Alpi Ribelli, Capitolo 8: Il mite combattente

Di Enrico Camanni

Quindi si è scelta la Vallée Blanche, ancora lei, ma per la via di terra. Anzi di ghiaccio. Come aveva detto Messner senza riuscire a farsi capire, sul ghiacciaio che collega la Punta Helbronner all’Aiguille du Midi non serve essere dei grandi alpinisti, è solo una camminata in cordata. Due o tre ore, qualche crepaccio, nessun pericolo.
Scelto l’itinerario e identificato l’obiettivo, bisognava far girare la voce. Serviva gente per riempire tutte quelle lettere bianche. «Sei libero il 16 di agosto?» «Sì, perché?» «Ci troviamo alle otto alla partenza della funivia; le corde le portiamo noi, non ti preoccupare.»

1989, Vallée Blanche, manifestaziome Mountain Wilderness


Così qualcuno aveva telefonato ad Alexander Langer, detto Alex. Era il più mite di tutti noi, probabilmente il più famoso. Alex aveva accettato con entusiasmo, anche se non conosceva l’alta montagna e non era mai stato sul Monte Bianco. All’Helbronner se ne stava in disparte nella nebbia, con un sorriso smarrito e disarmato. Portava un paio di scarponcini leggeri, poco più che pedule, sotto i jeans di cotone. Indossava un maglione di lana e un k-way celeste troppo sottile. Tremava un po’ mentre gli aggiustavano il nodo della corda sullo stomaco. Tremava gentilmente, e sorrideva. Era del tutto inadeguato ai nostri discorsi iniziatici, alle prodezze sottintese, a quello scenario gelido e nebbioso da uomini duri, e noi eravamo specularmente inadeguati a lui, il mite combattente, l’unico che prima di correre a disarmare il mondo avesse provveduto a disarmare se stesso:
la nostra civiltà ha bisogno di «disarmare» e di «digiunare», altrimenti rompe ogni equilibrio e impedisce ogni possibile giustizia e sviluppo durevole. Il pretenzioso motto del «citius, altius, fortius» (più veloce, più alto, più forte) che contiene la quintessenza della nostra cultura della competizione, dovrà urgentemente convertirsi al più modesto, ma più vitale «lentius, profundius, suavius» (più lento, più profondo, più dolce).

Manifestazione agosto 1989 al Monte Bianco, pour le Parc


Non so più in che lettera sia finito Langer. Forse la U di Universale, forse la A di Ascolto, oppure la C di Convivenza: tra uomo e uomo e tra l’uomo e la natura. La scritta umana sulla neve della Vallée Blanche era lunga e fatta di tanta gente, tanto che perdemmo il senso dello spazio. Come nella politica e nella vita, ognuno vedeva solo chi gli stava vicino ma apparteneva a un disegno più grande. Invisibile ma vitale.
Comunque raggiungemmo l’obiettivo politico della liaison dei corpi, e anche quello estetico: il sole, i pilastri di granito e il riverbero dei quattromila metri. Fu un successo.
Dopo il pranzo al sacco ripiegammo gli striscioni, abbracciammo i francesi e ci rimettemmo in cammino in senso contrario. Ora faceva caldo e il sole scioglieva la neve sotto gli scarponi. Le punte dei ramponi erano diventate inutili. Ricordo che raggiunsi e superai la cordata di Langer poco oltre il Pic Adolphe, dove la via di Salluard taglia il cielo come una prua e la traccia del Col Flambeau comincia a salire verso lo spartiacque.
Lui, Alex, si era tolto la giacca a vento e camminava felice con gli anelli di corda nelle mani. Non era più impaurito, e nemmeno timido; risaliva verso il colle con la gioia di un bambino che ha scoperto un nuovo mondo da amare. Per una volta erano stati gli altri a dare e lui a ricevere – l’amicizia, il sole, le montagne della Valle d’Aosta –, così se ne tornava a casa con una meraviglia da condividere. «Grazie amici, è stata una bellissima giornata.»