si possa stabilire una relazione. Inoltre direi che il monte dovrebbe essere a vista da un casotto delle guardie, perché comunque bisogna garantire che le normali norme di comportamento del parco vengano rispettate anche da parte di eventuali “dissacratori”; inoltre le guardie avrebbero il compito di favorire la comprensione dell’iniziativa da parte degli escursionisti. Appositi pannelli lungo i sentieri di avvicinamento dovrebbero spiegare e chiarire con linguaggio accattivante la presenza dell’iniziativa e sottolineare la libertà della scelta, che diviene apprendimento per un approccio complessivo più responsabile verso la vita sulla Terra.

Adriana My – Italia Nostra
Mi sembra un’ottima idea. Approfondiamola e rendiamola concreta.

Federico Nogara – esperto in economia e gestione del territorio
Un passo invalicabile non è un limite alle nostre azioni, ma uno spazio infinito in cui possiamo esercitare i nostri sensi e la nostra conoscenza.
Un luogo inaccessibile ci richiama al confronto con “altro” che non siamo noi.
La natura lasciata a se stessa ci ricorda che non ci necessita e che, perciò, noi siamo parte di essa.
La preclusione ci insegna rispetto.
Una zona vietata ci dice sommessamente che la natura, come del resto noi che ne facciamo parte, ha bisogno di riposo.
Molti popoli dall’antichità ad oggi posseggono nella loro cultura uno spazio “sacro”, dal giardino dell’Eden alla selva oscura di Dante, alle montagne simboliche degli indiani d’America.
Perché, allora, non riservare –o dimenticare- qua e là dei luoghi di natura inafferrabili per pensare, riflettere e imparare?