Alpi Ribelli, Capitolo 6: le sfide della tecnica valorizzano le montagne o le annullano?
Di Enrico Camanni
Il 29 agosto 1961 finisce l’incanto. Un caccia francese in ricognizione sul Monte Bianco vola troppo basso e taglia la fune traente. Le cabine appese al cavo «si sbriciolano sul ghiacciaio come le decorazioni dell’albero di Natale», racconta un turista californiano. Muoiono sei persone e molte altre restano appese nelle cabine superstiti. È la nemesi: la leggerezza del trenino volante si è trasformata nella trappola delle gabbiette appese al cavo morto. I prigionieri non sono attrezzati per resistere al freddo e alla paura. Alcune ragazze filippine sono vestite come ai Caraibi, con la gonna corta e le gambe nude; affacciandosi nel vuoto urlano di terrore. Scatta un’imponente operazione di soccorso alpino: guide, militari, carabinieri, medici, infermieri, ingegneri. Ecco la cronaca del Times: calano nel vuoto circa trenta passeggeri, nella neve, trenta metri più in basso; restano altre quaranta persone completamente irraggiungibili…
Allora gli ingegneri decidono di fare avanzare le cabine con un enorme argano fino alla stazione dell’Aiguille du Midi. Il lavoro procede con una lentezza agonizzante, circa cent’ottanta metri all’ora. Ma le cabine finalmente si muovono e alle dieci di sera i passeggeri ricominciano a sperare.
Dopo una notte di lavoro i quarantacinque passeggeri sono tratti in salvo. Molti plaudono all’efficienza dei soccorsi, pochi s’interrogano sulla fragilità dell’uomo e delle sue opere. È ovvio che è stato solo un incidente. L’errore di un pilota incosciente. In breve tempo la fune torna al suo posto, si sostituiscono le cabine sfracellate e l’impianto riparte. Passano gli anni, passano i turisti, passa Reinhold Messner, ma la Liaison resiste. E con lei la domanda: le sfide della tecnica valorizzano le montagne o le annullano?