Alpi Ribelli, Capitolo 4: L’utopia di un futuro diverso

Di Enrico Camanni

Intanto a La Palud, all’imbocco della Val Ferret e alla partenza della funivia, un cartello annuncia la temporanea chiusura del collegamento aereo tra Italia e Francia: giustificazione ufficiale… le raffiche di vento. Poco più tardi, sul Flambeau, Messner rilascia le prime interviste approfittando della totale calma atmosferica. È venuta fuori una bellissima giornata e non tira neanche aria di lotta. Viene voglia di sedersi da qualche parte a prendere il sole. Con il suo pesante accento straniero, Messner spiega che la funivia della Vallée Blanche è un anacronistico simbolo di aggressione ambientale, e che senza funivia la traversata dal rifugio Torino all’Aiguille du Midi tornerebbe a essere una camminata su ghiacciaio alla portata di molti, con un po’ di salutare fatica, e che le guide alpine sarebbero le prime a beneficiarne. Anche quelle di Courmayeur.

1988.08 Entreves , Mountain Wilderness agosto 1988. Pinelli e Messner


A Courmayeur la prendono molto male. Non si capacitano che un alpinista sudtirolese venga a mettere becco in casa d’altri. Non importa che si chiami Messner, che sia di casa sugli ottomila e che sia un montanaro come loro; è comunque un forestiero. In pochi si accorgono che dietro Messner c’è un movimento e che dietro le sue parole c’è una riflessione collettiva.
Guido Ceronetti lo appoggia su La Stampa: è interessante vedere come stia rotolando giù, da quando si è messo a proteggere montagne invece di alterarle, l’eccezionale fama di Messner: l’eroe solitario non è più che uno scoronato «re degli Ottomila» da luna park. Volentieri ne annullerebbero le conquiste passate, tanta è l’irritazione per il suo ascetico presente perturbatore.

Mountain Wilderness, Manifestazione della Vallée Blanche, A. Gogna e R. Losso salgono a jumar per aiutare R. Messner a issare lo stendardo della protesta.


Ceronetti si riferisce anche all’irritatissimo Massimo Mila, che sullo stesso quotidiano ha irriso le «fanfaronate degli ecologi d’alto rango ai cui squisiti sensi reca tanto fastidio la silenziosa teoria dei vagoncini rossi che collegano la Punta Helbronner con l’Aiguille du Midi, sopra le immacolate distese del ghiacciaio del Gigante».
Le due fazioni non si parlano e quindi non si capiscono. È muro contro muro. Come è successo molte volte in passato, il mondo della montagna si divide tra chi è per abbassare i ghiacciai all’altezza dei turisti nel nome di una presunta democrazia, e chi invece si preoccupa di preservarli in solitudine e mistero, individuando nella fatica, nella difficoltà e nella distanza i giusti antidoti alla demolizione delle Alpi.
Portano buone ragioni entrambi, ma il 16 agosto 1988 i ribelli di Mountain Wilderness rappresentano il nuovo, l’utopia di un futuro diverso. Sono avanti di decenni, forse troppi. L’idea che si possa fare a meno della tecnologia per attraversare un ghiacciaio o salire una montagna, e che di conseguenza non si debba salirla a tutti i costi, equivale al pensiero che il domani non sia solo una conquista di spazi e un consumo di risorse. L’uomo è diventato così potente da poter distruggere ogni dono del creato, compreso se stesso. L’uomo ha perso la bussola. Per ritrovarsi e per sopravvivere deve mettere un freno allo sviluppo, accettare il limite. È un pensiero diametralmente opposto a quello che nel 1957, in pieno boom economico, aveva accompagnato la nascita della Funivia dei ghiacciai: «Queste funi e queste cabine saranno come polvere nell’immensità della Vallée Blanche», pensavano gli ideatori.