Il fuoco e il ferro

Degli incendi che consumano i boschi della Sardegna, tra la calamità e il dolo, noi che viviamo in altre regioni siamo a conoscenza per lo più attraverso gli organi di informazione. Ma, meno conosciuta e più subdola, oltre al fuoco c’è un’altra emergenza che colpisce l’isola ed attrae la nostra attenzione: quella del ferro.
Introduciamo una nota di colore. Il filu ferru è un liquore tradizionale sardo, si dice il suo nome derivi dal fatto che i produttori clandestini nascondevano i contenitori con il distillato e gli alambicchi sottoterra e, per poterne individuare la posizione esatta in momenti successivi, li legavano con uno o più fili di ferro con un capo che sporgeva dal terreno. Forse per proseguire nella tradizione, da alcuni anni i cavi metallici sulle rocce della Sardegna stanno proliferando in modo esponenziale per condurci ad “assaggiare” le specialità locali; peccato che queste ultime non siano prodotti alimentari, bensì in molti casi aree protette o zone a rischio che vengono attrezzate ad uso turistico con la creazione di percorsi attrezzati e vie ferrate, per lo più abusive.


Febbraio 2013. Ci giunge la segnalazione della presenza di installazioni fisse (tasselli a espansione, ecc.) arrugginite e centinaia di metri di corde abbandonate ed incustodite sulla parete di roccia “Giorrè” in Valle Magòla, nel Comune di Cargeghe (SS), un’area ad alto rischio di frana, nessun cartello di cantiere che indichi la presenza di lavori legali in corso. Il Comune, dopo solleciti, un paio di mesi dopo risponde che si tratta di materiale destinato alla realizzazione di una via ferrata progettata e finanziata dal Comune stesso; afferma che ci sono le autorizzazioni necessarie, che in quella zona non esiste disturbo ai rapaci, che il responsabile dei lavori ha le abilitazioni necessarie. Il mese seguente, maggio 2013, il percorso viene inaugurato (/).
Volendo approfondire la conoscenza sugli aspetti ambientali della località, in ottobre MW commissiona ad esperti locali un monitoraggio qualitativo sulla presenza dell’avifauna nelle pareti in cui è stata realizzato il percorso con installazioni fisse ed una relazione geologico-ambientale sulla struttura rocciosa. Dalle relazioni emerge che il tracciato del percorso interseca nidi e siti di specie dell’avifauna protette; inoltre il progetto è stato realizzato in un’area carsica, studiata sin dal 1991 per l’instabilità dei versanti. Lungo il percorso è presente un blocco a rischio molto elevato di frana il cui volume è stimato in 1200 m3.
Il lungo braccio di ferro (eccolo, il metallo che ritorna!) con la burocrazia, un susseguirsi di rimpalli tra le varie amministrazioni, permette al realizzatore dell’opera di continuare ad accompagnare i turisti -a pagamento- su questo itinerario. Ad oggi a nulla sono valsi nemmeno i nuovi documenti acquisiti, né un aggiornamento della relazione geologico-ambientale (40 pagine), né tantomeno una perizia svolta dalla Commissione Abusivismo del Collegio Nazionale Guide Alpine che giunge alle seguenti conclusioni: a) Lo stato della struttura risulta evidentemente non rispettante le normative di costruzione (posa in opera) su questa tipologia di impianti; b) Progettista e costruttore appare il sig. Corrado Conca, il quale non possiede i requisiti di legge né per la progettazione, né per la posa in opera di strutture di edilizia civile; c) Non risulta altresì dalla nostra ricerca che vi sia stato collaudo dell’opera nelle condizioni previste all’art. 67 DPR 380/2001 (https://www.guidealpine.it/assets/pdf/perizia.pdf).


Nel recuperare la documentazione ci imbattiamo un un’altra opera realizzata dal medesimo costruttore: si tratta della via ferrata Cabirol sul promontorio di Capo Caccia ad Alghero (SS), presunta data di nascita 2009 (http://www.ferratacabirol.it/). Nel 2016 inizia un nuovo, estenuante scambio di lettere con le amministrazioni; anche in questo caso si parla di una zona a rischio frana e soggetta a disturbo ai rapaci, in più le pareti insistono in area SIC-ZPS, rientrano nel parco naturale regionale “Porto Conte” e sono contigue all’area marina protetta “Capo Caccia / Isola Piana”. Infine, “Molti ancoraggi sono stati realizzati con acciai non idonei per atmosfere aggressive come le zone marine (…) Lo stato dei materiali messi in opera è fortemente alterato da fenomeni di corrosione non sempre visibili e controllabili, a causa dell’utilizzo di materiale improprio al luogo di posa. Questo può portare alla rottura improvvisa ed inaspettata degli elementi strutturali, anche sotto carichi limitati”. Al momento la via ferrata Cabirol risulta interdetta ai frequentatori.
Purtroppo la corsa alla chiodatura selvaggia non si è fermata, anzi. Complice un atteggiamento quantomeno di sottovalutazione del fenomeno da parte delle autorità competenti, le segnalazioni si sono moltiplicate. Siamo intervenuti nel 2018 presso il Comune di Baunei (NU) per segnalare la realizzazione di percorsi di scrambling (itinerari misti di arrampicata ed escursionismo) e abseiling (discese in corda doppia) in area SIC-ZPS; nel 2019 presso il Comune di Lanusei (NU) per un percorso alpinistico dalle caratteristiche simili in località Monte Tricoli; lo scorso dicembre, appena pochi mesi fa, presso il Comune di Padru (SS) per la costruzione di una teleferica di 100 metri di cavi d’acciaio, l’unica fissa in tutta la Sardegna, posata a 80 m di altezza ed ancorata alle balze rocciose del fiume Canale d’Iserno, realizzazione patrocinata dalla stessa Giunta comunale e alla quale si aggiunge la posa di un tratto di via ferrata allestito con gradini di metallo, catene ed ancoraggi con fune metallica di sicurezza.
E’ solo di pochi giorni fa infine la segnalazione al Comune di Dorgali (NU) di un parco ludico a carattere alpinistico realizzato nella gola del Rio Flumineddu, parte meridionale del lago Cedrino. Sul giornale “L’Unione Sarda” del 20 febbraio 2020 compare un articolo dal titolo eloquente: Ponte Tibetano, oltraggio al Supramonte. Scrive il giornalista: “Una serie di ponti tibetani sospesi sopra la gola del Rio Frumeneddu: questo è quello che appare in alcune immagini diffuse ieri sui social. Le strutture in questione consistono in cavi d’acciaio sospesi fra le pareti del canyon”. Leo Fancello, esperto speleologo e autore di numerose pubblicazioni, afferma che “il Supramonte non è un Parco Giochi” mentre il geografo Matteo Cara spiega che non si possono realizzare senza autorizzazioni simili costruzioni e pone una domanda: “il tentativo di volere addomesticare il territorio è opportuno?”
Ormai i percorsi abusivi di questa tipologia in Sardegna, tra vie ferrate, sentieri attrezzati e itinerari di scramblig e abseiling, superano i 60. Iniziative individuali “fai da te” dilagano su tutto il territorio regionale cementando gradini, tendendo cavi, inchiodando appigli artificiali, tagliando alberi. Lo chiamano Turismo Attivo ma di attivo c’è solo la smania di attrezzare con metallo ogni angolo protetto, non ci può essere assenza di pianificazione e autorizzazioni, controllo e sicurezza. Costringere le amministrazioni comunali a caricarsi di responsabilità per queste attrezzature realizzate da persone prive delle necessarie qualifiche, in località e con modalità non corrette, non vuole dire “promuovere il turismo attivo” ma solo mettere in pericolo i fruitori e in cattiva luce gli amministratori, a discapito dell’ambiente.
La Sardegna a ferro e fuoco, dunque? Confidiamo nella collaborazione delle autorità locali per porre un freno a questa deriva, prima che sia troppo tardi.

https://www.youtg.net/canali/in-sardegna/23145-ponti-tibetani-d-acciaio-sopra-il-canyon-uno-sfregio-al-supramonte

https://www.gognablog.com/sardegna-ferrata-selvaggia/

https://www.lanuovasardegna.it/regione/2017/10/12/news/la-denuncia-di-grig-ferrate-di-alghero-abusive-1.15982553

Fabio Valentini