Lettera aperta dell’Osservatorio della Libertà in Montagna e Alpinismo

Le nuove tendenze giuridiche per il giudizio in cause concernenti le attività in montagna.

Il 9 dicembre 2012, Simone Caselli, 39 anni di Modena, moriva sepolto sotto una valanga mentre sciava fuori pista sotto il monte Fraitève a Sauze d’Oulx. Con lui c’erano tre amici che miracolosamente si sono salvati ma per i quali, oggi, è stato chiesto il processo per omicidio colposo, oltre che per valanga colposa. Se il giudice per le indagini preliminari concorderà con la tesi dell’accusa del pubblico ministero Emanuela Pedrotta, per la prima volta gli accompagnatori scampati a un incidente in montagna saranno processati come responsabili della morte di una persona del gruppo rimastane invece vittima. È questa la nuova linea adottata dalla procura di Torino che per la prima volta in Italia trova applicazione in aula e che aggrava l’accusa per coloro che hanno contribuito con un comportamento irresponsabile a scatenare l’evento naturale della valanga.

Nell’incidente che è costato la vita a Simone Caselli, infatti, gli esperti incaricati di effettuare sopralluoghi e ricostruire la dinamica dell’incidente avevano accertato che erano stati proprio i quattro sciatori a provocare la caduta della massa di neve. Per episodi analoghi, in passato, erano stati celebrati processi ed emesse condanne ma solo per il reato di valanga colposa. Questa, invece, è la prima volta che viene contestato il reato di omicidio. Il pool di magistrati torinesi che si occupano di sicurezza, guidato dal procuratore Raffaele Guariniello, ha cambiato l’impostazione delle accuse proprio in seguito a quell’incidente, e da allora, anche negli episodi recenti, ha sempre impostato l’inchiesta partendo dall’accusa di omicidio colposo.

Simone Caselli fu travolto da una massa di neve dal fronte di ottanta metri mentre scendeva con i tre amici, tutti dipendenti della Ferrari come lui, dal monte Fraitève, nel vallone del Rio Nero, a Sauze d’Oulx. Lui rimase sommerso da due metri di neve. Morì asfissiato. Anche due dei suoi compagni di discesa rimasero coinvolti nella valanga. Si salvarono solo perché ebbero la fortuna, seppur travolti, di rimanere sulla superficie della massa nevosa, con la testa fuori. Non molto lontano da lì, a Clavière, nel fine settimana prima di Capodanno, un ragazzo di 15 anni di Torino, Riccardo Capitanio, è morto in maniera simile mentre affrontava un fuori pista al Colletto Verde insieme al fidanzato della sorella di 25 anni. Il suo incidente è avvenuto in un periodo particolare, nove vittime in pochissimi giorni, tutte all’incirca con la stessa dinamica. Una valanga dal fronte di un centinaio di metri lo ha soffocato pochi centimetri sotto la neve ma con una violenza che non gli ha lasciato scampo. Anche il suo «compagno di avventura» è accusato di omicidio oltre che di valanga colposa.

Questi e altri casi sono in corso di giudizio, dunque la situazione richiede un immediato intervento di pubblica opinione su queste vicende giudiziarie, che ci minacciano assai da vicino.

Per questo motivo l’Osservatorio della Libertà in Montagna e Alpinismo ha inviato una lettera aperta proprio al magistrato di Torino Raffaele Guariniello, principale ispiratore delle nuove tendenze giuridiche in ambito “montagna”.

Alessandro Gogna
portavoce dell’Osservatorio della Libertà in Montagna e Alpinismo

Vedi anche: Osservatorio della libertà