Marmolada, in montagna la sicurezza non esiste: si deve parlare di prevenzione e rischio naturale

Dal Blog a cura di Mountain Wilderness su Il Fatto Quotidiano.

l crollo del ghiacciaio della Marmolada di alcuni giorni fa ci porta a fare alcune considerazioni. Un ghiacciaio è una cosa viva. Si sposta, si modifica, aumenta o diminuisce di volume, a volte muore. Le condizioni climatiche certo influiscono sulla vita dei ghiacciai, ma non sono l’unica variabile: vanno considerate le pendenze, il tipo di roccia sottostante, oltre ad altri fattori, non ultimo l’intervento dell’uomo. Affrontare un ghiacciaio o anche solo avvicinarvisi può comportare dei rischi, non sempre prevedibili.

La tragedia dei giorni scorsi è avvenuta lungo una via “normale” percorsa negli anni da innumerevoli escursionisti ed alpinisti, ed anche se nella fattispecie l’itinerario è stato affrontato in un orario generalmente sconsigliato, per queste traversate ci occorre ribadire un concetto fondamentale: in montagna la sicurezza non esiste, si deve parlare solo di prevenzione del rischio e di consapevolezza del pericolo.

Scialpinismo sui monti di Balme

La prevenzione del rischio è legata ai fattori soggettivi dei frequentatori della montagna: scarso allenamento, sopravvalutazione delle proprie capacità fisiche, disattenzione, mancanza di tecnica ed esperienza, equipaggiamento inadeguato sono tutti potenziali fattori di pericolo che possono e devono essere evitati. Almeno il 70% degli incidenti in montagna sono collegati a cause di questo genere. Ma in montagna esistono anche pericoli oggettivi, inerenti e legati alla natura stessa della montagna; devono essere “accettati” se si vuole andare per monti, perciò bisogna conoscerli e prevenirli nel miglior modo possibile. Certo, a volte in montagna si può morire; ma si muore anche sulle strade, sui luoghi di lavoro, perfino tra le mura domestiche per incidenti a volte banali.

Scialpinismo alla Punta di Terrarossa

Per questo ripetiamo che la sicurezza non esiste: l’imponderabile è sempre dietro l’angolo, è importante insegnare e diffondere la cultura della montagna come fattore di prevenzione. Siamo abituati a ricercare sempre una responsabilità per qualunque contrarietà, ma talvolta dovremmo riuscire ad accettare la concatenazione degli eventi che concretizzano un rischio naturale.

Nelle sciagure di montagna degli ultimi anni quasi sempre sono state coinvolte persone esperte, anche in Marmolada tra le vittime figurano guide alpine e questo è un chiaro segnale che qualcosa sta cambiando. Una frase famosa recita: “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”, forse dobbiamo cogliere questi cambiamenti adattandoci ad essi invece di cercare di piegare le regole della montagna e della natura alle nostre esigenze.

Alta Via Dolomiti. Foto: Sergio Ruzzenenti

In questo senso vorremmo lanciare un messaggio ai nostri politici ed amministratori: non è con la logica dei divieti che si potrà impedire il ripetersi di circostanze come queste. Dal Covid alla peste suina, sembra che il rimedio per ogni calamità sia imporre restrizioni alle libertà personali; e il guaio è che a queste restrizioni ci si sta abituando. Al di là dell’individuare le cause di tali calamità, occorre informare, educare, condividere, rendere consapevoli le persone e poi lasciare libera scelta per non diventare polli di batteria. La montagna in questo può essere una grande maestra, se non la si riduce ad un banale scenario per evadere dalle nostre frustrazioni cittadine o per cercare emozioni adrenaliniche artificialmente costruite.

Alpinismo invernale nella Corona Imperiale. Foto: Sergio Ruzzenenti

E’ difficile trovare le parole giuste in circostanze come queste, eppure siamo chiamati a farlo per cercare di dare risposte alle tante domande e per aiutare a far sì che certe tragedie se possibile non si ripetano. Non pretendiamo che le nostre osservazioni risultino condivisibili per tutti, ma speriamo di aiutare una seria riflessione e di alimentare un dibattito che non può e non deve essere fine a sé stesso ma che contribuisca ad una presa di coscienza generale su problematiche che toccano tutti noi: il rapporto con la natura, l’autodeterminazione e la libertà di scelta. Di fronte ad una tragedia come questa non possiamo che liberare il nostro requiem per il ghiacciaio, esprimere una preghiera per le vittime e porgere le nostre più sentite condoglianze a chi resta a piangere la perdita di una persona cara.

Un secolo fa uno dei più grandi poeti del nostro tempo, Giuseppe Ungaretti, espresse in quattro semplici righe un pensiero eterno: “Si sta/come d’autunno/sugli alberi/le foglie”. È così per i ghiacciai, è così per noi. Cos’altro si può dire?