Il Nepal dopo il terremoto
Per non dimenticare, due interventi di Tona Sironi e Fausto De Stefani.
Maria Antonia “Tona” Sironi, Eco Himal
www.ecohimal.it
Dopo quasi un anno dal terremoto nei villaggi montani del Nepal la vita riprende, sia pure faticosamente. Rifugiati dal diluvio del monsone sotto lamiere e teli di plastica durante l’estate, accoccolati in inverno presso il fuoco di ramaglie raccolte sotto la neve, si può dire che i nepalesi delle aree montane non siano dei rinunciatari. Forse per loro si può parlare di una capacità di adattamento straordinaria. Come straordinaria è la loro capacità di sorridere anche in situazioni particolarmente difficili. Forse sono questi due fattori a far sì che noi occidentali ci innamoriamo di loro e di questo paese.
“Anche quando affrontiamo grosse fatiche sorridiamo”, annota in un film uno sherpa d’alta quota mentre si toglie dalle spalle uno zaino piu pesante di lui. “E’ questo che voi occidentali vi aspettate da noi”. Eppure questa non è solo una maschera di servizio. Il sorriso fa parte del loro modo di intendere la vita, che è intesa come cosa transitoria, aperta alla continuazione, se ti fai un buon karma.
Io però, personalmente, piu di una volta li ho anche visti piangere.
Eppure anche adesso che il terremoto li ha messi “con il culo per terra”, che ha tolto loro il posto dove dormire, dove preservare i pochi beni rimasti, sorridono.
Ai terremoti i nepalesi, come i tibetani, sono abituati. I più antichi di cui esiste una registrazione risalgono al 1300. Secondo gli antichi testi tibetani nel sottosuolo del Tibet c’è una demonessa, immensa e feroce, cui sono legati monumenti, templi, e numerose vicende storiche.
Anche il versante meridionale dell’Himalaya, ha suoi spiriti e i suoi personaggi misteriosi. Il principale è il Lu Gyalbo (gyalbo in tibetano significa re) mentre i Lu sono gli spiriti del sottosuolo e delle acque che corrispondono ai Naga della tradizione sanscrita. Tutti sono sottomessi al sovrano. Sono loro che preservano la pulizia dei ruscelli e delle sorgenti e ne pretendono il rispetto. Il Lu Gyalbo ha un carattere irascibile e quando si arrabbia si agita, e quando si agita la terra trema…
“Il Lu Gyalbo ha mosso la cresta” è stato il commento di un anziano monaco di Namche Bazar, la “capitale” del Khumbu. A riportare questo commento è stato un ricercatore italiano che si trovava sul posto il giorno del terremoto.
A pensarci bene, se come Lu Gyalbo intendiamo le forze della natura e il loro equilibrio, anche la parte razionale del nostro cervello può aderire all’immagine.
La ricostruzione nei villaggi di montagna non è facile. Immensi sono i problemi di trasporto del materiale anche se la tendenza porta ad utilizzare al massimo il materiale del posto. Qualcuno propone di usare una struttura portante elastica, di metallo leggero, o di legno, da riempire in entrambi i casi con mattoni fatti sul posto.
In Tibet ho visto preparare i mattoni, senza cuocerli, mescolando fango e erba secca e fatti asciugare, in modo da creare contemporaneamente un certo isolamento termico.
Scarsa lassù è la mano d’opera qualificata. Buona parte degli uomini validi sono via, come un tempo i migranti stagionali delle valli alpine che andavano a fare gli spazzacamini o i muratori “in Merica”.
E poi, c’è di mezzo la politica. Ma questo vale per tutto il Nepal e non solo per le zone montane.
Scioperi, rivalse, giochi di potere con i paesi confinanti – al momento attuale con l’India, il potente vicino da cui il Nepal riceve buona parte dei beni che permettono la sopravvivenza. Come conseguenza da alcuni mesi vi è il blocco delle importazioni. Oggi in Nepal è difficile trovare i più semplici mezzi di sussistenza, ovvero il loro prezzo è salito alle stelle. Non c’è carburante, e quel poco lo acquisti a prezzi stratosferici.
“L’equivalente di 5 euro per litro,” mi hanno raccontato i due soci di Eco Himal che rientravano da un viaggio di supervisione, iniziato quando le cose erano ancora relativamente tranquille. Non c’è gas per cucinare. “Le bombole già spedite per l’uso nelle vallate vengono riportate in città. Vedi in giro uomini, ma sopratutto donne, con il carico di legna sulle spalle. Li portano sui tetti ove accendono il fuoco e cucinano”. Una immagine “goduta” all’inizio degli anni ottanta dai pionieri dei viaggi in Nepal.
I motivi del blocco vengono spiegati in vari modi. Pare sia un problema della nuova costituzione e del riconoscimento dei diritti per alcuni gruppi etnici di minoranza – nel Nepal i gruppi etnici diversi sono 125 e, come ufficialmente e pomposamente dichiarato, “vivono in armonia fra loro”. Ogni tanto i due governi si mettono d’accordo, il blocco si allenta, qualche camion di derrate transita… poi tutto si blocca di nuovo.
Dal nord ci sarebbe invece via libera, favorita anzi a livello politico. Possiamo addirittura immaginare che alla Cina non sembri vero potersi allungare verso il vicino stato cuscinetto. Del resto abbiamo visto la solerzia, e la professionalità delle squadre di soccorso cinesi inviate subito dopo il terremoto. Adesso dalla Cina arrivano i camion con i rifornimenti. Certo!
Ma… avete mai attraversato l’Himalaya?
La catena che a ridosso del Nepal innalza le sue cime maggiori – fra cui lo stesso Everest – è solcata da un esiguo numero di fiumi che dal plateau a circa 5000 metri di quota cominciarono a scorrere verso sud mentre le montagne si innalzavano (siamo nel periodo geologico del Miocene). E così hanno continuato, fino a tagliarle con forre profondissime, spaventose (o meravigliose secondo i punti di vista) con alcuni dei massimi dislivelli del mondo. Fra questi la famosa Kali Gandaki fra l’Annapurna e il Dhaulagiri.
Ma se invece di muovervi a dorso di cavallo, o di yak, provate a disegnarvi una strada carrozzabile, nonostante l’eccezionale tecnologia moderna cinese, potreste incontrare non poche sorprese.
Fra queste la strada principale, quella del “Ponte dell’Amicizia”, che turisti ed alpinisti percorrono per recarsi in Tibet e che passa accanto allo Shishapangma, quella che qualcuno già definisce mozzafiato, è ora bloccata dal terremoto. E le altre… sì, qualcosa passa, ma ci vuol altro.
Anche se questo è il contesto, in Nepal si parla di ricostruzione. Chi aggiusta la propria casa non si limita a mettere pietra su pietra, bensì vi inserisce qualche tronco, in orizzontale, che “tenga” in caso di una nuova scossa. il legno è diventato materiale preziosissimo e per evitare il disboscamento selvaggio il governo ha imposto la richiesta di un permesso, che è gratuito, ma che impone una certa regolmentazione.
Dall’estero arrivano aiuti. Certo, e non pochi. Non c’è alpinista o escursionista che sia stato in Nepal e che alla notizia del disastro non sia rimasto colpito e commosso al ricordo di chi lo ha accompagnato fra le montagne dei suoi sogni. Sono nate iniziative private, pubbliche, di gruppi, di associazioni e i fondi sono arrivati là. Ma là dove…
Molti sono arrivati a privati che si sono adoperati a favore della comunità di appartenenza. Abbiamo visto foto commoventi di distribuzione di cibo, coperte, teloni di plastica. Specie dove i partner locali si erano organizzati in associazioni piu o meno piccole, ma molto efficienti.
Adesso il governo impone e controlla che i riceventi siano associazioni. E’ una restrizione governativa preziosa che mira ad evitare la dispersione in mille rigagnoli privati…
Che cosa si ricostruisce? Aiutare il singolo è difficile, soprattutto perché è difficile scegliere. Chi aiuti? Con quale criterio privilegi questa o quella famiglia? Con il rischio, non solo nepalese, che a trarne vantaggio siano i soliti furbi, quelli che probabilmente hanno meno bisogno.
Ecco allora le strutture di uso comune.
Gli health post, ovvero le infermerie locali, e le scuole distrutte o danneggiate sono migliaia. In questo caso i fondi passano dal donatore ad una associazione nepalese, che come tale deve avere un revisore dei conti, e da questa alla comunità che gestisce la struttura. E’ uno schema che sembra funzionare, e che potrebbe continuare anche quando il silenzio dei media cadrà inevitabilmente anche su questo popolo meraviglioso che lotta con passione per la propria sopravvivenza.
Concludo con due parole sul turismo che per il Nepal è attività primaria. In un suo recente viaggio in Italia, Ang Tshering, presidente della Nepal Mountaineering Association ha descritto le molteplici iniziative che la sua associazione sta facendo per il recupero del turismo. Ha sottolineato che per ripristinarlo occorrono strutture efficenti e sicure, ma occorre anche evitare, o per lo meno limitare i danni apportati da un afflusso troppo massiccio di persone in un ambiente fragile e delicato come quello dell’alta quota. Con il terremoto è divenuta familiare l’immagine della fila smisurata di gente che sale sull’Everest in una giornata di bel tempo. Ma in un film sulla salita all’Everest Ang Tshering ci ha mostrato come gli sherpa scendono dalla montagna carichi dei rifiuti.
“Tutto quello che sale deve anche scendere!” E’ il commento. “Basta con l’Everest spazzatura.”
E’ una battaglia anche questa, meno vistosa, ma non meno indispensabile di quella per la ricostruzione degli edifici martoriati dal “colpo di cresta del Lu Gyalbo”.
Che questa spallata sia la difesa del sottosuolo contro la progettata ferrovia Lhasa – Kathmandu, e che passerebbe, pare, proprio attraverso il suo territorio?
Intervista a Fausto De Stefani
presidente onorario di Mountain Wilderness Italia onlus
E’ passato quasi un anno dal disastroso terremoto dell’aprile 2015, com’è ad oggi la situazione a Kathmandu e a Kirtipur?
Sono tornato di recente dal Nepal dove ho effettuato il secondo viaggio post terremoto per rendermi conto personalmente della situazione, a distanza di mesi dall’evento catastrofico che ha colpito il Paese: Khatmandu, Kirtipur e altre centinaia di piccoli villaggi sparsi nelle vallate dell’Himalaya. Come si sa, i danni sono stati incredibilmente ingenti: oltre 8.800 le vittime, i feriti non si contano, lo straordinario patrimonio artistico-culturale in gran parte perduto. L’emergenza non è mai cessata.
Ancora oggi i bisogni sono urgenti e gli aiuti non sufficienti. Il problema c’è ancora ed è enorme nonostante il silenzio dei media i quali, solo all’inizio, hanno pompato numeri e cifre, creando un sensazionalismo esagerato. Ora, però, hanno spento del tutto i riflettori e anche la Comunità internazionale è pressoché assente.
Non avrei voluto vedere quello che visto; una catastrofe umanitaria, una guerra fra poveri per ottenere riso, viveri e generi di prima necessità.
Come associazioni, non riusciremo a far fronte ai problemi attuali del Nepal, servono aiuti cospicui per risollevare la Nazione. Questo lo dico malgrado la raccolta fondi sia andata benissimo; solo noi attraverso la Fondazione senza Frontiere Onlus, abbiamo raccolto – dalla fine di aprile ad oggi – più di 760.000 Euro, distribuito 1.400 quintali di riso, olio, lenticchie, più di 45.000 coperte, 67.000 lamiere e bamboo. Per gli aiuti alla popolazione, ci siamo avvalsi dell’aiuto di volontari e di Emergency che, all’interno della Rarahil Memorial School -i cui edifici non hanno riportato lesioni- hanno installato il loro campo base per fornire un servizio di assistenza sanitaria e di distribuzione tende.
Sono cifre importanti, ma ancora c’è tanto da fare.
Ci vorranno anni di sostegno alla popolazione per tornare alla normalità e questo è preoccupante, considerando il disinteresse totale al problema e il silenzio calato come un velo a coprire il dramma per non volerlo vedere, compreso quello dell’embargo indiano che ufficialmente non esiste.
Il blocco delle importazioni di carburante e merci dall’India sta creando difficoltà alla popolazione? Quale può essere la ragione di questo comportamento da parte del governo indiano?
Assolutamente sì. Le conseguenze dell’embargo sono evidenti. Mancano combustibili, forniture di gas, medicinali, cibo. La popolazione è costretta a utilizzare la legna per il riscaldamento, la cottura del cibo e l’acqua calda; il governo ha bandito l’uso delle auto private. I costi dei trasporti – e non solo di quelli – sono triplicati e questa situazione sta portando anche al fiorire di un mercato nero per il commercio delle merci che mancano, aumentando sempre più il divario tra i ricchi e i poveri che sono sempre più emarginati. Basta dire che un litro di benzina, al mercato nero, costa 3 euro e 50! La scarsità della benzina, ovviamente, rallenta il lavoro delle organizzazioni umanitarie che hanno difficoltà a muoversi per distribuire cibo e beni di prima necessità. Dal punto di vista ambientale, se l’embargo continuasse, l’abbattimento incontrollato degli alberi potrebbe causare danni climatici irreversibili oltre che un aumento considerevole dell’inquinamento.
L’embargo dell’India è cominciato nel settembre 2015, cioè quando è stata approvata la prima Costituzione laica, federale e democratica del Nepal che ha fatto scoppiare una serie di episodi di violenza in tutto il paese tra la polizia e le minoranze etniche che si sentono discriminate. In realtà la crisi è di natura economica in quanto il Nepal è un paese ricco di risorse idriche di cui l’India vuole continuare ad avere il controllo.
Il turismo è la risorsa economica più importante per il Nepal: come possono essere d’aiuto oggi gli alpinisti e gli escursionisti? Tornare a frequentare le valli sconvolte dal sisma potrebbe risollevare l’economia locale o sarebbe un intralcio alla faticosa ricostruzione?
Sì, effettivamente il turismo rappresenta la risorsa economica più consistente del Paese; basti pensare che la sua industria, si stima valga oltre un miliardo di dollari e impieghi circa mezzo milione di persone, tra cui molti giovani e donne. Dunque è auspicabile che presto il governo possa ripristinare, e in sicurezza, tutte le infrastrutture atte ad accogliere nuovi turisti e viaggiatori.
Ma ciò non toglie che un certo alpinismo – e aggiungo un certo ambientalismo – siano insopportabili, perché continuano ad ignorare quello che c’è realmente sotto alle vette. La Langtang Valley e la Valle delle montagne di Gorkha, ad esempio, sono state rase al suolo e c’è tanto da fare. Sarebbe l’occasione giusta affinché si cominciasse ad aprire gli occhi, a fare, a sporcarsi le mani aldilà di nobili filosofie e delle tante chiacchiere inutili. Usare l’esperienza, l’energia e le capacità organizzative per aiutare, nella ricostruzione. Smetterla una volta per tutte con l’egosimo da prestazione, sotto a quelle montagne, c’è un Paese distrutto, che soffre, che è dimenticato dal mondo.