White Wilderness

Di Reinhold Messner, pubblicato sul bollettino di Mountain Wilderness, gennaio 1989.
“Questo articolo fu pubblicato proprio quando cominciava a diffondersi il concetto di wilderness anche nell’Europa meridionale, cioè quando Mountain Wilderness aveva soltanto pochi mesi di vita.
Il bollettino di Mountain Wilderness pubblicò White wilderness senza esitazione, nella convinzione che in queste poche ma solide righe ci fosse l’inquadramento della necessità dell’individuo moderno di essere via via sempre più cosciente del suo appartenere alla Terra, nell’abbandono sempre più opportuno della convinzione che vorrebbe l’opposto.
La sensibilità di questa nuova visione comprendeva e integrava perfettamente le Tesi di Biella, formalmente più legate alla sola “salvaguardia tecnica” dell’ambiente naturale, senza alcun accenno a quell’ecologia del profondo che Arne Næss aveva delineata in campo filosofico meno di una quindicina di anni prima (1973)”
. Alessandro Gogna.


1988.08 Entreves , Mountain Wilderness agosto 1988. Pinelli e Messner

White Wilderness

Contrariamente alla scienza, ove nuove cognizioni del mondo sostituiscono quelle antiche, l’uomo a contatto con l’ambiente selvaggio si appropria della realtà mediante una visione soggettiva.

L’uomo, nel corso dei secoli, ha sempre eletto santi e intoccabili alcuni luoghi che egli aveva riconosciuto particolari. Lì vivevano gli dei, lì vi era il nulla, proprio lì era la conoscenza, in genere nascosta e accessibile solo agli eletti. All’inizio di questo secolo l’uomo si assunse il compito di esplorare gli ultimi luoghi selvaggi della terra.

Le macchie bianche sulle carte geografiche erano così condannate a scomparire e oggi, grazie alle smisurate e molteplici possibilità offerte dalla tecnologia, l’uomo arriva dappertutto e apre quei luoghi sacri ad attività molto profane. È così che a poco a poco si distrugge un ambiente che invece potrebbe essere una grande “Università per poveri di spirito”, una grande chiesa naif. Non ha più senso oggi la conquista dell’inutile. Soltanto se rinunciamo a ogni forma di conquista, allo scopo di conservare ciò che è solo apparentemente inutile, ci rimane una chiave per capire chi siamo e dove andiamo.

White Wilderness. Foto: Sergio Ruzzenenti.

Da questo punto di vista, esplorare e “vedere” saranno due attività che si escludono a vicenda, proprio perché le curiosità del singolo verso se stesso e il mondo si inaridiscono allorché ciò che è intorno a noi si rivela completamente.

Ecco perché abbiamo bisogno, ora più che mai, di una Wilderness inesplorata. Forse un tale modo di vedere può apparire assurdo, ma a chi attribuisce all’ambiente selvaggio un valore ricreativo e conoscitivo apparirà certamente sensato: e solo il singolo individuo potrà riconoscere questo senso. In tal modo si origina, ogni volta, un quadro unico e intuitivo della realtà e finalmente il singolo individuo potrà “misurarsi”, cioè riconoscere lo scopo della sua singola esistenza.

Le macchie bianche sulle carte geografiche, i monti senza funivie, senza segnaletiche di sentieri, i deserti senza strade, le foreste vergini, tutto ciò è White Wilderness.

White Wilderness. Foto: Sergio Ruzzenenti

Anche per noi, uomini del Duemila, le macchie bianche devono essere sacre come lo erano per gli antichi, perché sono un frammento di creazione originaria.

La conoscenza intuitiva del cosmo, la sua infinità e la sua limitatezza, la sua dolcezza e la sua crudeltà, e infine tutto ciò che di verità è in esso, possono sopravvivere solo se andremo incontro a questi frammenti del mondo, le White Wilderness, come Uomini e non come uomini-macchina e solo se le difenderemo per le future generazioni con la stessa forza con cui vorremmo difendere la nostra terra d’origine.