Le Alpi salubri

Di Paolo Crosa Lenz, direttore de Il Rosa

Paolo Crosa Lenz

E’ stato un inverno balordo. Un inverno di ultima generazione. Ora ci aspetta una primavera silenziosa, nell’isolamento necessario per combattere il coronavirus. Abbiamo vissuto un inverno, nel sentire collettivo associato alla neve e al gelo, che non è arrivato. A febbraio le temperature medie sono state quelle di aprile con tre gradi sopra la norma, abbiamo avuto 17 giorni di foehn e 70 giorni continui senza pioggia. Sono dati che probabilmente si riproporranno nei prossimi anni ed a cui dobbiamo abituarci, senza escludere qualche “scherzo di stagione” in tempi di global warming. Non dobbiamo tuttavia solo abituarci, ma soprattutto elaborare comportamenti individuali e collettivi per contrastare i cambiamenti climatici. I nostri giovani ce lo chiedono e lo dobbiamo a loro.
Nel numero scorso de “Il Rosa” ipotizzavamo un futuro “ritorno alle Alpi” come effetto del riscaldamento globale, con i ricchi in fuga e i poveri costretti a rimanere nelle città torride. Mai avremmo pensato che quell’ipotesi sarebbe diventata realtà in pochi mesi a causa di un altro evento: la diffusione del coronavirus. In una guerra che non ammette disertori, il virus è stato raccontato dallo scrittore Tahar Ben Jelloun come la metafora del male che c’è negli uomini e richiama al romanzo di Albert Camus del 1947 “La peste”.
Tre aspetti di quanto sta accadendo in questi mesi riguardano le Alpi. I cittadini ricchi, quelli che possiedono le seconde case, fuggono in montagna dalle città ammalate. Le Alpi salubri, come riserva di benessere e luogo di rifugio. Sfollati della contemporaneità, mentre i poveri rimangono rinchiusi negli “alveari” delle metropoli. Macugnaga non è mai stata così affollata.

Il Monte Rosa dalla Val Grande. Foto: Luigi Ranzani


Un secondo aspetto, in un mondo sempre più chiassoso e veloce, è la riscoperta della solitudine e del silenzio, della possibilità di stili di vita differenti da quelli a cui eravamo abituati. È un’imposizione doverosa: restiamo da soli per salvarci tutti. Così ancora una volta madre natura, con i suoi tempi lenti che permettono un cammino riflessivo, ci può aiutare a vivere bene. Non solo lei, ma anche i libri e la musica, soprattutto l’epidemia ci offre l’occasione per riscoprire la solidità degli affetti e la cura della casa.
Un terzo aspetto è quello della solidarietà. Nei nostri villaggi, spontaneamente e “naturalmente”, sono immediatamente scattati meccanismi di aiuto reciproco per cui l’individuo si scopre comunità. Abbiamo anche riscoperto il valore e il rispetto per gli anziani. Quasi un ritorno ai valori della cultura classica. Cantava Ugo Foscolo alla madre: “a voi le palme tendo”.
La solidarietà nelle comunità alpine non è innata, ma imposta dalla severità di un ambiente estremo. In montagna, ce lo insegna la storia europea degli ultimi dieci secoli, non si sopravvive da soli, ma solo con gli altri. È l’eredità ancestrale della civiltà contadina in quota che coniuga un individualismo atavico legato al possesso di fazzoletti di terra con meccanismi solidali (il trasporto del fieno, il taglio del bosco, la cottura del pane) garantiti da ferree regole sociali.
In queste settimane la solidarietà comunitaria e il valore della solitudine si sono rivelati comportamenti concreti per combattere il pericolo invisibile. Ancora una volta la grande ricchezza delle Alpi è stata non solo la natura (la salubrità dei boschi, i grandi spazi aperti e solitari), ma la sua storia e la sua cultura. La solidarietà collettiva che sconfigge ogni triste caccia a presunti untori moderni è parte, come la cura per un lavoro ben fatto, di quel sistema di valori che sono la linfa vitale della civiltà alpina.
Se un insegnamento pedagogico emerge da ciò che siamo stati costretti a fare in questi tempi, è il seguente: agiamo da soli pensando agli altri, soprattutto a chi è più debole e fragile. Così da questa esperienza dolorosa, la nostra società ne potrà uscire migliore.

Paolo Crosa Lenz