Papa Giovanni Paolo II e l’ambiente

“E’ impegno morale di ogni cristiano avere cura della terra”

Se escludiamo il grande esempio di vita che ci hanno lasciato San Francesco e pochi altri, la chiesa cattolica non ha mai mostrato particolare attenzione al dovere etico del genere umano di conservare e rispettare la natura.

Anzi, in troppi casi, davanti anche a situazioni di evidenti speculazioni, spiace dirlo, le associazioni ambientaliste si sono trovate a dover contrastare anche lo schieramento della chiesa che sottovalutava i temi posti.

In breve, ci veniva spiegato, Dio ha messo la natura a disposizione dell’uomo e l’uomo può e la deve utilizzare per il proprio sviluppo, per “migliorare” le proprie condizioni di vita.

Il pontificato di Giovanni Paolo II° ha invece indicato la strada di san Francesco.

Purtroppo i media nazionali hanno sempre sottovalutato il pensiero del papa sul tema.

Mountain Wilderness vuole ricordare alcuni passaggi importanti lasciati dal magistero del papa recentemente scomparso, anche per riconoscergli il grande amore che ha sempre dimostrato verso la pace, i silenzi, la contemplazione, l’infinito.

Ricordiamo certamente come il 26 agosto 1979 volle salire in vetta alla Marmolada, Punta Rocca, pur in presenza di una violenta bufera di neve o le sue salite in Adamello, la scalata al Peralba.

Ma sono le parole che devono rimanere incise nei nostri ricordi, partendo dal 12 luglio 1987, quando in Val Visende così rifletteva:

“Davanti a questo panorama di prati, di boschi, di torrenti, di cime svettanti noi ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie delle sue opere. Vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione. Queste montagne, infatti, suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste meraviglie le ha create lo stesso autore della bellezza.”

A Lorenzago, 21 luglio 1988:
“Benedetta fatica. Tra questi monti e questi boschi ci si può riposare stancandosi.”

A Santo Stefano di Cadore, l’11 luglio 1993:
“Cari amici, conservate sempre vivi nell’animo l’amore e l’ammirazione per la natura, che tanta serenità infonde in chi sa riconoscervi i segni della magnanimità del Signore e della sua Provvidenza misericordiosa…Una certa cultura moderna, in un mondo segnato da ritmi di vita incalzanti, sembra spesso emarginare quanti non fanno parte del cosiddetto ciclo produttivo…E’ sintomatico che nel nostro tempo, di fronte a quello che è stato additato come il pericolo dell’olocausto ambientale, sia sorto un grande movimento culturale, mirante alla difesa e alla riscoperta dell’ambiente naturale. A tale urgenza occorre sensibilizzare specialmente i giovani.”

A Lorenzago, 11 luglio 1996.
“Davanti alla maestà dei monti, siamo spinti ad instaurare un rapporto più rispettoso con la natura. Allo stesso tempo, resi più coscienti del valore del cosmo, siamo stimolati a meditare sulla gravità delle tante profanazioni dell’ambiente perpetrate spesso con inammissibile leggerezza. L’uomo contemporaneo, quando si lascia affascinare da falsi miti, perde di vista le ricchezze e le speranze di vita racchiuse nel creato, mirabile dono della Provvidenza divina per l’intera umanità.”

Ogni frase ci apre scenari nei quali ritroviamo le emozioni, l’’impegno e la generosità che i nostri associati offrono alla famiglia umana. Ma voglio ricordare un altro passaggio, ripetuto più volte, anche dalla finestra del Vaticano, ma affermato con forza nei boschi di Val Visende il 12 luglio 1987 “E’ impegno morale di ogni cristiano avere cura della terra”

E’ un messaggio che esce dal localismo tanto caro ai nostri politici quando vogliono giustificare le nefandezze che progettano contro la montagna e la natura: la difesa dell’ambiente e della natura è un problema di tutto il mondo, di tutta l’umanità, nessuno di noi è proprietario di uno spazio, di un bene pubblico qual è l’ambiente naturale.

Voglio chiudere con il forte ricordo che di papa Wojtyla che ci ha lasciato Umberto Folena, vicedirettore del quotidiano “L’Adige”.

Un papa che si fa pietra davanti alla croce e alla devastante grandezza della tragedia di Stava (Tesero, 19 luglio 1985). E’ il 17 luglio 1988, siamo a tre anni dalla disgrazia che provocò 268 morti, morti dovuti all’incuria, alla superficialità dell’uomo, alla sua sola attenzione al profitto, una tragedia che non ha avuto giustizia: tutti i politici sono stati assolti nei vari processi.

“Che cosa disse, potremo averlo dimenticato. Che cosa fece, no. Le parole volano, o rimangono sepolte nei libri: i gesti rimangono. Quasi diciassette anni dopo, a quanti erano lì, al cimitero San Leonardo di Stava, provate a chiedere di Giovanni Paolo II. E tutti, assolutamente tutti vi diranno di come si mise in ginocchio davanti al marmo su cui sono incisi i nomi delle vittime. Non si mise:precipitò. Di come appoggiò la fronte alla pietra e afferrò con la mano destra il braccio destro della croce. Non afferrò. Si aggrappò. Nessuno, assolutamente nessuno può essersi dimenticato di come il papa si fuse a quel marmo e a quella croce. E il tempo si fermò…quel silenzio così fisico, quella preghiera fatta di roccia e di carne, chi c’era sa che il segreto di quell’icona vivente era racchiuso nella sua verità.”
Immagini forti, che rendono superfluo il commento, immagini che tante volte, in contesti certo diversi, abbiamo vissuto attaccati alle rocce, soffrendo, o con gioia o perché aiutati dalla speranza.
Luigi Casanova