Vie ferrate
All’alba del 6 maggio 1993, con una spettacolare azione a sorpresa alcuni attivisti di MW (in seguito denunciati, processati ed infine assolti) smantellavano i primi 200 metri della ferrata denominata “Che Guevara” sulla parete est del Monte Casale, nella valle del Sarca in Trentino, realizzata tre anni prima da un privato senza le necessarie autorizzazioni. Una targa in legno apposta nel 1997 alla base della ferrata Bolver-Lugli alle Pale di San Martino, una via attrezzata costruita sul tracciato della salita alpinistica originale del 1921, è “sparita” in seguito ad un intervento di manutenzione delle Guide Alpine di San Martino. Nel 2000 il progetto Vie Normali, un invito a rinunciare alla falsa sicurezza dei cavi metallici per riscoprire le arrampicate in vetta con bassi livelli di difficoltà organizzate dai nostri attivisti, ha accompagnato una campagna di censimento delle vie ferrate con oltre 40 itinerari percorsi e valutati; sembrava cosa fatta la realizzazione di un tavolo di lavoro comune tra CAI e MW, ma poi non c’è stato alcun riscontro positivo.
Solo sulle Dolomiti se ne contano circa 150; alcune hanno una valenza storica o paesaggistica riconosciuta, la maggior parte sono nate a scopo turistico o sportivo. Negli ultimi decenni i percorsi attrezzati hanno conquistato tutte le Alpi, le ferrate “alla francese” sono costruite principalmente a scopo ludico, generosamente attrezzate con cavi, maniglie, staffe e, se possibile, un ponte tibetano sospeso nel vuoto per un divertimento estremo. Sugli Appennini la loro presenza è meno invadente, ma le troviamo dalle Apuane al Gran Sasso, dall’Emilia alla Sardegna.
Negli anni questo argomento in MW è progressivamente uscito dal centro dell’attenzione, in parte per concentrarsi su altri pressanti problemi dell’ambiente montano, ma non solo. Il tema delle vie ferrate da sempre ha diviso gli amanti della montagna: chi le apprezza, chi ritiene si tratti di un problema “minore” e chi le condanna come diseducative e pericolose. Alcuni percorsi sono diventati dei classici, ormai appartengono al patrimonio della montagna; la maggior parte delle ferrate esistenti sono state invece realizzate per aumentare la frequentazione di pareti spesso riservate alla pratica dell’alpinismo e del tutto innaturali per l’escursionista, senza troppo curarsi dei risvolti legati al pericolo per le persone e alla tutela degli ambienti attraversati.
Sul piano etico, nessuno pensa che chi utilizza una via ferrata compia automaticamente una azione riprovevole; però non possiamo fingere di ignorare la pericolosa mistificazione che induce l’escursionista a credere che quelle monotone sequenze di cavi metallici e scalette rappresentino per lui l’unica possibilità di avvicinarsi alle emozioni della montagna verticale, mentre in realtà dalla vera esperienza della montagna lo allontanano. Sul piano giuridico, la via ferrata si configura come un’opera di ingegneria civile e come tale deve essere progettata da un tecnico abilitato, deve tenere conto dei vincoli paesaggistici con analisi del rischio geologico e di impatto ambientale per la scelta dell’itinerario, con un’attenta analisi tecnica dei materiali più idonei e una corretta manutenzione al fine di salvaguardare l’incolumità dei frequentatori. Se dell’etica si può discutere argomentando il proprio punto di vista, la legalità non è un’opinione.
Fabio Valentini