Aronte, simbolo delle Apuane

Le Apuane e la storia del bivacco Aronte divenuto simbolo per la lotta della sopravvivenza di queste montagne.
Di Fabio Valentini

La storia racconta che Aronte fu un potente indovino nato a Luni al tempo della Roma di Cesare (50 a.C circa), considerato “un uomo saggio che testimoniava nei secoli il nascere e tramontare di ogni vicenda umana” e citato da Dante nella Divina Commedia. Per la leggenda invece Aronte era un gigante che aveva il compito datogli dagli Dei di difendere le Alpi Apuane dagli attacchi dei nemici che provenivano dal mare, e quando i primi cavatori salirono per estrarre il marmo e ferire la montagna scese a valle per impedire agli uomini di rovinare questi meravigliosi monti; alla sua morte le Apuane vollero dimostrare ingratitudine e inimicizia alla gente che abitava sulle coste, volgendo verso il mare le loro pareti più scoscese ed inaccessibili.

Il bivacco Aronte in inverno

A questa figura fu intitolata la capanna-rifugio Aronte, costruita nel 1901 ed inaugurata il 18 maggio 1902 dalla sezione Ligure del CAI; si tratta del più antico rifugio delle Alpi Apuane ed anche il più alto in quota, a 1642 m di altezza ai piedi del Monte Cavallo nei pressi del Passo della Focolaccia. La struttura ha un’architettura a sesto acuto, un solo ambiente con cucina a legna e due tavolati sovrapposti per dormire, può ospitare fino a dieci persone: dimensioni 4×6 metri, altezza circa 4 metri. Insiste su un terreno di circa 100 mq, all’epoca in piena disponibilità del Comune di Massa e donato al CAI di Genova; il bivacco venne abbandonato negli anni ’70 ed in seguito ceduto in comodato nel 1988 al CAI di Massa, che lo restaurò nel 1989 e nel 2002.

Il rifugio si trova a ridosso di una delle cave di marmo più controverse delle Apuane: la cava Piastramarina al Passo della Focolaccia, emblema dell’impatto dell’attività estrattiva. Situata all’interno dell’area del Parco Regionale delle Alpi Apuane, in una sella di origine glaciale posta ben al di sopra dei 1200 m di quota contemplati dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per la tutela dei beni paesaggistici in Appennino, la cava non avrebbe ragione di esistere in un paese normale. Ma il buon senso non è di questo mondo. Sulla cava della Focolaccia si è vanamente esercitata la magistratura nel ‘92 e nel ‘94; la Legge regionale 52/94 ha avuto l’esito di un condono; nulla ha potuto l’esposto-denuncia alla Procura di Lucca, presentato nel 2000 da 18 associazioni; la direzione del Parco nel 2003 ha dato parere positivo rispetto alla compatibilità ambientale della cava. In una continua lotta a colpi di carte bollate che avrebbe sfiancato anche il gigante, la cava è stata più volte chiusa e riaperta (l’ultimo stop in ordine di tempo risale all’autunno scorso) e tra le pieghe della questione è rimasto invischiato anche il rifugio.

Cava Piastramarina al Passo della Focolaccia

Nel 2006, per un errore materiale sulle cartografie (o almeno questa è la giustificazione ufficiale), il Comune autorizzò un’escavazione nell’area marmifera della Focolaccia che comprendeva anche il terreno su cui poggia l’Aronte. Il rifugio si trovò quindi di punto in bianco non più su terreno comunale, ma in piena area di cava. Quando alcuni anni dopo si avviarono le pratiche per far riconoscere l’Aronte come edificio storico tutelato dalla Soprintendenza, l’inghippo venne alla luce e si chiese di rimediare. Ma qualcuno non si è mai rassegnato. Nel novembre 2019 il Consiglio Comunale di Massa approva una variante al Piano acustico che declassa l’area del rifugio Aronte da classe acustica 1 (aree particolarmente protette, nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione) a classe acustica 6 (aree esclusivamente industriali, prive di insediamenti abitativi). Come mai? Con tutta probabilità la classificazione è funzionale alla riapertura della cava al passo della Focolaccia: la quiete dell’Aronte disturberebbe l’escavazione…

Nel Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) approvato dalla Regione Toscana nel 2015, che ha anche la valenza di piano paesaggistico, l’area delle Alpi Apuane è ampiamente destinata ad attività di cava in essere e/o potenzialmente riattivabile o attivabile ex novo (il censimento delle attività estrattive sulle Alpi Apuane condotto dall’Università degli Studi di Siena – Centro di Geotecnologie avrebbe portato a individuare ben 165 cave attive e 510 cave inattive potenzialmente riattivabili); l’apertura di nuove attività estrattive e la riattivazione delle cave dismesse è subordinata alla predisposizione ed attuazione dei Piani Attuativi dei Bacini Estrattivi (PABE), dei quali trapelano le prime cifre che indicano sostanzialmente quanto marmo potrà essere estratto, dove si potrà scavarlo e come si dovrà scavare. Il 50,6% del volume massimo scavabile interessa cave a cielo aperto, il 49,4% riguarda invece una serie di cave sotterranee. Il Comune di Massa consente per i prossimi dieci anni ai concessionari di cava di scavare 3 milioni e 355 mila metri cubi di marmo, qualcosa come 13 milioni di tonnellate. Sette cave inattive saranno riaperte: tra queste, naturalmente, la cava Piastramarina che nell’ultimo piano estrattivo (versante Minucciano), con il benestare del Parco, prevede una galleria in direzione dell’Aronte, in piena area ZPS.

Bivacco Aronte

In difesa del piccolo gigante delle Apuane è partita una grande mobilitazione. Lo scorso 4 gennaio a Massa duemila persone si sono radunate, chiamate a raccolta per testimoniare da che parte stare. Il presidente del Gruppo Regionale CAI Toscana, in una lettera al presidente CAI nazionale, riassume così lo stato delle cose: “Il livello di aggressione alla montagna, già molto diffuso, sta aumentando senza nessuna attenzione alla sostenibilità ambientale. E’ la prima volta, dopo circa venti anni, che il CAI prende una iniziativa così “forte”. In questi anni ci siamo battuti con dibattiti, convegni, incontri e confronti diretti, osservazioni di ogni tipo, con il primo obiettivo di richiedere almeno il rispetto delle leggi vigenti. Ciò non è più sufficiente, perché l’arroganza delle imprese, i comportamenti illegali, la tolleranza delle amministrazioni superano ormai ogni limite, anche nei confronti di azioni di magistrati locali attenti alle vicende del territorio e alle iniziative di controllo dei carabinieri forestali che hanno portato solo a erogare le previste sanzioni, irrisorie rispetto al volume di affari del comparto”.
Tanto ci sarebbe ancora da dire sulle Apuane, ma qui vogliamo parlare di Aronte, il saggio testimone nei secoli, che rischia di finire inghiottito da una cava. Un simbolo di resistenza, come traspare dalle parole di Franca Leverotti: “L’Aronte è la sentinella delle legalità e sarà oggi la cartina di tornasole che ci permetterà di verificare quanto interessa il rispetto della legge ai nuovi consiglieri comunali e quanto la distruzione del territorio a vantaggio di pochi”.

Per saperne di più:
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Fabio Valentini