Grazie Kurt
Il 16 marzo del 1932 nasceva Kurt Diemberger. In omaggio ai suoi novant’anni, riprendiamo una nostra intervista raccolta nella sua abitazione sulle colline bolognesi e pubblicata da MW Notizie nel 2011.
Di Fabio Valentini
Io sono arrivato alla montagna non dallo sport, ma dalla ricerca dei cristalli, cioè dalla scoperta, e questo mi è rimasto fino ad oggi. Certo, mi interessava anche vincere un certo ostacolo come la grande meringa (del Gran Zebrù, n.d.r.), però allo stesso tempo io volevo già sapere come è fatta questa meringa all’interno, questa curiosità secondo me è la radice dell’alpinismo e non dovrebbe andare dimenticata. Però che vuoi fare, la spinta sportiva è in aumento e quello che sto cercando di fare con le mie conferenze e con i miei libri è che si mantenga il rispetto per la montagna, per la montagna e la sua gente perché includo certamente anche la gente che qui è nata e che vive.
Questa è anche una delle ragioni per cui è stata fondata MW, non arrivare con le strade e con le funivie dappertutto con la massima facilità possibile.
Per alcune zone di montagna ci dovrebbe essere un accesso facile perché non vorremmo precluderla a quelli che non sono bravi alpinisti o che non sono acclimatati, magari anche il disabile vorrebbe poter arrivare, quindi qualche funivia non è un male, però bisogna controllare quante e dove. Lo stesso vale per le vie ferrate, qualche via ferrata non ci sta male se non le fanno dappertutto, io capisco per esempio che l’accesso ai rifugi dove c’è un posto pericoloso bisogna mettere una fune o qualcosa, ci possono stare perché quelli che vanno ai rifugi non sono sempre alpinisti, non li vogliamo far morire, però sui percorsi che non sono più le vie ai rifugi è un altro paio di maniche.
Molte volte oggi non importa più il rispetto per la montagna, con queste corse di competizione la montagna non perde la sua importanza?
Queste proposte le ho trovate persino, purtroppo, anche sui depliant di guide austriache e mi è venuta la pelle d’oca a leggere questo; dov’è l’aspetto della montagna, la montagna non è solo una struttura per esercitarsi. Una volta a Cervinia ho visto un film premiato niente meno che dal CAI, dove si vedono alcuni alpinisti (che non sembrano alpinisti, nel cuore non lo so) con grandi materassi e spazzole di ferro che camminano in un bosco, credo vicino a Torino: trovano una roccia ricoperta di muschio, bella, con tutte le sue felci, cominciano a raspare via tutta questa vegetazione, tutto quanto fino a quando la bella roccia è nuda, creando praticamente ciò che in città possono avere più semplicemente, cioè una parete artificiale con appigli artificiali. Esistono anche pareti in natura dove avvitano appigli artificiali, questo vuol dire che la parete di arrampicata artificiale viene esportata dalla città in natura, è orribile. Queste persone sono pigre perché queste pareti ancora belle richiedono sempre un certo cammino per raggiungerle, ma loro vogliono arrivare con l’automobile non molto lontano e così piuttosto di andare in montagna e farsi la via là come la natura l’ha fatta prendono la spazzola e rovinano tutto un ecosistema che la natura ha creato sulla roccia. Mamma mia, ma dove siamo andati a finire?
In questo purtroppo io vedo un grande pericolo; io capisco ad esempio le gare sulle pareti artificiali per vedere chi è più veloce eccetera, non le capisco se uno vuole fare tre pareti in un tempo inferiore dell’altro. Ci sono anche bravi corridori in montagna che se la godono di trovarsi là veloci come una gazzella in Africa, è loro piacere, le montagne danno anche la libertà di potere fare questo, però nel momento in cui cominciano a farlo in competizione con altri allora la montagna ha perso il suo valore di essere una montagna, è solo una struttura e basta. Mi hanno invitato con le mie conferenze là dove ogni anno fanno competizioni su pareti artificiali e io sono andato volentieri perché faccio vedere la montagna com’è, se questa gente non dimentica la montagna questi esercizi sulle palestre sono un bene perché saranno più bravi e più sicuri, però in testa non devono dimenticare la montagna e non devono trasferire queste cose artificiali in montagna, stiano sulle palestre naturali senza rovinarle. Le conseguenze di quelle pareti artificiali sono un bene, ma se vengono esportate e fanno diventare la montagna una parete come quelle in città non va bene, è assurdo. Chi vuole fare un 9b e probabilmente vola tre volte fino alla quarta volta in cui ci riesce capisco che vuole un chiodo che tiene, non vuole morire, va bene, ma allora questo però non va trasferito sulla montagna, ci sono dei limiti; i chiodi a espansione vanno bene là dove ci sono le soste se si cambiano i vecchi chiodi arrugginiti, lo vedo ancora, ma se è difficile e si deve essere veramente bravi per salire allora non ci vuole il chiodo a espansione.
Dopo molti anni mi è venuto in testa il vero termine tecnico, “la barriera della fatica”, e questo è veramente la chiave: davanti ai gioielli della natura deve rimanere la barriera della fatica, perché nel momento in cui la si distrugge arriva la marea. Il ghiacciaio Baltoro prima che esistesse la strada che arriva ad Askole non era così affollato, ma da quando hanno fatto questa strada ormai una gran parte della fatica non c’è più, basta tenersi saldo sulla jeep sperando che non cada giù nella gola e arrivi, con un gran mal di testa perché non sei acclimatato, una marea di gente sale verso il Baltoro e così l’acqua è rovinata. Quanta gente con il mal di pancia ho incontrato nel 2004 quando sono salito, metà della gente aveva qualcosa, anche la bollitura non serve abbastanza perché a queste quote l’acqua non si riscalda più per disinfettare tutto e l’acqua è rovinata perché hanno rovinato la barriera della fatica. Non è giusto nemmeno dal punto di vista etico, se voglio vedere una grandiosa montagna come il K2 perché non devo fare fatica per arrivarci? Sul circo Concordia un elicottero pakistano ha scaricato cinque giapponesi ed altri due locali che portavano l’ossigeno, hanno fatto cento metri fino a dove si vede bene il K2, hanno fatto le foto poi sono tornati all’elicottero e se ne sono andati.
Le spedizioni commerciali in gran parte sono negative perché, con qualche eccezione, non hanno un vero test dei clienti, basta pagare e allora succede che anche chi non è un alpinista con grande esperienza arriva in cima grazie all’ossigeno che gli porta uno sherpa, magari non deve neanche portarlo lui perché c’è dietro uno sherpa con un lungo tubo così lui può respirare. La grande tragedia al K2 del 2008 ha fatto vedere che il sistema non va, quelli che sono riusciti a passare sopra il “collo di bottiglia” non hanno potuto tornare indietro perché il seracco è caduto ed ha tirato giù tutte le corde fisse che erano sotto; qualcuno bravo è riuscito a scendere, ma in totale ci sono stati 11 morti.
Fabio Valentini