La carta di Fontecchio

Un intervento del presidente di MW Italia, Carlo Alberto Pinelli.

a Carta di Fontecchio rappresenta insieme la sintesi e la rielaborazione delle conclusioni emerse durante il convegno “Parchi capaci di Futuro”, organizzato nella cittadina abruzzese di Fontecchio nel giugno del 2014 da un gruppo nutrito di associazioni ambientaliste, tra le quali WWF, Italia Nostra, Lipu, Pronatura, FAI, Touring Club, Mountain Wilderness. Ci si può chiedere perché sono stati necessari due anni per giungere a questo risultato conclusivo. Le ragioni sono molte e non credo sia necessario enumerarle. Dirò soltanto che alle spalle c’è stata la non facile esigenza di formulare un testo capace di porsi come una “pietra miliare” nella evoluzione del rapporto tra la Natura (in tutte le sue declinazioni ecologiche, ambientali, estetiche, culturali) e i cittadini italiani. Un testo che pur volando alto, non perdesse di concretezza e non fosse destinato a restare un libro dei sogni. Magari anche pregevole, ma sterile. In questa prospettiva -argomenta la Carta- il potenziale ed auspicabile ruolo dei Parchi Nazionali, e più in generale della natura protetta, dovrebbe essere quello di un trampolino per aiutare l’intera Nazione a spingere lo sguardo più in là, accogliendo in chiave laica anche i preziosi suggerimenti che costituiscono la colonna vertebrale dell’Enciclica pontificia “Laudato Si’”. Gioverebbe ispirarsi, in questo percorso, a una frase famosa di Gregory Bateson che dice; “I problemi principali del mondo sono il risultato della differenza tra il modo con cui la natura opera e il modo con cui l’uomo pensa.” Se ciò è vero, ne consegue che la soluzione dei nostri problemi, su scala locale e mondiale, deve passare attraverso la conquista di un pensiero nuovo. Un pensiero rivoluzionario che non si ponga come antagonista dell’opera della natura e di conseguenza possa condurre l’umanità intera alla riscoperta di un linguaggio comune o per lo meno compatibile con le esigenze del pianeta fisico in cui ciascuno di noi vive e si muove.
La Carta di Fontecchio ha esattamente questa ambizione. Ambizione di volare alto, fino a sfiorare i confini della profezia, che poi sono gli unici veri confini dell’ambientalismo illuminato. Però senza perdere il contatto con il suolo. Nessuno di noi vuole essere paragonato a quei nobili padri di famiglia che nel chiuso dei loro club esclusivi spiegano agli amici quali dovrebbero essere le qualità di un buon marito per le proprie figlie, mentre allo stesso tempo in un municipio poco lontano quelle stesse figlie si stanno sposando alla chetichella, magari addirittura con un camorrista. Va detto con assoluta chiarezza che la Carta di Fontecchio non è nata come risposta difensiva ai disegni di legge per la modifica della legge quadro 394/91 che stanno per uscire dalla Commissione Ambiente del Senato. Ma noi non possiamo fare finta che quei disegni di legge non siano sul punto di essere votati. Pur ammettendo la buona fede dei loro estensori, le modifiche proposte sono il risultato di una visione asfittica, abborracciata, di corto respiro del ruolo potenziale della natura protetta e porterebbero ad un’ulteriore marginalizzazione dei Parchi Nazionali italiani. Proprio l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno!
La Carta di Fontecchio sostiene un approccio diametralmente opposto: dimostra con forza e credibilità la necessità di riportare la natura e il rapporto con la natura al centro dei progetti di sviluppo del nostro paese. Uno sviluppo certamente liberato dalla vischiosa ragnatela degli interessi mercantilistici e consumistici e volto piuttosto alla valorizzazione, anche economica, dei beni immateriali.
Alla base della Carta c’è la certezza che la Natura è, e deve essere considerata in tutte le sue sfaccettature, come un bene comune. In quanto tale non può essere ristretta e soffocata nella morsa degli interessi privati e del possesso egoistico, siano essi di carattere individuale o di gruppo.
A questo proposito la Carta parla chiaro, con una voce non troppo dissimile da quella del Pontefice. Ogni decisione sull’uso o la modificazione del bene comune deve essere presa con estrema cautela, in armonia con la partecipazione dei cittadini. Attraverso un dialogo costante, tenace, franco. Nel pieno rispetto della dignità di tutti, si condividano o non si condividano i punti di vista che essi difendono. Ogni sforzo deve essere compiuto per favorire le giuste aspirazioni delle popolazioni locali, purché compatibili con la rigorosa tutela della biodiversità e del valore del paesaggio. I conflitti che hanno troppo spesso paralizzato lo sviluppo dei Parchi Nazionali possono essere superati solo attraverso la partecipazione e la reciproca fiducia, senza tuttavia rinnegare la necessità di una “cabina di regia” di livello per lo meno nazionale in grado di sollecitare tutti a guardare lontano e di pilotare con saggezza le scelte cruciali.
A volte, parlando di Parchi Nazionali, l’attenzione si concentra soprattutto sui temi connessi con la biodiversità e pone in secondo piano la tutela del paesaggio. La Carta di Fontecchio ci ricorda che questo è un errore. Ma cosa si intende per “paesaggio”? Innanzitutto il paesaggio identitario, frutto dell’interazione millenaria tra gli abitanti e la natura in cui vivono, un baluardo in difesa delle tradizioni e delle radici di ciascun territorio; ma anche, contestualmente, paesaggio come espressione della bellezza e del valore della bellezza per la completa ed armoniosa realizzazione della nostra qualità di esseri umani. La difesa della bellezza non è l’ubbia di una minoranza di esteti retrogradi. Non è nemmeno la ciliegina sulla torta, alla quale ci si può dedicare solo quando tutti gli altri bisogni materiali siano stati soddisfatti. La percezione della bellezza è una delle poche cose che ci distinguono dagli altri esseri viventi, in una con il linguaggio articolato. Solo noi, esseri umani, siamo capaci di commuoverci di fronte a un tramonto, o al fascino estetico di un faggio centenario, o ai versi di un poeta. Questa predisposizione (anche se le sue declinazioni sono soggettive e possono mutare con lo scorrere dei secoli) mantiene un significato profondo al quale troppi oggi riservano scarso interesse. Dovremmo invece meditare tutti seriamente su un’altra frase di Bateson, il quale ebbe il coraggio di sostenere che il pensiero umano, quando accoglie in sé i linguaggi unificanti della poesia e della metafora, diventa automaticamente il pensiero della natura, intesa nella sua globalità. Liquidare le preoccupazioni estetiche come un qualcosa di superfluo -e la poesia come un imbarazzante infantilismo- contribuisce a svilire il respiro della nostra presenza sul Pianeta. Per questo, accennando ad uno dei tanti possibili dettagli operativi, la Carta di Fontecchio ipotizza la necessità dell’inserimento all’interno degli enti parco non solo di rappresentanti della scienza, ma anche di rappresentanti del ministero dei Beni Culturali. Per la competenza di quel ministero riguardo al paesaggio e insieme per la presenza, all’interno dei confini dei Parchi Nazionali italiani, di numerose emergenze architettoniche, storiche, archeologiche.
Una cosa è certa: i Parchi Nazionali da soli, nella situazione in cui oggi si trovano, non potranno mai contribuire efficacemente a quell’inversione di rotta auspicata con grande lucidità dall’articolato della Carta di Fontecchio. Da soli i Parchi non ce la faranno ad uscire dalla marginalità alla quale il cinismo della politica e l’ottusità burocratica li hanno costretti fin dal momento della loro nascita. Occorre un’alleanza strategica “dal basso”. Il ruolo dell’associazionismo ambientalista dovrebbe essere quello di renderla possibile e praticabile. Bisogna che ogni area protetta venga trasformata nel punto nodale ed apicale di una rete che coinvolge ed avvolge l’intera geografia naturale del paese, anche se con diverse modulazioni.
In gioco non c’è solo la sopravvivenza dei singoli parchi o della biodiversità che essi difendono. Non temiamo di affermarlo, pur senza compiacenze melodrammatiche: in gioco, a ben vedere, c’è il destino dell’intero Pianeta. La nostra casa comune.

Carlo Alberto Pinelli

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