L’ambiente e il paesaggio sotto attacco del mini-idroelettrico

Un contributo di chiarezza da MW Friuli Venezia Giulia.

Il presente articolo vuole sinteticamente portare all’attenzione dell’opinione pubblica i problemi creati dal mini-idroelettrico che sta minacciando ambienti naturali e paesaggio, beni assoluti e non rinnovabili, i quali devono essere tutelati anche per le future generazioni che hanno tutto il diritto di godere di un ambiente integro e non compromesso dalle attività umane contemporanee.

Le centraline idroelettriche o derivazioni idroelettriche sono opere idrauliche per captare una parte del flusso di un corso d’acqua, sia esso fiume o torrente, e rientrano nella famiglia del cosiddetto mini-idroelettrico (meno di 3 MegaWatt installati). Si distinguono nettamente dall’idroelettrico tradizionale (ad esempio i grandi invasi alpini) per la tipologia, le dimensioni e l’impatto ambientale superiore. Il mini-idroelettrico è caratterizzato dall’opera di presa dell’acqua, che viene intubata per provocare un dislivello e di conseguenza l’energia dell’acqua viene trasformata in energia elettrica. Per realizzare l’impianto è necessario creare uno sbarramento al corso d’acqua e posizionare una condotta (spesso all’interno della roccia) che trasporta il fluido più in basso fino alla struttura dove alloggiano la turbina, l’alternatore e l’impianto elettrico.
La nostra attenzione cade sui problemi causati dall’installazione del mini-idroelettrico nei corsi d’acqua montani. Per meglio comprendere se sia opportuno realizzare questi impianti prendiamo in esame i cinque elementi principali: l’etica, l’ecologia, l’idro-geomorfologia, l’economia e il paesaggio.

L’etica
La dimensione etica è di estrema importanza in quanto queste opere sono molto spesso realizzate da aziende private o singoli cittadini, perciò si pone in essere un grosso problema etico legato all’interesse collettivo: che diritto ha un soggetto privato (ma anche pubblico) di sfruttare e compromettere un bene comune come l’ambiente naturale, l’acqua e il paesaggio?
Lo Stato, né tanto meno un soggetto privato, non hanno il diritto di compromettere l’ambiente naturale.
Se le opere idrauliche fossero realizzate da un amministratore locale (comune e azienda di servizi pubblici), previo il mantenimento del Deflusso Minimo Vitale (DMV), sarebbe più accettabile perché i benefici economici ricadrebbero sull’intera collettività e non nelle tasche di pochi privati. Ma la maggior parte di queste opere da realizzare o in fase di progetto appartengono a soggetti privati, le quali opere vengono anche sostenute dal fondo per le energie rinnovabili che attribuisce fino a 0,257 euro/KW prodotto. Contributo che le rende un investimento vantaggioso e sicuro, dato che in più c’è la garanzia dello Stato Italiano. Ma in tal senso lo Stato, inconsapevolmente, diventa complice e promotore anche della devastazione ambientale che accompagna la realizzazione di questi impianti idraulici, quando invece uno Stato responsabile dovrebbe tutelare l’ambiente e promuovere una cultura di conservazione della natura.

L’ecologia
Le opere di derivazione idroelettrica hanno un forte impatto sugli ecosistemi che sono legati ai corsi d’acqua, al bosco e a tutto l’ambiente che li circonda. Sono meno del 10% (fonte CIPRA, Comitato Internazionale di Protezione delle Alpi) i corsi d’acqua alpini che mantengono le condizioni di assoluta naturalità, cioè privi di derivazioni idroelettriche, captazioni irrigue ed alterazioni morfologiche. Questo dato suggerirebbe di tutelare al massimo il patrimonio idrico esistente e quindi di vietare ogni alterazione dei corsi d’acqua, ma purtroppo così non è, perché nessun vincolo è presente. Lo testimoniano le centinaia di progetti di derivazione idroelettrica presentati alle regioni e provincie in tutta Italia, anche in aree protette e parchi nazionali. La principale conseguenza della captazione idrica da un fiume è che gran parte di quell’acqua viene fatta scorrere in un tubo per un determinato tratto (anche diversi km) e la restante piccola parte dovrebbe essere destinata alla sua sopravvivenza, ma purtroppo, molto spesso non vengono rispettati i limiti che garantiscono il Deflusso Minimo Vitale (DMV), congruo al mantenimento degli ecosistemi acquatici e ripariali. Le conseguenze dovute alla perdita d’acqua provocano il cambiamento dell’habitat del torrente o fiume, non permettendo più ai pesci e microrganismi (alcuni specie di trote, gamberi di fiume ecc) di sopravvivere, inoltre si verifica il peggioramento della qualità delle acque dovuto al ristagno delle acque libere ed una conseguente eccessiva ossigenazione dell’acqua che scorre in condotta. Non da ultimo è necessario considerare l’impatto ambientale dovuto alle opere accessorie necessarie per la realizzazione dell’impianto, per esempio la costruzione di nuove strade forestali di accesso e lo smaltimento dei materiali di scavo, ecc. con conseguente compromissione dell’habitat boschivo e prativo. L’utilizzo di mezzi a motore provoca probabili intromissioni di specie botaniche invasive dovute al passaggio, oltre all’inquinamento acustico ed atmosferico. Sintetizzando, la realizzazione degli impianti ha un pesante impatto sulla biodiversità e sulle specie che ci vivono, in ambienti suscettibili di maggior tutela.

L’idro-geomorfologia
La mancanza d’acqua o la sua forte riduzione sul corpo del torrente o fiume limita fortemente il trasporto di detriti dalla montagna al mare, interrompendo l’equilibrio idro-geomorfologico. Questo comporta l’alterazione del regime idrico del corpo d’acqua e delle dinamiche deposizionali, con possibili conseguenze anche sulla sicurezza umana, in caso di eventi meteorologici eccezionali in cui flussi notevoli si trovino ostacolati dai sedimenti.

L’economia
Il mini-idroelettrico è sostenuto dallo Stato attraverso il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) con tariffe molto generose (fino a 0,257 euro/KW prodotto) per chi investe in questo tipo di fonte “rinnovabile” (purtroppo la devastazione dell’ambiente permane). Senza questi lauti contributi pubblici questo investimento non sarebbe possibile e redditizio. L’energia prodotta da tutto il mini-idroelettrico in Italia è pari allo 0,7% della domanda totale di energia elettrica annua (GSE, 2012). Questo dimostra molto chiaramente come la produzione elettrica di questi piccoli impianti sia molto bassa, pur essendo paradossalmente quella più impattante e presente sul territorio, considerando che le centrali già attive su tutto il territorio nazionale sono molte centinaia.
Un’osservazione di merito che viene spontanea, è che al posto di realizzare opere di questo genere sarebbe meglio dunque destinare le risorse pubbliche per opere strutturali e culturali per promuovere la diminuzione del consumo energetico dell’Italia. Probabilmente le risorse destinate a sostenere questo tipo di fonte di energia rinnovabile produrrebbero un calo del fabbisogno di energia maggiore dello 0,7%, se fossero destinati ad opere di miglioramento dell’efficienza energetica dei sistemi tecnologici, favorendo una cultura del risparmio energetico.
I privati che realizzano gli impianti di derivazione hanno la facoltà di compensare i comuni (e quindi i cittadini) per l’impatto ambientale derivante per un massimo del 3% del profitto realizzato, si deduce perciò che le misure compensative attribuiscono purtroppo solo le briciole ai cittadini, mentre la maggior parte dei profitti va in mano a privati, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.

Il paesaggio
Il patrimonio paesaggistico italiano dovrebbe essere motivo di orgoglio per tutti gli amministratori pubblici, ma anche tutelato e custodito dai suoi abitanti. Il paesaggio dovrebbe essere preziosamente conservato per il valore assoluto che possiede, elemento insostituibile delle radici culturali di ogni popolo. Ognuno dovrebbe sentirsi portatore di questo interesse e promotore di una cultura della tutela del paesaggio che ha anche importanti ricadute economiche, culturali e sociali. Le opere di derivazione idroelettrica hanno un pesante impatto visivo sul paesaggio, compromettendone l’integrità assoluta per un interesse economico che prevalentemente non è nemmeno collettivo. Il turista e l’abitante delle valli non avrebbero dunque più la possibilità di godere delle acque limpide dei torrenti perché intubati e dei magnifici paesaggi perché disseminati da infrastrutture decontestualizzate. L’influenza diretta la subirebbero anche tutti gli sport legati al corso d’acqua come canyoning e kayaking che si vedrebbero privati del loro elemento essenziale. Probabilmente se il paesaggio venisse tutelato e non svenduto a speculatori ci sarebbe un ritorno economico assoluto per molti, in primis per le amministrazioni locali che potrebbero promuovere orgogliosamente ambienti naturali e paesaggi integri con possibili ricadute turistiche a beneficio dell’intera collettività.

Le ragioni brevemente approfondite chiariscono che la realizzazione delle derivazioni idroelettriche non trovano una giustificazione razionale a proprio sostegno, delineandosi invece come una moderna forma di speculazione a scapito dell’ambiente, del paesaggio e di tutti gli esseri viventi che devono poter godere dell’integrità degli elementi.
Sia chiaro, questo vale anche per le opere che rispettano tutte le norme di legge, ma le cui conseguenze sono decisamente sottovalutate. Auspichiamo che le istituzioni, fino ad ora sorde al problema (ma non solo a questo), diventino parte attiva ponendo in essere una definitiva moratoria, a livello nazionale, per preservare anche quell’esiguo 10% di corsi d’acqua che ancora godono di estrema naturalità. Se le istituzioni non daranno una chiara risposta alla speculazione in atto, la tutela dell’ambiente verrà lasciata a carico della buona volontà dei volontari di associazioni ambientaliste e comitati locali come già avviene.

Citiamo due dei principali casi di speculazione che stanno avvenendo in Friuli-Venezia Giulia, quelli a scapito dei torrenti Arzino e Resia, ancora totalmente integri e tra i più belli d’Italia.
Per cercare di fermare la realizzazione delle centraline idroelettriche ed il conseguente scempio delle due valli sono state attivate due petizioni, che possono essere firmate solo dai nati o residenti in FVG, presso le sedi ed i referenti territoriali di Mountain Wilderness, Legambiente, WWF, Movimento Tutela Arzino e Comitato No Centralina Ponte Rop Resia.

Per informazioni:
friuliveneziagiulia@mountainwilderness.it