Fenomenologia della visione.

Giovanni WIldmann, professore di filosofia, in relazione alla tragedia della Marmolada affronta l’evento da un diverso punto di vista, ovvero quello degli spettatori e/o testimoni, esaminando la questione a partire dal concetto estetico-filosofico di sublime.

La tragedia della Marmolada di domenica scorsa è stata documentata da molti video realizzati dai turisti che si trovavano in posizione sicura presso il rifugio e che assistendovi in diretta hanno potuto riprendere il distacco del seracco e la potenza distruttrice e sconvolgente della frana costituita dalla massa di sfasciumi, fango e ghiaccio che è poi scivolata a valle lungo il fianco del ghiacciaio con impressionante potenza devastatrice, travolgendo senza scampo gli alpinisti che purtroppo in quel momento si sono trovati sulla sua traiettoria.


Le immagini drammatiche della frana mi hanno fatto pensare al concetto di «sublime» elaborato da Kant, che nella Critica del Giudizio (1790) definisce «sublime dinamico» lo stato d’animo suscitato dalla visione della potenza smisurata, irresistibile e devastante di certi fenomeni naturali, di fronte ai quali l’uomo misura la propria limitatezza e impotenza: «Le rocce che sporgono audaci in alto e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lascian dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla
tempesta, la cataratta d’un gran fiume, ecc., riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro potenza. Ma il loro aspetto diventa tanto più attraente per quanto più è spaventevole, se ci troviamo al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell’anima al disopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà il coraggio di misurarci con l’apparente onnipotenza della natura.»


Per Kant il sentimento del sublime evidenzia un conflitto tra natura fenomenica ed essenza razionale dell’uomo, diviso tra componente sensibile e sovrasensibile, tra determinismo e libertà. In questo senso il
concetto di sublime rimanda alla dimensione teoretica ed etica, oltre che estetica, riferendosi al fatto che se come essere sensibile e naturale l’uomo non è in grado di resistere alla potenza della natura misurando quindi tutta la propria fragilità e impotenza -, nello stesso tempo questa coscienza della propria debolezza gli permette di conoscere anche la propria superiorità morale, ovvero lo rende consapevole della propria libertà sul determinismo naturale; in quanto soggetto morale egli è infatti indipendente dalla natura e conscio della propria umanità, una facoltà interiore di conservazione ben diversa da quella che invece può essere messa in pericolo dalla natura esterna e che costituisce il suo essere soggetto razionale libero sottoposto unicamente alla legge del dovere morale (sollen).
Tale libertà, quantunque l’uomo nella sua componente sensibile debba soggiacere all’imperio della natura (müssen), resta intatta in quanto è una facoltà autonoma rispetto alla necessità del mondo naturale.


Ora, volendo affrontare l’esperienza del sublime attraverso una sorta di fenomenologia della visione
in relazione a quanto accaduto domenica sulla Marmolada, possiamo in primo luogo fare riferimento alla
testimonianza degli alpinisti che hanno visto da vicino l’improvviso irrompere della frana e che per un caso del destino sono stati risparmiati, mentre sotto i loro occhi altri alpinisti che scendevano lungo il ghiacciaio sono stati travolti. Nelle loro parole si è potuto cogliere lo sconcerto e la sorpresa, infatti in ambienti di quel tipo un alpinista mette naturalmente in conto dei rischi calcolati, come il distacco di un sasso o il cedimento di un ponte di ghiaccio, ma non certamente un evento eccezionale di quella portata, quantunque sempre possibile. In questo caso si è trattato di considerazioni fatte dopo, a freddo, mentre certamente nel drammatico manifestarsi dell’evento sarà prevalsa la componente emotiva e l’istinto di autoconservazione.
Inutile dire che coloro che invece hanno avuto la sfortuna di trovarsi in quel momento nel raggio d’azione della massa franosa e sono stati travolti, probabilmente hanno avuto solo qualche frazione di secondo per realizzare quanto stava accadendo, attraversati da terrore e vana reazione di fuga, per poi essere assorbiti da buio della morte.
In quanto alle immagini dei turisti che seduti sulle sedie a sdraio del rifugio, in posizione sicura, osservavano e commentavano in diretta la dinamica della tragedia, esse fanno pensare alla definizione di
sublime di E. Burke (1757), che chiamava «dilettoso orrore» quel sentimento di piacere misto a dolore e
meraviglia suscitato dalla visione dell’orrido e del terrificante, però da una posizione non troppo ravvicinata e tale da non costituire un pericolo per l’incolumità dello spettatore, perché effettivamente di uno spettacolo si tratta, nel senso che rappresenta un’esperienza estetica.

Molti dei commenti a caldo di quei turisti sono stati naturalmente di stupore, di sgomento, e il loro pensiero è andato empaticamente alla sorte di quegli alpinisti che avrebbero potuto trovarsi là in quel momento, come purtroppo si è poi tragicamente accertato.
Certamente in quegli spettatori attoniti della tragedia c’era anche commozione e immedesimazione e in un certo qual modo la loro è stata un’autentica esperienza del sublime come poteva esserlo quella della figura romantica del wanderer al cospetto della natura selvaggia, come nel celebre dipinto di Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia (1818).

Alta Via Dolomiti Marmolada. Foto: Sergio Ruzzenenti

Diverso a mio parere è stato l’atteggiamento di coloro che in quei drammatici istanti erano soprattutto interessati a riprendere in diretta coi cellulari il dramma che si stava consumando sotto i loro occhi.
Molti di quei video sono stati poi postati sui social. In questo caso, come ormai spesso accade di fronte ad eventi tragici, la prima preoccupazione è stata quella di registrare quanto stava accadendo.
Costoro hanno probabilmente vissuto la sublimità dell’evento nei termini di un’esperienza estetica, ovvero una percezione della sublimità di «ciò che è assolutamente grande» e potente e devastante e che in quanto tale attrae e respinge, ma dubito che tale visione nei più si sia aperta ad una riflessione etica in senso kantiano, per cui «la vera sublimità, non dev’essere cercata se non nell’animo di colui che giudica, e non nell’oggetto naturale, il cui giudizio dà luogo a quello stato d’animo.»
In questi casi la pura visione sembra offuscata dalla prevalente pre-occupazione documentaristica, piuttosto che autoriflessiva: l’osservazione dell’evento non rimanda a se stessi, alla considerazione della propria fragilità costitutiva e insieme della propria grandezza in quanto esseri coscienti di questa stessa connaturata fragilità; nessuna considerazione ingenuamente filosofica anima la visione.
L’occupazione primaria è la registrazione destinata alla riproduzione e all’altrui fruizione: vi domina la volontà di fissare e immortalare la scena; cessa la visione diretta, essendo filtrata dal dispositivo e condizionata dalle sue funzioni: non vi è stupore misto a riflessione e la stessa partecipazione emotiva è esaurita in una più neutra e distaccata esigenza descrittiva, dove l’occhio guarda alla scena spettacolare e
solo indirettamente all’evento, rinviando alla condivisione da parte di altri del video postato sui social la sua capacità di emozionare, però privilegiando la dimensione più banale e superficiale della spettacolarizzazione.
Infatti l’intenzione di registrare non è spontanea ma già orientata ad un secondo fine, che è quello di
socializzare la documentazione audiovisiva stessa, di avere un pubblico, per cui essa perde oltremodo la sua possibilità di farsi esperienza del limite e fenomenologia della precarietà e non genera così autentica
comprensione e immedesimazione.
Perché c’è un ulteriore e significativo elemento da considerare: l’osservazione della devastante reazione della natura malata in questo caso ha confermato il destino di finitudine e aleatorietà della condizione umana, reso ancor più riconoscibile dalla frequentazione di ambienti estremi: la certezza dello scacco in quanto esseri naturali dinnanzi alla potenza straordinaria della natura qui non era solo un pensiero astratto ma tragicamente reale. Filmando l’evento, si è inconsapevolmente documentata la fine di quegli sfortunati alpinisti.
Giovanni Widmann insegna filosofia e storia al liceo Russell di Cles