L’attraversamento invernale delle Alpi
Esce in questi giorni in libreria l’ultimo libro di Alberto Paleari: L’attraversamento invernale delle Alpi. Dal lago Maggiore al Lago dei Quattro Cantoni.
Tre amici partono alla fine di un gennaio particolarmente freddo per attraversare le Alpi da sud a nord, tra il lago Maggiore e il lago dei Quattro Cantoni. La loro meta è la statua di Guglielmo Tell ad Altdorf, nella Svizzera Centrale, dove giungeranno con gli scarponi ai piedi e gli sci in spalla dopo quattordici giorni di cammino.
Il viaggio inizia sulle montagne del parco nazionale della Valgrande, continua su quelle della val Vigezzo e Isorno,e, nella Svizzera italiana, nelle valli di Cimalmotto e Bosco Gurin che vengono percorse con le ciaspole a causa della scarsità di neve. Di nuovo in Italia e da lì con gli sci ai piedi,viene attraversata la val Formazza, e, in Svizzera, il Goms, il Furkapass, gli sterminati ghiacciai del Winterberg, la Gadmental, il Wendenjoch per terminare a pochi chilometri da Altdorf con la discesa sulla località sciistica di Engelberg.
Questo libro non è soltanto un racconto di avventure alpinistiche, che pure ci sono, ma anche un viaggio nella storia e nelle storie: dalla colonizzazione walser della Val Formazza al rastrellamento dei partigiani in Valgrande del giugno 1944, l’epopea della costruzione delle centrali idroelettriche, la descrizione dei mutamenti naturali notati sulle Alpi in più di cinquant’anni di assidua frequentazione dell’autore, per finire con la storia ben più lontana e forse solo leggendaria di Guglielmo Tell.
Il viaggio, come dicevamo, inizia sulle montagne del parco nazionale della Valgrande, continua su quelle della val Vigezzo e Isorno, dove “ .. c’è il progetto dissennato di costruire una linea elettrica a 380.000 volt con tralicci alti sessanta metri, l’interconnector, per portare energia dalla Svizzera a Milano. In un momento in cui non c’è un gran bisogno di energia elettrica, in un territorio che è l’ultimo, tra quelli di media montagna della provincia di Verbania, rimasto intatto e misterioso per la sua lontananza dalle strade asfaltate e per la sua vastità. Un territorio che potrebbe essere il nostro Tibet, con le sue alte praterie coronate di creste rocciose a custodirne l’inaccessibilità; un grande polmone per il turismo del futuro che ricercherà necessariamente l’integrità della natura, la distanza dalla civiltà, la pace, la fuga dal caos quotidiano, il sogno di una vita più primitiva, più naturale, fosse anche solo per qualche giorno, una settimana, il periodo delle ferie…C’è, nella nostra civiltà, il continuo desiderio di evasione in luoghi non ancora toccati dalla civiltà stessa, e contemporaneamente la ricerca in questi luoghi delle comodità e delle sicurezze a cui la civiltà ci ha abituati. Vogliamo passare le ferie nella solitudine e nella pace di un mondo esclusivo e selvaggio, e nello stesso tempo speriamo che, ad accoglierci in questo mondo, ci sia un rifugio dotato di ogni comfort, servito da elicotteri che vi portano ogni genere di prelibatezze, e sentieri ben segnalati in cui non ci si possa perdere, e sempre la connessione telefonica e a internet, per chiamare soccorso in caso di bisogno e spedire in tempo reale le nostre fotografie agli amici.
C’è una continua erosione dei territori selvaggi, alla quale d’altra parte anch’io contribuisco se non altro scrivendone. Erosione che si compie ogni giorno in ogni valle alpina: una nuova, “indispensabile” strada agro-silvo-pastorale, per servire una malga che magari poco dopo non sarà più inalpata, in compenso lungo la strada agro-silvo-pastorale sono state costruite seconde case che rimangono chiuse la maggior parte dell’anno; la segnalazione di tutti i sentieri, anche quelli che nessuno frequenterà mai, e saranno presto invasi dalla vegetazione perché servivano a collegare alpeggi ormai morti; la “messa in sicurezza” tramite corde fisse, di tratti di sentiero appena un po’ esposti; la costruzione di nuovi bivacchi e la trasformazione dei vecchi ricoveri in rifugi custoditi, che anch’io in un’occasione ho caldeggiato, forse sbagliando, proprio in valle Isorno; la costruzione di ripetitori per dotare ogni punto del territorio dell’indispensabile segnale telefonico; e sempre, ineluttabile, l’avanzata delle automobili verso le cime: se si confrontano le carte delle Alpi di trent’anni fa, si scoprono migliaia di chilometri di nuove strade che raggiungono luoghi dove prima bisognava salire a piedi. Come se non bastasse questo continuo avanzare di un “turismo” che divora se stesso, c’è l’industria, ci sono gli inutili, se non a chi li costruisce, interconnector, le Tav, le cave, le centraline idroelettriche private, i disboscamenti indiscriminati per avere legna da ardere o per aprire nuove piste da sci, la costruzione di nuovi complessi edilizi accanto a interi villaggi di montagna abbandonati, l’eliski, che inquina non solo la purezza dell’aria e la tranquillità degli animali e degli alpinisti che vanno ancora a piedi, ma anche la percezione della cima come luogo sacro che si guadagna con il sudore, ed è un inganno la promessa che questa sacralità si possa raggiungere senza fatica, pagando l’elicottero, perché era proprio la fatica a rendere quei luoghi sacri. ”