Per salvare il pianeta basterebbe il 2% del Pil globale

Yuval Noah Harari ha fatto i conti: è questa la percentuale che i governi devono investire contro il cambiamento climatico. Equivale ai 1.700 miliardi che oggi sono stanziati per le forze armate.
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Yuval Noah Harari

Con l’aggravarsi della crisi climatica, l’atteggiamento di troppi sta volgendo dalla negazione più radicale alla disperazione più inconsolabile. Alcuni anni fa, in relazione al cambiamento climatico era tutt’altro che raro confrontarsi con posizioni negazioniste, tendenti a minimizzare l’enormità della minaccia o a sostenere che i tempi non erano abbastanza maturi per preoccuparsene. Ora molti dicono che è troppo tardi. L’apocalisse sta arrivando e non c’è niente che possiamo fare per impedirlo.
La disperazione è pericolosa quanto la negazione. Ed è altrettanto falsa. L’umanità dispone di enormi risorse e, se le applichiamo con saggezza, possiamo ancora prevenire il cataclisma ecologico. Ma esattamente quanto costerebbe fermare l’apocalisse? Se l’umanità volesse prevenire i cambiamenti climatici catastrofici, quanti zeri avrebbe l’assegno da scrivere?

Come è naturale, nessuno lo sa per certo. Io e il mio gruppo di lavoro abbiamo passato settimane a riflettere su vari rapporti e articoli accademici, immersi in una nuvola di numeri. Ma mentre i modelli matematici che determinano questi numeri sono di una complessità vertiginosa, il risultato finale dovrebbe tirarci su di morale. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, il raggiungimento di un’economia a zero emissioni di carbonio richiederebbe di spendere solo il 2% del Pil globale annuo oltre a ciò che già facciamo per il nostro sistema energetico. In un recente sondaggio rivolto a economisti climatici condotto da Reuters, è risultata maggioritaria l’opinione secondo cui arrivare allo zero netto costerebbe solo dal 2% al 3% del Pil globale annuo. Secondo altre stime il costo della decarbonizzazione dell’economia sarebbe un po’ più basso o un po’ più alto, ma tutte rimangono nei limiti di qualche punto percentuale del Pil globale annuale.

Questi numeri rispecchiano la valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che nel suo decisivo rapporto del 2018 stabiliva che per limitare il cambiamento climatico a 1,5°C, gli investimenti annuali in energia pulita sarebbero dovuti aumentare a circa il 3% del Pil globale. Poiché l’umanità spende già circa l’1% del Pil globale annuo in energia pulita, ci basta aggiungere solo un’ulteriore quota del 2%!

I calcoli a cui abbiamo fatto riferimento sopra si concentrano sui costi di trasformazione dei settori dell’energia e dei trasporti, che sono di gran lunga i più importanti. Tuttavia esistono anche altre fonti di emissioni, come lo sfruttamento del suolo, la silvicoltura e l’agricoltura. Eh già, quelle famigerate flatulenze dei bovini. La buona notizia è che molte di queste emissioni possono essere ridotte senza troppi sacrifici cambiando le proprie abitudini alimentari, per esempio consumando meno carne e latticini e affidandosi maggiormente a una dieta a base vegetale. Non costa nulla mangiare più verdure e può contribuire ad allungare la nostra vita (e quella delle foreste pluviali).

Possiamo cavillare all’infinito sui numeri, modificando un po’ i parametri dei modelli in un modo e nell’altro. Ma dovremmo guardare al quadro generale oltre i meri calcoli matematici. L’informazione cruciale è che il prezzo da pagare per prevenire l’apocalisse sta nelle cifre singole, e per giunta basse, del Pil globale annuale. Certamente non stiamo parlando del 50% del Pil globale annuo, e neppure del 15%. Al contrario, il prezzo da pagare è da qualche parte al di sotto del 5%, forse abbastanza basso da non richiedere più di un ulteriore investimento pari al 2% del Pil globale nei posti giusti.

E si noti la parola investimento. Non stiamo parlando di bruciare mucchi di banconote in qualche enorme sacrificio agli spiriti della terra. Si tratta di fare investimenti in nuove tecnologie e infrastrutture, come batterie innovative per immagazzinare l’energia solare e reti elettriche aggiornate per distribuirla. Questi investimenti creeranno numerosi nuovi posti di lavoro e opportunità economiche ed è probabile che a lungo termine siano economicamente redditizi, in parte grazie alla riduzione delle spese sanitarie e al salvataggio di milioni di persone dalle malattie causate dall’inquinamento atmosferico. Durante questo processo possiamo proteggere le popolazioni più vulnerabili ai disastri climatici, diventare migliori antenati per le generazioni future e creare un’economia più prospera.

Questa meravigliosa notizia è stata in qualche modo accantonata nell’acceso dibattito sul cambiamento climatico. Dovremmo invece metterla in luce, non solo per dare speranza alle persone, ma ancor di più perché possa tradursi in un concreto programma politico. Negli ultimi anni abbiamo imparato a definire il nostro obiettivo in termini numerici: 1,5°C. Possiamo definire i mezzi per farlo con un altro numero: 2%. Aumentare gli investimenti in tecnologie e infrastrutture ecocompatibili di due punti percentuali rispetto ai livelli del 2020.
Naturalmente, a differenza della cifra dell’1,5°C, che è una soglia individuata dalla scienza in modo attendibile, la cifra del 2% si limita a rappresentare una stima approssimativa. Da intendersi come calcolo a spanne, utile per inquadrare il tipo di programma politico di cui l’umanità ha bisogno. Ci dice che prevenire il cambiamento climatico catastrofico è un progetto del tutto realizzabile, anche se ovviamente costerebbe un sacco di soldi. Poiché il Pil globale vale oggi circa 85.000 miliardi di dollari, il 2% è quindi circa 1700 miliardi. Significa che per salvare l’ambiente non occorre imporre all’economia cambiamenti drastici o abbandonare conquiste della civiltà moderna. Dobbiamo solo focalizzare meglio le nostre priorità.
Firmare un assegno per il 2% del Pil globale annuo non mette di certo la parola fine alla questione. Non risolverà tutti i nostri problemi ecologici, come gli oceani ricoperti di plastica o la continua perdita di biodiversità.


E anche per prevenire cambiamenti climatici catastrofici, dovremo assicurarci che i fondi siano investiti nei posti giusti e che i nuovi investimenti non causino ricadute ecologiche o sociali negative. Se distruggiamo gli ecosistemi per estrarre metalli rari necessari all’industria delle energie rinnovabili, probabilmente potremmo perdere tanto quanto guadagniamo. Dovremo anche cambiare alcuni dei nostri stili di vita e modi di pensare, da ciò che mangiamo a come viaggiamo. Niente di tutto ciò sarà facile. Ma questo è esattamente il motivo per cui abbiamo i politici: il loro compito è affrontare le cose difficili.

In realtà i politici sono molto abili nello spostare il 2% delle risorse da qui a lì. È quello che fanno sempre. La differenza tra le politiche dei partiti di destra e di sinistra ammonta spesso a pochi punti percentuali del Pil. Di fronte a una grave crisi, i politici spostano rapidamente molte più risorse per combatterla. Per esempio, nel 1945, gli Stati Uniti spesero circa il 36% del loro Pil per vincere la seconda guerra mondiale.

Durante la crisi finanziaria del 2008-2009, il governo degli Stati Uniti ha speso circa il 3,5% del Pil per salvare istituzioni finanziarie ritenute “troppo grandi per fallire”. Forse l’umanità dovrebbe anche trattare la foresta pluviale amazzonica come “troppo grande per fallire”? Considerato il prezzo attuale della terra della foresta pluviale sudmericana e le dimensioni della foresta pluviale amazzonica, acquistarla tutta per proteggere le foreste locali, la biodiversità e le comunità umane da interessi commerciali distruttivi costerebbe circa 800 miliardi, o un pagamento una tantum inferiore all’1% del Pil globale.

Solo nei primi nove mesi del 2020 i governi di tutto il mondo hanno annunciato misure di stimolo per un valore di quasi il 14% del Pil globale per far fronte alla pandemia di Covid-19. Se i cittadini li incalzano nel modo adeguato, i politici possono fare lo stesso per affrontare la crisi ecologica. E possono farlo anche le banche di investimento e i fondi pensione. I fondi pensione detengono circa 56.000 miliardi di dollari. Che senso ha avere una pensione se non hai un futuro?

Al momento, né le imprese né i governi sono disposti a fare l’investimento aggiuntivo del 2% necessario per prevenire il cambiamento climatico catastrofico. Dove vanno invece i soldi?
Nel 2020 i governi hanno speso 2.000 miliardi di dollari per le loro forze armate, ovvero il 2,4% del Pil globale. Ogni due anni, un altro 2,4% del Pil mondiale viene speso in sprechi alimentari. I governi spendono anche circa 500 miliardi di dollari all’anno per — tenetevi forte — sussidi diretti per i combustibili fossili! E questo significa che ogni 3,5 anni, i governi scrivono un assegno bello corposo per un importo equivalente al 2% del PIL globale annuo e lo donano all’industria dei combustibili fossili. C’è di peggio. Se si tiene conto dei costi sociali e ambientali che l’industria dei combustibili fossili determina ma non è chiamata a pagare, il valore di questi sussidi raggiunge in effetti uno sbalorditivo 7% dell’importo annuo del Pil mondiale ogni anno.


Consideriamo ora l’evasione fiscale. L’Unione Europea stima che il denaro occultato dai ricchi nei paradisi fiscali valga circa il 10% del Pil mondiale. Ogni anno vengono imboscati dalle società altri 1.400 miliardi di dollari di profitti offshore, che equivalgono all’1,6% del Pil mondiale. Per prevenire l’apocalisse, dovremo con ogni probabilità imporre nuove tasse. Ma perché non iniziare a esigere il pagamento di quelle vecchie?


I soldi ci sono. Naturalmente riscuotere le tasse, ridurre i budget militari, fermare lo spreco alimentare e tagliare i sussidi è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto di fronte ad alcune delle lobby più potenti del mondo. Ma non richiede un miracolo. Richiede solo un’organizzazione determinata.


Quindi non dovremmo soccombere al disfattismo. Ogni volta che qualcuno afferma: “È troppo tardi! L’apocalisse è alle porte!”, si deve ribattere, “Nah, possiamo fermarla con solo il 2%.” E quando la Cop27 si riunirà a novembre 2022 in Egitto, dovremmo dire ai leader lì riuniti che non basta pronunciare vaghi impegni futuri relativi all’1,5°C. Vogliamo che tirino fuori le penne e firmino un assegno per il 2% del Pil globale annuo.
(Traduzione di Marco Piani)

Le fonti dei dati per questo articolo possono essere trovate su sapienship.co/decision-makers/2-percent-more