Missione: Marmolada la nostra regina

Documento: La vita in Marmolada

Marmolada, una montagna che evoca un paesaggio unico di roccia e ghiaccio e viene dai più identificata solo nella vetta principale di un massiccio che invece è vasto, vario, articolato e ricco di vita selvatica e ambienti naturali ancora affascinanti, nonostante l’impegno profuso dall’uomo nel comprometterli. In questo settore delle Dolomiti infatti troviamo concentrati una serie di habitat di grande interesse in cui si intersecano rocce vulcaniche, dolomie e calcari. Tale variabilità è esasperata da un elevato gradiente altitudinale: quasi duemila metri di dislivello separano le creste sommitali dal fondovalle e la conseguenza è una notevole varietà dei paesaggi vegetali e della fauna associata. Il massiccio della Marmolada si è formato circa 235 milioni di anni fa, nel Triassico, in un ambiente di mare tropicale dove le attuali vette emergevano come atolli. Le rocce attuali derivano dalla mineralizzazione del sedimento composto dai resti di organismi marini e dalla solidificazione delle lave derivanti da vulcani molto attivi all’epoca. Un’escursione naturalistica attraverso il massiccio della Marmolada potrebbe iniziare dalle verdi pendici delle valli dove affiora la matrice vulcanica delle rocce, di cui l’esempio più significativo sono la Val Jumela e la Val di Crepa, comprese tra Pera di Fassa e Alba. Sono montagne dolci, la cui morfologia esalta le slanciate architetture dolomitiche sullo sfondo, dove le caratteristiche del terreno e la ricchezza di acque superficiali permettono lo sviluppo di una flora rigogliosa. Non per niente tali settori erano i preferiti dall’economia pastorale, in quanto vi predominavano i pascoli pingui, ricchi di foraggi e quindi importanti per garantire una produzione elevata di latte e derivati. Oggi, con l’abbandono dovuto alla monocoltura turistica, tali zone appaiono “meno verdi e meno vive”, perché a causa dell’infeltrimento dei pascoli alcune specie che nel corso dei secoli si erano adattate alle migliori condizioni dell’habitat indotte dall’uomo hanno indotto la propria densità o si sono allontanate. Ma nella condizione attuale costituiscono dei laboratori unici per studiare le dinamiche di ricolonizzazione della vegetazione e per assistere alla successione delle specie animali, come ad esempio all’ingresso del gallo forcello nei siti in cui si erano sempre incontrate le coturnici o l’insediamento di vaste colonie di confidenti marmotte prima insidiate dai cani da pastore e dai pastori stessi. È questo anche il mondo variegato e multicolore dei minerali contrapposto al mondo dei fossili che caratterizza dolomie e calcari. Il fatto di essere a cavallo di due situazioni ambientali così diverse tra loro ma a distanza di poche ore a piedi una dall’altra attira l’interesse di studiosi e appassionati che vengono in visita anche da molto lontano. Gli attuali progetti di valorizzazione turistica attraverso i collegamenti sciistici mettono però seriamente in pericolo la possibilità di godere di questo tipo di esperienza. Dove oggi raccogliamo dal fondo di un ruscello un piccolo, ma affascinante, frammento di malachite, contempliamo le singolari lotte di una colonia di marmotte e ne percepiamo l’angoscia alla comparsa dell’aquila reale, domani potrebbe sorgere un “punto di ristoro con annesso solarium”, compromettendo per sempre uno dei pochi paesaggi che ricordano le splendide tele dedicate alla montagna dal Segantini. Proseguendo nel viaggio attraverso la natura della Marmolada va segnalato l’ultimo esempio di paesaggio agricolo montano tradizionale costituito dai prati attorno a Penia. L’armoniosa associazione di piccoli coltivi, tabià, prati da fieno, boschetti, inseriti in un contorno di boschi di conifere, rappresenta un esempio di inserimento efficace di attività umane nell’ambiente naturale. Si verifica una sorta di rapporto mutualistico: l’uomo sfrutta alcune risorse, ma molte specie selvatiche sfruttano il lavoro dell’uomo, che permette ad esempio di trovare alimento concentrato nelle stagioni sfavorevoli. È questo il caso degli Ungulati e della lepre, che si possono osservare sui prati a primavera, incuranti delle macchine che salgono verso Passo Fedaia. Poco più a monte, da Pian Trevisan, si ammira un fantastico scorcio sulla natura selvaggia e dirupata del maestoso Gran Vernel e sulla parete Nord della Marmolada. Gli arbusteti, i piccoli pascoli ed i ghiaioni che fasciano la base delle pareti sono frequentati dai camosci e per prendere contatto con la natura dei luoghi è consigliabile salire a piedi e con il binocolo lungo la vecchia mulattiera che porta al rifugio Castiglioni. In inverno i camosci si spostano sui ripidi pendii erbosi esposti a sud che sovrastano la strada per Fedaia, dove per l’azione combinata di irraggiamento solare e caduta di valanghe si scoprono porzioni di pascolo. Pochi se ne accorgono, eppure è su questi pendii di fronte al ghiacciaio che è più facile incontrare la fauna alpina e che sono insediate interessanti stazioni di flora. Il settore forse meno popolato di fauna del massiccio è proprio la zona del ghiacciaio, dove, a causa di condizioni climatiche che limitano fortemente lo sviluppo della vegetazione e per le notevoli modificazioni antropiche che inducono una massiccia e diffusa presenza umana in tutte le stagioni, le poche specie adattate all’alta quota si trovano seriamente in difficoltà. Le vallette nivali e le zone rocciose con la prima colonizzazione erbacea alla base delle lingue glaciali costituirebbero un habitat ottimale per la pernice bianca, ma la specie mal sopporta l’eccessivo disturbo da parte di mezzi battipista, di sciatori che passano dappertutto ed è sicuramente spaventata dal continuo passaggio di elicotteri. Il ghiacciaio ed il territorio circostante sono avvolti da un reticolo di piste da sci, impianti, percorsi pedonali e vie alpinistiche che stanno snaturando le peculiari caratteristiche ed il fascino che dovrebbe assumere il più vasto ghiacciaio delle Dolomiti. L’istituzione recente di un Sito di Importanza Comunitaria appare purtroppo tardiva, anche se dovrebbe permettere la conservazione di questo peculiare habitat almeno nelle condizioni attuali, stante che la direttiva di riferimento prevede espressamente l’esame preventivo da parte della Commissione Europea delle opere che possono interferire con le caratteristiche fondamentali degli habitat compresi nel sito. Percorrere la regione fino al ghiacciaio è comunque di grande interesse: si passa infatti dagli arbusteti a mugo, rododendro e mirtilli, con gli ultimi larici, nella zona sopra il lago di Fedaia, ambiente tipico del gallo forcello e della lepre variabile, per raggiungere il deserto nivale, attraversando tutte le fasi di colonizzazione della vegetazione. Da una copertura continua si passa a una serie di cuscinetti o di macchie di muschi e licheni per poi giungere ai pochi steli e ai piccoli fiorellini osservabili dove il ghiacciaio si è ritirato negli ultimi anni. Potremo anche incontrare qualche piccolo uccello, come il poco appariscente sordone o il vistoso fringuello alpino, un micromammifero adattato alla vita in montagna, l’arvicola delle nevi e il suo principale predatore, l’ermellino. Nelle zone sommitali e intorno ai rifugi invece potremo fare la conoscenza con i simpatici ed adattabili gracchi alpini. Se vogliamo però conoscere a fondo la fauna, i paesaggi e gli habitat della Marmolada non possiamo esimerci dal visitare le valli che si spingono sul versante meridionale o che raggiungono il nodo del Sasso Vernale. Grazie alla lunghezza dei percorsi e all’assenza di impianti di risalita è in queste zone che si racchiude la maggiore riserva ambientale del massiccio. L’indicatore migliore di questa situazione positiva è costituito dalla regolare presenza, per lo più nel periodo invernale, di un buon numero di stambecchi provenienti dal vicino massiccio dei Monzoni. Anche le pernici bianche sono ancora presenti nei circhi glaciali dei settori di maggiore quota. Vista l’elevata concentrazione di ungulati di montagna (stambecco e camoscio) è possibile che tale zona della Marmolada torni ad essere frequentata dal maggiore rapace delle alpi, il gipeto (l’aquila reale è già presente). Il ritorno del grande avvoltoio potrebbe essere indotto anche dalla progressione dell’epidemia di rogna sarcoptica che sta colpendo le specie citate, provocandone forte mortalità. Lo spettacolo dell’elegante sagoma del rapace che volteggia, giocando con le ascensionali, tra i pilastri monolitici della parete sud della Marmolada sarebbe senza dubbio un momento indimenticabile. In conclusione questa montagna simbolo delle Dolomiti va vissuta e conosciuta dalle sue radici, magari avvicinandola da lontano e a piedi, per apprezzarne le sfumature e le molteplici variazioni di paesaggi naturali ed habitat, prima di raggiungerne il cuore. Sarà meno duro sopportarne il degrado e impegnarsi per frenarlo.

Stefano Mayr