Linee guida proposte da Mountain Wilderness Italia sulla gestione forestale e la diffusione degli impianti di teleriscaldamento a biomasse.

Da tempo in Italia si discute sul potenziamento dell’utilizzo delle risorse boschive attraverso l’aumento della ripresa annuale, asportando più legna dai boschi. Le finalità di questa proposta per lo più fanno riferimento alla produzione di energia e calore attraverso le centrali a biomassa legnosa in alternativa all’utilizzo del petrolio e/o del metano (vedi Legge nazionale marzo 2018). Prima di affrontare specificatamente questo tema è necessario avere chiari alcuni obiettivi che vanno sostenuti nella gestione delle foreste nazionali.

Premessa


Si ritiene che il patrimonio boschivo italiano sia sottoutilizzato. Si tratta di quasi 12 milioni di ettari di foresta (60 anni fa erano 5,5 milioni) che potrebbero produrre di più, diffondere lavoro manuale e ricco di alte professionalità, contribuendo a ridurre lo spopolamento delle montagne. Si condivide e si auspica che una efficace e continua cura dei boschi permetta di garantire anche una migliore regimazione delle acque, aumenti la sicurezza idrogeologica dei versanti, sostenga attività ricreative e turistiche, recuperi conoscenze e identità specifiche delle montagne andate perdute. Nella riflessione si tenga presente che il nostro paese importa annualmente oltre 8 milioni di mc. di legname mentre dalle sue foreste ne ricava quasi 2 milioni a fronte di una potenzialità produttiva molto maggiore, più che doppia, senza intaccare il capitale oggi disponibile. Bisogna però tener presente che se da un lato la superficie boscata è aumentata (sempre però in riferimento al dopoguerra, quando i boschi erano al minimo storico), la massa per ettaro è nettamente inferiore a quella ottimale, circa 160mc/ha anzichè 300/400 mc/ha, come si potrebbe avere nei boschi maturi ed in equilibrio. E’ in questi boschi, ben strutturati che in Italia si è permesso il diffondersi di habitat adatti al gallo cedrone o una buona presenza di picchio nero, e più importante ancora aver mantenuto una discreta fertilità dei suoli forestali. Mentre in molti boschi d’oltralpe, dove si usa ancora il taglio raso a strisce e la pratica del rimboschimento, i boschi sono fragili e poveri di biodiversità.

Una rinnovata gestione del bosco


E’ importante quindi spingere verso una rinnovata gestione e una maggior utilizzazione del bosco, ma sempre perseguendo come prioritari gli scopi della sua stabilità ed evoluzione, unico modo per garantire tutti i servizi ecosistemici che una foresta fornisce, Il primo obiettivo fra i tanti è il potenziamento della biodiversità. Trovare un giusto equilibrio tra conservazione e corretta utilizzazione è la strada da seguire in quest’epoca di cambiamento in cui le foreste sono più importanti per le loro funzioni di assorbimento della CO2 o di mitigazione climatica e conservazione di habitat e biodiversità che non per la mera produzione di legname.
Mountain Wilderness ritiene che nella gestione del patrimonio boschivo nazionale pubblico e privato si debbano perseguire obiettivi strategici e inderogabili, salvaguardando innanzitutto la biodiversità come già detto e l’aumento di capacità di resilienza degli ecosistemi forestali, ricordando anche che i boschi, pubblici e privati, sono un bene comune.
La gestione selvicolturale del patrimonio deve individuare con chiarezza alcuni obiettivi irrinunciabili avendo ben presente l’insegnamento della tempesta Vaia del 29 ottobre 2018 nelle Alpi Orientali e in Lombardia, oltre a quanto sta accadendo al patrimonio forestale europeo sempre più frequentemente sconvolto da eventi calamitosi eccezionali causati dai cambiamenti climatici in atto (in Europa si valutano annualmente 38 milioni di mc. di legname schiantato da vento: attualmente, 2020, vi sono a terra o attaccati da parassiti oltre 100 milioni di metri cubi). Numeri drammatici che seguono, dal 1990 in poi, altri eventi calamitosi che hanno devastato le foreste del continente.
La selvicoltura deve garantire, attraverso una pianificazione obbligatoria diffusa, prima a livello di grande bacino e poi nel particolare, una gestione della risorsa legno più vicina alla naturalità possibile, quindi boschi disetanei e multispecifici;
L’obiettivo prioritario da perseguire deve essere quello di mantenere, consolidare e aumentare le funzioni ecosistemiche dei boschi;
Vanno sostenuti con forza i processi di rinnovazione naturale: laddove si interviene con impianti artificiali le essenze devono essere autoctone e provenienti da vivai locali (la loro gestione è ulteriore occasione di lavoro).
Si devono individuare, all’interno di una pianificazione regionale e nazionale, vaste aree di foresta vetusta (foreste non utilizzabili dal punto di vista economico destinate alla naturalità più assoluta e alla ricerca scientifica). Le zone di protezione vanno ampliate e riportate alla massima naturalità.
Anche nelle zone di produzione una eventuale minima gestione silvoculturale deve rivolgere attenzione al potenziamento della biodiversità sia in foresta che nelle aree aperte (prati – radure – pascoli);
Una pianificazione attenta deve investire nel potenziamento della fertilità dei suoli nel lungo periodo.
La pianificazione deve offrire risposta ad una gestione scientifica della fauna selvatica.
La gestione delle foreste deve essere integrata con l’insieme della pianificazione territoriale che individui le invarianti, le aree a rischio idrogeologico, franoso e valanghivo.
Non è più possibile permettere i tagli a raso e la meccanizzazione spinta nelle utilizzazioni come sta avvenendo in quasi tutti i paesi d’oltralpe con il fine di abbattere i costi della manodopera e garantire il massimo profitto a scapito della gestione sostenibile del bosco.


Si tratta di promuovere una gestione migliore più diffusa ed efficiente e garantire al tempo stesso delle modalità che non si inseriscano nel nuovo modello silvoculturale globale, dove anche il bosco ed il legno sono letti sempre più in una gestione industriale. Le attuali scelte anche a livello europeo si indirizzano purtroppo ad una utilizzazione precoce dei boschi con un accorciamento dell’età del taglio e un uso sempre più massiccio di mezzi meccanici, puntando ad investire nelle centrali a biomassa legnosa che hanno bisogno di massicci approvvigionamenti dai boschi. Questo modello segue delle logiche industriali, non naturali: basti pensare che nel momento che il soprassuolo boschivo viene abbattuto o anche solo ringiovanito si va a perdere un enorme mole di biodiversità che prima ne costituiva e ne condivideva lo stesso spazio fisico, definito dalla presenza degli alberi e improvvisamente dimezzato o completamente annullato.

Un prelievo selettivo

La gestione che MW si propone di sostenere deve invece essere attenta alle dinamiche naturali e salvaguardare l’ecosistema forestale prelevando l’interesse senza alterare, se non per fini migliorativi, la struttura del popolamento, cosa che è improponibile da attuare con la meccanizzazione spinta oggi proposta. Si tratta quindi di sostenere, incentivare, condividere una gestione naturalistica che miri a ricavare dal bosco materiale per costruzione e mobili, o nel settore edile, dove la CO2 immagazzinata dalle piante verrà stoccata per anni e anni, utilizzando solo gli scarti per gli imballaggi o le centrali a biomassa: queste ultime devono essere pianificate in base alla produzione locale e al materiale di risulta previsto. Per poter sostenere una tale gestione serve un incentivo pubblico dello stato e degli enti locali nei confronti di ditte locali specializzate dove alla quantità si sostituisca la qualità del legname, ma serve anche portare i cittadini a condividere e sostenere questo tipo di scelta: come avviene già nel comparto dell’agricoltura biologica, si preferisce sempre più acquistare prodotti italiani seppur più costosi sapendo di favorire la produzione locale, le ditte boschive del posto e nel contempo limitando le importazioni da paesi poveri dove i boschi vengono distrutti per alimentare il nostro mercato.
Una corretta gestione dei boschi italiani eviterebbe o limiterebbe le attuali, inconcepibili, massicce importazioni di legname dall’estero, importazioni che vanno a sostenere uno sfruttamento delle foreste sempre più intenso e che assume, ad esempio nei paesi dell’Est europeo, caratteristiche distruttive (forse attualmente il legno dall’est costa poco anche per le frequenti devastanti tempeste). Anche in termini solidaristici con gli altri paesi del mondo, oltre che per motivazioni economiche dirette, è necessario costruire nel nostro paese una filiera completa del settore legno, dalla prima lavorazione fino al prodotto finito facendo il possibile per mantenere e aumentare il valore aggiunto sui territori di produzione. Il potenziamento della gestione attiva delle nostre foreste va gestito con un piano straordinario nazionale, anche, come avviene in Germania, sostenendo le attività di cura del bosco fino al 90% dei costi. Tale progetto permetterebbe di mantenere e auspicabilmente diffondere in montagna l’attività dei boscaioli e degli addetti alla gestione del bosco (dalla manutenzione viaria alla vera e propria gestione selvicolturale), permetterebbe il recupero qualitativo di milioni di ettari di foresta, garantirebbe una maggiore sicurezza in montagna e dei relativi fondovalle, fino ad interessare sul tema le grandi pianure. Inoltre una gestione continua e scientifica dei boschi permetterebbe di diffondere e mantenere in montagna professionalità ad alto contenuto intellettuale sostenendo un continuo monitoraggio della salute delle foreste e la ricerca scientifica. Accanto a questa azione va affiancato un sostegno alla formazione continua nel lavoro (anche manuale, oggi affidato a macchinari con tecnologia complessa sempre in evoluzione), nella conoscenza dei valori ambientali e naturali propri dei singoli territori, implementando la consapevolezza delle motivazioni che reggono scelte innovative molte volte non comprese.
Una gestione attiva e scientifica del bosco andrebbe a beneficio anche della qualità della produzione fornita dalle aree di sfalcio e dei pascoli in quota: anche in questo caso si produrrebbe lavoro rivitalizzando i processi di potenziamento della biodiversità e quindi della qualità dei foraggi e degli alpeggi.
Si ritiene necessario e urgente che il nostro paese investa nella risorsa forestale energie economiche e sociali finora trascurate.
Va combattuta l’idea che lo spopolamento della montagna sia dovuto alla diffusione delle foreste: è vero invece che lo spopolamento della montagna è conseguenza della disattenzione alimentata da altre economie, ritenute più redditizie, in modo particolare dal settore turistico. Se oggi il bosco avanza è perché non si offre risposta economica e sociale a chi la montagna ancora la vive e la lavora. E’ spogliando la montagna di servizi essenziali che si innesca il processo dello spopolamento. Se il bosco avanza è perché il territorio è stato abbandonato o gestito con gravi disattenzioni, con superficialità diffusa. Gli spazi aperti, alpeggi e radure, si mantengono solo investendo in una attenta e continua, giornaliera gestione delle foreste, non certo con la diffusione clientelare della sola pratica dei contributi a pioggia privi di controllo sulla effettiva ricaduta naturalistica e della qualità dei lavori svolti.

Il riscaldamento con biomasse

Non solo dagli addetti ai lavori o da UNCEM, ma anche da alcune sensibilità del mondo ambientalista provengono spinte tese all’incremento della diffusione degli impianti di teleriscaldamento con biomasse forestali. Si condivide con questi enti e associazioni la necessità, urgente, di superare la produzione di energia e calore strutturata sul consumo di combustibili fossili, carbone, petrolio, metano con il fine di abbattere il più possibile la diffusione delle emissioni di CO2. Senza dubbio gli impianti di teleriscaldamento a biomasse rispondono a questa esigenza, come il riscaldamento a legna delle famiglie (il 21% del riscaldamento famigliare nazionale). La diffusione delle stufe a legna diffonde in aria quantità non trascurabili di polveri sottili che nelle vallate di montagna, in particolari situazioni meteorologiche, sono responsabili di un aumento delle malattie respiratorie.

L’esperienza della diffusione di impianti di teleriscaldamento a biomasse in aree ritenute modello in Italia come la provincia di Bolzano, in modo minore anche nel Trentino, ci portano a considerazioni che assumono valore nazionale. La provincia di Bolzano oggi (2020) vanta 71 impianti di teleriscaldamento da biomassa legnosa; prima della tempesta Vaia (29 ottobre 2018) questi impianti dovevano importare dall’estero il 50% della materia prima. Anche solo valutando i lunghi viaggi, con autotrasporto o via mare (importazioni dalla Russia, Ucraina, Romania, tutti paesi con grave deficit democratico e che sfruttano oltremodo le foreste rimaste) andava così vanificato l’obiettivo della riduzione delle emissioni di CO2. Questa esperienza, da virtuosa ha evidenziato problemi ma ci aiuta a approfondire considerazioni importanti prima di decidere della reale sostenibilità su un territorio di un impianto di teleriscaldamento a biomasse legnose:

  • in assenza di una pianificazione forestale certificata non si deve permettere la realizzazione di un impianto di teleriscaldamento a biomasse legnose;
  • un impianto non è sostenibile se nella zona (raggio massimo 50 Km) non vi sono segherie che garantiscano, grazie ai consistenti scarti di lavorazione, almeno il 50% del fabbisogno annuo di materia prima;
  • va studiato attentamente il territorio forestale non basandosi sulla potenzialità teorica delle risorsa legnosa presente, ma valutando la reale accessibilità alla risorsa su un arco temporale di almeno 30 anni. Nella valutazione della potenzialità reale, studiata su un turno medio di 100 anni del rinnovo forestale (il periodo della turnazione va valutato sulla base della quota, della essenza reperibile, della fertilità dei suoli, della esposizione dei versanti) vanno tolte le zone destinate alle foreste vetuste, le aree di protezione, gli ambiti fluviali che devono mantenere l’insieme delle potenzialità ecosistemiche che caratterizzano un corso d’acqua salubre. Nella valutazione vanno conteggiate solo le aree forestali servite da adeguata viabilità forestale;
  • la costruzione di un impianto di teleriscaldamento non deve comportare il sostegno al potenziamento, al di là delle reali necessità, della viabilità forestale (strade antincendio, viabilità di servizio interdetta al traffico privato e a esclusivo uso per la gestione dei boschi);
  • si auspica che la costruzione di un impianto di teleriscaldamento a biomasse investa anche nella produzione di energia e calore attraverso impianti di pannelli fotovoltaici, solari e la produzione locale di pellet da destinare alla vendita ai residenti;
    Gli impianti di teleriscaldamento a biomasse devono essere costruiti sulla base della reale potenzialità delle risorse vegetali locali evitando in ogni modo di dover ricorrere a importazione o al taglio di alberi per approvvigionare la centrale: quest’ultima deve poter funzionare con gli scarti di lavorazione, se si usassero alberi interi non si potrebbe certamente parlare di energia rinnovabile.
    Il prodotto legnoso destinato a tali impianti deve provenire da foreste certificate PEFC e FSC;
    Queste, ad avviso di MW, sono le condizioni minime che dovrebbero portare a una successiva valutazione tecnica della sostenibilità di un impianto a teleriscaldamento a biomasse legnose, condizioni che sul territorio italiano oggi difficilmente vengono soddisfatte. In assenza, o a fronte di una debolezza delle valutazioni qui elencate, le spinte che provengono da UNCEM e altre associazioni, eccessivamente settoriali e quindi pregne di ideologia produttivistica, vanno contrastate.

Hanno collaborato alla stesura del documento:
Luigi Casanova, custode forestale e presidente onorario di MW Italia. Vicepresidente di Cipra Italia.
Dott.ssa Paola  Favero, colonello dei carabinieri forestali in pensione settore biodiversità e presidente di INSILVA.