Alpinismo, ossigeno e doping. Alcune riflessioni

La cronaca recente, che ha visto frotte di alpinisti letteralmente accalcati sulla via normale dell’Everest, ha reso più attuale che mai la riflessione sulla liceità dell’uso delle bombole d’ossigeno in alta quota.

Uno sherpa ispeziona una pila di bombole d’ossigeno usate sull’Everest. (AP Photo/Binod Joshi)

Utilizzo delle bombole in alta quota. Di Carlo Alberto Pinelli

Abbiamo pensato di introdurre un argomento di carattere apparentemente solo alpinistico, sia a motivo delle ricadute ambientali che i comportamenti di cui si discute hanno avuto e continuano ad avere sull’integrità degli ambienti himalayani, sia perché sin dall’inizio la nostra associazione ha compreso e interiorizzato i legami che uniscono in una complessa rete di rapporti espliciti o sotterranei la tutela “ecologica”e paesaggistica dell’ambiente montano alla qualità delle esperienze esistenziali che in quei luoghi “alti e incontaminati” possono essere sperimentate. Proprio da tali relazioni deriva il peculiare carattere “umanistico” che contraddistingue Mountain Wilderness. Gli interrogativi sulla liceità dell’uso delle bombole d’ossigeno in alta quota si sono riaffacciati alla ribalta e pretendono ormai spiegazioni non reticenti, sull’onda di quanto sta accadendo lungo la via normale alla vetta dell’Everest, degradata a penoso trampolino per l’ affermazione di ambizioni personali che ben poco hanno in comune con i valori e le competenze del vero alpinismo.

Personalmente sono convinto da sempre che l’utilizzazione dell’ossigeno equivalga a una droga dopante, anche se solo in senso lato. Con buona pace di Hillary e Tenzing ( di fronte ai quali comunque mi levo il cappello) reputo che i primi autentici salitori dell’Everest siano stati coloro che ne hanno saputo raggiungere la vetta lottando lealmente contro l’ipossia. Il dibattito che Mountain Wilderness intende rilanciare non dovrebbe tuttavia restringersi entro confini accademici, ma sfociare in qualche proposta concreta, in grado di costringere i club alpini, l’UIAA che li riassume, i governi delle nazioni himalayane a prendere le distanze da una pratica così ambigua e sleale. Utopia? Chi può dirlo senza averci provato? Forse oggi i tempi sono maturi per proporre un simile salto di qualità. Il primo provvedimento che dovrebbe essere preso ( e ne parla Renato Moro) in fondo non è troppo difficile: la compilazione di un elenco con due categorie di “vincitori”: quelli che sono saliti con le bombole e quelli che ci sono riusciti senza usarle. Basterebbe l’esistenza di un simile doppio binario e la sua capillare diffusione a far abbassare la cresta alle centinaia di vanitosi sprovveduti che si affannano a salire in fila indiana, come un esercito di processionarie, lungo il rosario di corde fisse piazzate dalla base della montagna alla vetta da legioni di sherpa.

Su questo tema abbiamo raccolto i pareri di un primo gruppo di personaggi che direttamente o indirettamente ne hanno conosciuto a fondo le implicazioni: Renato Moro ( ex-presidente della commissione spedizioni extraeuropee dell’UIAA), Maurizio Giordani ( guida alpina, esperto di Himalaya e garante internazionale di Mountain Wilderness), Alberto Rampini ( Presidente del Club Alpino Accademico), Paulo Grobel ( guida alpina e organizzatore di viaggi in Himalaya). Ne rimandiamo la lettura completa alle pagine del nostro sito. Ci auguriamo che altri pareri seguiranno.
Carlo Alberto Pinelli