La dignità delle montagne

da Notiziario di Mountain Wilderness n. 1 – gennaio 1989 di Alessandro Gogna

Per anni ho creduto che le montagne fossero più forti dell’ uomo e che alla fine ogni aggressione avrebbe avuto la sua degna con­tromisura. Per anni ho creduto di essere circondato da esseri umani che con­dividevano il mio modo di sentire la natura. Per anni quindi ho delegato al buon senso comune il compito di arrestare uno scempio continuo. Il mio ottimismo di fondo mi impediva di vedere la realtà, la mia gioia nella scalata e nella scoperta nascondevano le mille crepe che si andavano aprendo.

Oggi mi accorgo che la montagna in genere è “USATA”; ma più in particolare la roccia, i boschi, i prati, l’acqua, i panorami e perfino il montanaro sono “USATI”. Il consumo non rispetta più nulla, altera i concetti di bellezza, impedisce alla gente di guardare senza fotografare, di percorrere senza raccogliere fun­ghi o mirtilli.

Quando esisteva ancora la necessità di raggiungere una vetta per coronare una salita era meglio, perché oggi si sta sostituendo a ciò il consumo di una bella roccia esposta al sole per qualche centinaio di metri di dislivello.

Champoecher. Foto: Sergio Ruzzenenti

 

Prima il rispetto della dignità di una montagna era legge comune, oggi ci si può coprire di ridicolo se si sostiene che i record non servono che a ridicolizzare la montagna.
Una volta sostenevo che dovevamo continuamente imparare da tutti, anche dai più giovani di noi. Oggi mi è difficile continuare que­ste affermazioni, specie dopo il successo delle competizioni di arrampicata.
Sto certamente invecchiando, ma non mi sento di concedere più nulla alle persone che non “sentono” come me. E’ la continua lotta di chi vede la montagna come una discoteca con chi la vive come un tempio.

L’idea di aderire a Mountain Wilderness e quindi di collaborare assai attivamente è stata una spalmata d’unguento benefico su vecchie piaghe mai richiuse. La convinzione che vi siano tanti appassionati che finora hanno sofferto in silenzio è provata nella sua verità dall’interesse che l’associazione ha risvegliato at­torno a sé.
Per riassumere le puntuali e mediate Tesi di Biella, che costi­tuiscono il fondamento della nostra associazione, Mountain Wil­derness basa le sue motivazioni principalmente nell’esigenza, at­tuale e prioritaria, di difendere gli ultimi spazi incontaminati del nostro pianeta, con particolare riferimento alla montagna.

A questo riguardo coesistono molte opinioni: c’è chi pensa che sia estremamente importante difendere l’Himalaya dall’assedio delle corde fisse e della spazzatura, c’è chi vorrebbe maggiore attenzione per le nostre povere Alpi massacrate ogni giorno dai turisti, dagli operatori turistici, dagli alpinisti, dai Club Al­pini, dagli impresari edili, dagli sciatori, dai cacciatori, dai cavatori, da custodi di rifugi senza scrupoli, e da tanti altri.
Siamo giunti ad una situazione tale di degrado che non si può più volgere lo sguardo dall’altra parte e consolarsi pensando che si troverà comunque un angolino per sé.

Per essere chiari, Mountain Wilderness accetta le posizioni di un abitante della valle, di un addetto alle funivie o di una guida alpina che, pur condividendo di fondo le motivazioni di una sco­moda azione dimostrativa, non l’appoggia in pratica per paura delle inevitabili ritorsioni dei proprietari delle funivie piutto­sto che degli amministratori di regioni autonome. Queste paure sono più che comprensibili.
Ma un alpinista cittadino che, con cieca determinazione persegue i suoi sogni tra cime e cielo e che, con malcelato fastidio, non vuole prendere posizione su scottanti problemi e che di buon oc­chio vede la costruzione di nuovi impianti solo per avere più possibilità di ascensioni rapide, costui, dicevo, non ha nulla da spartire con Mountain Wilderness, purtroppo.

Noi ci battiamo perché i boschi non siano più campo di battaglia per riempire di qualunque cosa i propri sacchetti di plastica o propri carnieri. Ci battiamo perché la roccia non sia più un mezzo per squallidi esercizi sportivi. Ci battiamo infine perché ciò che è stato deturpato sia ripulito, ciò che è stato conquistato sia infine difeso. Siamo stati accu­sati di esibizionismo, oppure di essere dei vagabondi e dei fan­nulloni. Reinhold Messner, nella sua posizione carismatica, è stato quello che si è preso più ingiurie.

Mountain Wilderness, Punta Helbronner, 16 agosto 1988

Tutti questi giudizi gonfi di livore, che malcelano un’incapacità assoluta di contestare con argomenti seri la nostra azione, ci hanno realmente impietositi. Tutte quelle frasi di ridicoli scia­tori estivi, di giornalisti venduti per una manciata di tessere stagionali, di amministratori tronfi dei loro premi Attila del WWF, di società di guide alpine incapaci di gestire la benché mi­nima direttiva dell’amministrazione regionale che le foraggia, ci hanno fatto sorridere e pensare che abbiamo ancora tanta strada davanti.

Sir Edmund Hillary

Da lungo tempo avevamo annunciato un’azione dimostrativa nel Mon­te Bianco e l’abbiamo poi eseguita con metodi un po’ carbonari il 16 agosto 1988. Tecnicamente non abbiamo mai, neppure per un minuto, bloccato le navicelle della Funivia del Ghiacciai (Helbronner-Midi). Ci siamo limitati a stendere un grosso stendardo che incitava allo smantellamento di quel tratto di funi inutili e passive.
Questa azione è firmata da Mountain Wilderness, quindi oltre che da Reinhold Messner anche dagli altri 20 garanti internazionali: Hillary è dunque un esibizionista? Sir Edmund Hillary, presidente onorario di Mountain Wilderness, dopo aver dedicato una vita intera al be­nessere della popolazione Sherpa, è diventato improvvisamente un fannullone? Gli altri nostri soci non contano proprio nulla e sono anche loro vagabondi ed esibizionisti?

Alessandro Gogna