Croci di vetta

Un convegno organizzato all’Università Cattolica di Milano per “riflettere sulle tematiche proposte nel libro Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi”, riapre il dibattito.

Al convegno hanno partecipato Monsignor Melchor José Sànchez de Toca y Alameda (relatore del Dicastero delle Cause dei Santi), lo scrittore Marco Albino Ferrari in rappresentanza del CAI e il professore di diritto dell’Università Cattolica Marco Valentini.

In un articolo pubblicato su Lo Scarpone, house organ del CAI, Pietro Lacasella il giorno dopo il convegno scrive: “una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime. Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano”.

Non tardano arrivare le dichiarazioni della politica, pronta a speculare su qualsiasi istanza odori anche solo vagamente di quella “identità” che la destra sta goffamente cercando di costruire intorno ai vecchi e consunti Dio, Patria e Famiglia.

Daniela Santanché: “Resto basita dalla decisione del Cai senza aver comunicato nulla al ministero (del Turismo, ndr). Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto. Invito il presidente del Cai a ripensarci”
Matteo Salvini: “Una sciocchezza, senza cuore e senza senso, dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina, senza se e senza ma”.
Antonio Tajani: “Difendiamo i nostri valori, la nostra identità, le nostre radici”.

Antonio Montani, Presidente del CAI.

Come ben sappiamo, “il coraggio se uno non ce l’ha mica se lo può dare”, non tardano quindi arrivare le parziali smentite del Presidente del CAI Antonio Montani che, sempre sullo Scarpone, rilascia la seguente dichiarazione:

“Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce.
Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”.

La posizione di Mountain Wilderness: infrastrutture e croci sulle vette.

Mountain Wilderness si è sempre occupata di infrastrutture e croci sulle vette, di seguito pubblichiamo un documento interassociativo pubblicato esattamente dieci anni fa e co-firmato da WWF Italia, Pro Natura,Amici della Terra, Comitato per la Bellezza, Italia Nostra, Altura, Comitato Nazionale per il Paesaggio.

Documento del mondo alpinistico ed escursionistico rivolto agli enti pubblici.

Da alcuni decenni, ed in questi ultimi anni con sempre maggiore frequenza, il tradizionale uso di segnalare con una modesta croce il culmine delle montagne ha assunto un carattere sempre più vistoso e autoreferenziale, allontanandosi dal significato originario al punto da destare ragionevoli perplessità. Su creste, pendici e vette sorgono ovunque ingombranti strutture di diverso tipo, da quelle tecnologiche a quelle più dichiaratamente simboliche, portatrici di messaggi storici, religiosi, artistici o fantastici. La montagna viene usata come palcoscenico di ambizioni personali o di gruppo, per imporre aggressivamente convinzioni religiose, marcare il territorio con un proprio segno inconfondibile, o per costruire business. Qui non stiamo parlando di strutture tecnologiche, siano queste rivolte all’ospitalità e al turismo, o alla produzione di energia, o alle trasmissioni via etere, per le quali sarebbe necessario un discorso diverso e più complesso.
Ci limitiamo a chiedere l’ attenzione delle amministrazioni e degli enti pubblici, così come delle associazioni alpinistiche e escursionistiche, sull’opportunità di giungere a regolare, nel rispetto dei luoghi e delle diverse sensibilità dei loro frequentatori, la installazione di croci gigantesche (anche illuminate di notte), di crocifissi, di statue di madonne e di santi, di altarini in ricordo di defunti, ovvero di opere artistiche di carattere profano.

Ormai non si occupano solo le vette più significative. Questa discutibile abitudine sta tracimando su ogni cima, purché visibile dal fondovalle, e sta insidiando l’integrità naturale di crinali magari poco battuti ma reputati favorevoli alla promozione turistica del luogo. E’ sufficiente che singole associazioni o perfino singoli personaggi chiedano l’autorizzazione e ogni cosa viene concessa, spesso a prescindere dai valori qualitativi dell’opera, dall’impatto paesaggistico e ambientale, dai negativi risvolti psicologici, etici e culturali che il progetto porterà come conseguenza, una volta realizzato. Ciò purtroppo avviene anche all’interno di aree particolarmente delicate e tutelate da disposizioni nazionali e internazionali, come parchi naturali e riserve, siti SIC e ZPS. Basti pensare al dinosauro -di tre metri per sei- spuntato sulla cresta del Pelmo, montagna dolomitica inserita nei Monumenti del Mondo dell’UNESCO. Ai frequentatori viene di fatto negata la possibilità di attribuire liberamente alle loro esperienze in natura i valori interiori che sentono più affini, sopraffatti come sono dalla aggressività monocorde di tali installazioni, le quali, a nostro avviso, privatizzano e ipotecano indebitamente il “senso” di un bene comune. Siamo convinti che le montagne non abbiano bisogno di crocifissi e madonne per invitarci a pregare. Si può trovare la propria silenziosa preghiera anche appoggiandosi a un sasso, o indugiando a ammirare la torsione di un larice, o i riflessi del tramonto sui rami di un pino mugo, o riflettendo sulle sofferenze della prima guerra mondiale, o ricordando il sorriso di amici scomparsi con cui un tempo si erano frequentati quegli stessi luoghi, o semplicemente concentrandosi sul ritmo del proprio respiro.
Il rapporto spirituale degli esseri umani con gli spazi incontaminati della montagna non viene mai arricchito da strutture artificiali che tendono ad orientarne in una direzione o in un’altra il significato.

Le associazioni firmatarie di questo documento chiedono alle amministrazioni pubbliche, a partire dal profilo governativo nazionale per raggiungere le Regioni ed i Comuni, alle singole associazioni, di riportare sulle montagne la sobrietà di un tempo, evitando che questi ultimi regni della libertà continuino ad essere colonizzati e manipolati da chi pretende, attraverso tali mezzi invadenti, di imporre a tutti le proprie opinioni, anche estetiche.

Riteniamo sia necessario tutelare in modo deciso, attraverso uno specifico e preciso vincolo, tutte le aree protette, nazionali e regionali, le aree SIC e ZPS, i biotopi, le zone monumentali che sono state teatro di guerra, le infrastrutturazioni storiche quali mulattiere per transumanze e trincee.

Riteniamo sia necessario, anche in aree non tutelate, chiedere ed eventualmente imporre alle associazioni e alle organizzazioni di promozione turistica la massima sobrietà nella apposizione di simboli religiosi e artistici in montagna e sulle aree pascolive e che tali strutture vengano sottoposte a una precisa regolamentazione e normativa urbanistica.

Riteniamo necessario chiedere una revisione e una rimozione di tante opere imposte alle vette, opere sovradimensionate e ingiustificabili che incidono in modo negativo sulla percezione del paesaggio montano nazionale.

Auspichiamo che le varie associazioni alle quali fanno riferimento i frequentatori delle nostre montagne, elaborino quanto prima, di comune accordo e senza ambiguità, un vincolante codice di comportamento per quel che riguarda il problema che ci ha spinti a elaborare il presente documento.

Michele Serra su Il Post

Michele Serra è membro del Comitato Etico Scientifico di Mountain Wilderness

Sono totalmente dalla parte di Marco Albino Ferrari, direttore editoriale del Club Alpino Italiano: ha proposto che sulle vette delle Alpi non si mettano nuove croci, simbolo della cristianità, perché le vette sono di tutti. Gli sono saltati addosso, furibondi, molti nomi noti della destra di governo, da Santanché a Salvini, intanto mentendo (una bugia fa sempre brodo) e attribuendo a Ferrari e al Club Alpino l’intenzione di voler “togliere le croci”, cosa mai scritta e mai pensata. Poi ripetendo l’odiosa frode ideologica che è la loro cavalcata delle Valchirie: parlare a nome “dei valori condivisi” per il solo fatto che sono condivisi da loro. Quelli degli altri contano zero. Il Cai ha avuto il torto (secondo me grave) di scusarsi per qualcosa che non è mai stato proposto (togliere le croci presenti) e di negare la giustezza di una proposta rispettosa e intelligente (non aggiungere nuove croci). Peccato, l’alpinismo è una disciplina che richiede la schiena diritta.