L’ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio.
Di Alessandro Graziadei. Copyright: Unimondo
Nonostante le devastanti piogge che in questi giorni stanno flagellando l’Italia, la siccità nel nostro Paese sta diventando un fenomeno sempre più strutturale e sempre meno emergenziale. Per questo durante il 27esimo Consiglio dei ministri dello scorso 6 aprile il Governo Meloni ha approvato il decreto legge Disposizioni urgenti per la prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche, la cui cabina di regia è stata affidata al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, da sempre piuttosto tiepido davanti all’allarme rovente del cambiamento climatico, tanto da votare nel 2016, come eurodeputato, contro la ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima. Il decreto mira, attraverso un regime semplificato per le procedure di progettazione e realizzazione delle infrastrutture idriche, a introdurre “specifiche misure volte ad aumentare la resilienza dei sistemi idrici ai cambiamenti climatici e a ridurre dispersioni di risorse idriche”, una sfida non semplice visto l’incerto processo di decarbonizzazione e lo stato dei vetusti acquedotti italiani che disperdono oltre il 40% della risorsa idrica che trasportano. L’aumento dei volumi utili degli invasi, la possibilità di realizzare liberamente vasche di raccolta di acque meteoriche per uso agricolo entro un volume massimo stabilito, il riutilizzo delle acque reflue depurate per uso irriguo, l’introduzione di semplificazioni nella realizzazione degli impianti di desalinizzazione saranno alcune delle più urgenti misure che per il Governo dovranno trovare “Immediata attuazione”.
Il decreto varato dal Governo ha però trovato la netta opposizione delle principali associazioni ambientaliste italiane. Per Cipra Italia, Cirf, Deafal, Dislivelli, Federazione nazionale pro natura, Federparchi, Free rivers Italia, Italia nostra, Legambiente, Lipu, Mountain wilderness e Wwf Italia “La crisi climatica e la siccità vanno affrontate subito e in maniera realmente efficace. Non servono slogan e soluzioni estemporanee, ma interventi integrati che vadano oltre l’emergenza mettendo in campo una politica idrica che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici”. Secondo queste associazioni, che hanno diramato un appello pubblico indirizzato al Governo, l’attuale risposta basata esclusivamente su interventi infrastrutturali, su un’estensione dell’approccio commissariale e su un’ulteriore artificializzazione del reticolo idrico, appare “assolutamente inadeguata”.
Per gli ambientalisti “Non servono Piani straordinari concepiti sull’onda emotiva dell’emergenza“. Le procedure straordinarie possono aiutare ad affrontare l’emergenza (dare priorità agli usi civili indispensabili e alla tutela ambientale, a quali colture salvare, fino a che punto e con che criteri indennizzare chi subisce danni dalla siccità), “ma assolutamente non sono lo strumento per prendere decisioni riguardanti le politiche infrastrutturali e di lungo periodo; abbiamo bisogno di una pianificazione “ordinaria” che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici”. Gli ambientalisti ritengono addirittura “preoccupante l’approccio centralizzato e impositivo” del decreto Siccità, che intende ricorrere a poteri sostitutivi (come previsto dall’art. 2) per intervenire d’urgenza superando le eventuali perplessità degli enti territoriali interessati. Dal punto di vista pratico poi “Disseminare il territorio di nuovi invasi non è la risposta. Nessuna opposizione ideologica, ma sono una soluzione che ha molte controindicazioni per cui è semplicemente scriteriato affidarsi esclusivamente ad essi, soprattutto se non si tratta più dei “laghetti” collinari di piccole dimensioni richiesti da alcune associazioni di categoria bensì di vere e proprie dighe”. Occorre invece partire dal presupposto “Che il luogo migliore dove stoccare l’acqua è la falda, ogni qual volta ce n’è una” e “mettere in campo una strategia nazionale integrata a livello di bacini idrografici, ampliando il ventaglio delle soluzioni praticabili oltre gli invasi: riduzione delle perdite idriche e dei consumi civili, ma soprattutto un cambio sul fronte agricolo, promuovendo il riuso in ambito irriguo delle acque reflue, orientando al contempo agricoltori verso colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti (anche attraverso una intelligente rimodulazione degli strumenti di programmazione regionali della nuova Pac)”.
Davanti al cambiamento climatico e alla siccità esiste poi un’altra riflessione dettata non solo dal buon senso, ma adesso anche dalla letteratura scientifica. Secondo uno studio pubblicato il 10 aprile su Nature da un gruppo di ricercatori provenienti dalle Università di Uppsala, Amsterdam, Manchester e Reading i casi di siccità che si moltiplicano nelle città di tutto il mondo nascondono problemi di disuguaglianza ancor prima che di crisi climatica, che pure resta un fattore fondamentale. Come ha spiegatola ricercatrice Elisa Savelli dell’Università svedese di Uppsala “Il nostro studio sostiene che l’unico modo per preservare le risorse idriche disponibili è alterare gli stili di vita privilegiati, limitare l’uso dell’acqua per i servizi, nonché ridistribuire il reddito e le risorse idriche in modo più equo”, come a dire che le classi sociali più ricche spesso con grandi piscine, auto ben lavate e giardini curatissimi, stanno lasciando le comunità più povere senza un accesso di base all’acqua nelle città di tutto il mondo. Anche se lo studio è stato costruito sulle caratteristiche socio-economiche e idrologiche di Città del Capo, “Le dinamiche urbane-idriche modellate sono molto adattabili ad altre città caratterizzate da disuguaglianze socio-economiche e dove le famiglie hanno accesso a fonti idriche pubbliche e private”, ha spiegato la Savelli. “Non c’è nulla di naturale – ha concluso la Savelli – nel consumo e nell’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche da parte delle élite urbane e nell’emarginazione idrica di altri gruppi sociali. Le disuguaglianze idriche e le loro conseguenze insostenibili, sono soprattutto prodotti del nostro sistema politico-economico”.
L’unico modo per contrastare questi modelli insostenibili è cambiare questo sistema e reinventare una società in cui il consumo eccessivo elitario a spese di altri cittadini o dell’ambiente non sia tollerato. E mi torna alla mente una frase di Chico Mendes, molto cara al nostro direttore Raffaele Crocco, e oltre modo attuale: “L’ ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio”.