Pasolini e la critica alla società dei consumi.
A differenza di cinquant’anni fa quando scriveva Pasolini, oggi è del tutto evidente che un modello di sviluppo fondato sull’imperativo della crescita continua non è più percorribile. Tuttavia, come ha insegnato Pasolini, la sostenibilità prima ancora che attraverso soluzioni miranti a ridurre l’emissione di Co2 deve ripensare categorie quali utile, futile, necessario e recuperare il valore antico della frugalità e dell’essenzialità contro il voluttuario e il superfluo nell’ottica di privilegiare la qualità della vita piuttosto che una vita di quantità.
Una riflessione di Giovanni Widmann, professore di filosofia e storia al liceo Russell di Cles
Gli scritti corsari e la critica alla società dei consumi
Gli Scritti corsari sono una raccolta di articoli pasoliniani pubblicati prevalentemente dal Corriere della sera tra il 1973 e il 1975, ma costituiti anche da interviste e recensioni. Pasolini, intellettuale anticonformista e controcorrente, è stato coscienza critica e acuto interprete e osservatore delle trasformazioni sociali avvenute in Italia nel secondo dopoguerra. Il Pasolini “corsaro” e polemista analizza e critica in modo particolare la «società dei consumi». Avversato anche a sinistra per le sue tesi eterodosse e non allineate, accusato di rimpiangere nostalgicamente l’«Italietta» provinciale dell’epoca preindustriale, in realtà ha colto prima di altri gli aspetti controversi e negativi delle trasformazioni sociali, economiche e culturali intervenute nella società italiana tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta, l’Italia del “boom economico” che nel giro di pochi anni ha conosciuto un rapido processo di industrializzazione e di modernizzazione che ha determinato la concomitante scomparsa dell’atavica società contadina paleoindustriale (emblematico il celebre articolo – Corriere della sera, 1 febbraio 1975 – sulla scomparsa delle lucciole, metafora della fine di una civiltà che sapeva conservare nel rapporto con la natura un elemento di sacralità e di mistero) e con essa le sue «culture originali», le sue tradizioni e i suoi valori, in primo luogo la parsimonia e la frugalità. Pasolini definisce quella fase storica «età del pane» poiché il consumo era limitato ai beni essenziali, necessari a soddisfare i bisogni primari, mentre la società dei consumi è fondata sul consumo di beni voluttuari e superflui. Ma, è l’amara e quanto mai attuale constatazione dello scrittore, una società che si fonda sull’inessenzialità e sul superfluo determina che anche la vita sia superflua e inessenziale.
Il “Fascismo totale”
Quella avvenuta tra i primi anni Sessanta e la metà dei Settanta è stata una vera e propria «mutazione antropologica»: il consumismo, sostiene Pasolini con toni enfatici ed apocalittici, ha determinato un vero e proprio «genocidio culturale», ovvero la scomparsa del mondo contadino. Con l’industrializzazione è certamente migliorato il tenore di vita degli Italiani, molti dei quali da contadini si sono trasformati in operai abbandonando le campagne per le città e il Sud emigrando al Nord; c’è stato un più alto tasso di scolarizzazione, peraltro funzionale alle richieste di specializzazione provenienti dai settori industriale e terziario, ma il modello capitalistico fondato sul binomio produzione-consumo se ha portato maggior benessere ha generato una nuova forma di autoritarismo repressivo, quello del «Centro» e dei suoi modelli culturali, ben più pervasivo ed incisivo del «fascismo archeologico», ossia quello che storicamente ha detenuto dittatorialmente il potere tra gli anni Venti e Quaranta. Infatti il nuovo «Potere» della società dei consumi è invasivo e pervasivo ma invisibile e secondo Pasolini produce un condizionamento ben più profondo di quanto riuscì a fare il fascismo, perché ha a disposizione mezzi di comunicazione più efficaci come la televisione e perciò è in grado di creare omologazione, conformismo, uniformazione e una forma molto più strisciante di repressione che lui definisce «Fascismo totale».
«È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere». Interessante a questo riguardo è l’analisi della trasformazione della lingua italiana, che soprattutto attraverso l’influenza della televisione è diventata, nelle sue forme espressive impoverite, standardizzate e convenzionali, un «italiano medio», perdendo la sua ricchezza e le sue varietà regionali.
«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana.» (Questo, come tutti gli altri estratti virgolettati, sono tratti dall’articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» del 9 dicembre 1973).
Il fascismo aveva inquadrato ed irreggimentato gli italiani solo esteriormente e superficialmente; per quanto mirasse a formare l’uomo nuovo, non ci era riuscito: aveva imposto loro una divisa, i suoi rituali militareschi, la sua mistica, ma non aveva avuto a disposizione i mezzi per agire sulle loro coscienze, per penetrarle, tant’è che smessa la divisa e abbandonate le adunate ognuno tornava ad essere quel che era prima, a pensare come prima.
«Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.»
Progresso VS Sviluppo: la legge del profitto piuttosto che la crescita integrale della persona.
Per questo il Potere del nuovo Fascismo totale secondo Pasolini è ben più potente dei tradizionali poteri: quello politico rappresentato dalla Democrazia cristiana, quello tradizionale della Chiesa cattolica; quello militare. Il potere incarnato dal Centro è il nuovo totalitarismo, è il fascismo compiuto, realizzato, infatti a differenza del fascismo archeologico, il nuovo Fascismo secondo Pasolini è molto più pericoloso perché è incarnato da un Potere che apparentemente è liberale, tollerante, ugualitario, progressista e perfino libertario; nella sua difesa della libertà individuale e del diritto di tutti al piacere[1] si oppone al potere spirituale della Chiesa cattolica, che tradizionalmente ha avuto la capacità di agire sulle coscienze coi suoi precetti morali e divieti, inculcando il senso di colpa e del peccato, la paura della dannazione eterna, ecc. Ma si tratta di un falso progressismo che in realtà tradisce le istanze emancipanti e autenticamente liberali di derivazione illuministica, così come il nuovo Potere rinnega il razionalismo critico e dialetticamente negativo di ogni forma di sudditanza e asservimento, sia materiale che spirituale. Quello della società dei consumi è un permissivismo apparente, perché in realtà non libera ma condiziona nel profondo, infatti costringe a essere solo consumatori e reprime la libertà asservendo l’individuo alla logica dominante, che mira a sostenere gli interessi economici, la legge del profitto e dello sviluppo capitalistico piuttosto che la crescita integrale della persona, la quale vale in quanto è utile e funzionale alle sue leggi, ovvero fintanto che è consumatore. Anzi, la «nuova industrializzazione, non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.»
«Ma ogni piacere rivela un’idolatria: è abbandono di sé ad altro. (…) Ogni piacere è sociale, negli impulsi non sublimati non meno che negli altri. Esso deriva dall’estraneazione. (…) Nel piacere gli uomini si liberano dal pensiero, evadono dalla civiltà.» M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, pp. 110-111. (Corsivi miei).
La società dei consumi non promuove dunque un vero umanesimo integrale né un vero progresso, è regressiva e disumanizzante. Per questa sua serrata critica del progresso Pasolini fu accusato di sostenere tesi passatiste, reazionarie e antimoderne. Non fu compreso il senso della sua analisi critica della società italiana di quegli anni, la portata della sua lucida e profetica denuncia. Ma noi con Adorno possiamo dire che «uno dei compiti principali di fronte a cui si trova oggi il pensiero, è quello di impiegare tutti gli argomenti reazionari contro la cultura occidentale, al servizio dell’illuminismo progressivo.» (T.W. Adorno, Minima moralia, Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino, 2015, pp. 229-30.)
Il Potere della società dei consumi rappresenta una forma moderna di «fascismo totale» che incarna gli ideali di vita piccolo-borghesi – comfort, edonismo, consumismo, gioia di vivere – perseguiti attraverso il denaro. Il Potere in modo apparentemente lasco persegue una ben più incisiva forma di asservimento e di repressione in quanto controlla l’anima e manipola lo spirito delle persone, infatti agisce sulle coscienze, le condiziona nell’intimo, nel profondo, generando nuovi valori e modelli di vita a cui aderire, rappresentazioni di sé, sentimenti, aspettative; trasforma insomma la mentalità nel profondo, riuscendo laddove il fascismo storico e la stessa Chiesa fallirono.
Il culto della merce
Pasolini constata come siano soprattutto i giovani e gli adolescenti i più esposti al condizionamento, giungendo a vergognarsi delle loro origini contadine o operaie e ambendo a diventare piccolo-borghesi. È nota l’analisi critica della moda di portare i capelli lunghi, che da atto trasgressivo e di ribellione è diventata appunto una moda, così come tutte le forme e le espressioni della controcultura giovanile degli anni Sessanta sono state assorbite, omologate e rese funzionali alla grande industria dei beni di consumo giovanili (musica, abbigliamento, ecc.), trasformando scelte e comportamenti originariamente anticonformisti in pose stereotipate, in fenomeni di imitazione collettiva. La componente di rottura e di critica espressa dai giovani, che avrebbero dovuto rappresentare le avanguardie della trasformazione in senso autenticamente progressista della società, afferma Pasolini, è stata inglobata e trasformata in un prodotto culturale messo sul mercato e perciò mercificato, sacrificato al consumismo (in questo senso anche la cultura è stata trasformata in «industria culturale», spesso con derive kitsch, come ha insegnato la Scuola di Francoforte).
Il Potere della moderna società dei consumi è invisibile ma più pericoloso perché non reprime la libertà dell’individuo con la violenza fisica ma attraverso forme e modi più sottili e subdoli come la televisione e la pubblicità, che influenzano le coscienze e generano bisogni indotti e desideri fittizi agendo sull’immaginario collettivo, inducendo le persone a possedere beni voluttuari, a consumare per consumare. Ecco perché il consumismo è la nuova religione laica votata al culto del consumo. Pasolini in un articolo del maggio 1973 pubblicato sul Corriere della sera fa riferimento alla pubblicità della marca di jeans Jesus. In quel periodo tutta l’Italia fu tappezzata di manifesti recanti slogan che ricalcavano passi dei Vangeli: “Non avrai altro jeans all’infuori di me”; “Chi mi ama mi segua”, con la foto di spalle del fondoschiena di una giovane ragazza che indossava il jeans attillato, allo scopo di mettere in rilievo con chiaro richiamo erotico le forme procaci e sinuose dei suoi glutei. Si levarono le proteste delle gerarchie cattoliche per quella pubblicità ritenuta volgare e dissacrante, ma secondo Pasolini quello era il chiaro segno della sconfitta della Chiesa e dei suoi valori, trasmutati nei nuovi valori laici e in apparenza liberali dell’edonismo e della gioia di vivere, che in realtà è gioia di avere, o di essere-per-avere. La religione del consumo ha desacralizzato la vita sacralizzando il rito del consumo e consacrando l’esistenza delle persone alla sola dimensione possibile e ammessa: il culto della merce, nuovo feticcio delle società secolarizzate.
La società dei consumi oggi
E oggi? Cosa resta della critica pasoliniana della società dei consumi? È ancora attuale la sua analisi? Al di là di un certo estremismo e di una tendenza a drammatizzare i fenomeni osservati, certamente molte pessimistiche profezie di Pasolini, risalenti ormai a cinquant’anni fa, si sono rivelate giuste e purtroppo si sono puntualmente avverate. Solo a titolo di esempio: già nei primi anni Settanta Pasolini aveva compreso come il medium allora predominante, la televisione – al tempo ancora unicamente di stato -, avesse contribuito a generare desideri, immaginari collettivi, valori, stili di vita e non da ultimo ad incidere sull’impoverimento della lingua nazionale, fenomeno che si è ulteriormente reso evidente con l’avvento delle televisioni private, dalla fine degli anni Settanta, incidendo peraltro sulla crescente mediatizzazione e personalizzazione della vita politica. Se pensiamo a quanto oggi sia grande l’influenza della rete, dei social network e dei social media, non solamente per quanto riguarda la diffusione di fake news e opinioni spesso controverse, espresse in modo sguaiato, manicheo e poco argomentato, possiamo dire che quella tendenza alla banalizzazione e progressiva volgarizzazione profetizzata da Pasolini, allora appena agli inizi, adesso è conclamata. A mio modo di vedere estremamente attuale è poi l’analisi della metamorfosi del fascismo: nei primi anni Settanta il nuovo totalitarismo fascista secondo Pasolini era rappresentato dal potere della grande industria e delle multinazionali, che attraverso il battage pubblicitario riuscivano non solo a condizionare le scelte di acquisto ma a creare bisogni indotti agendo sulla psicologia delle persone, trasformandole da attori sociali in passivi produttori-fruitori di merci, da cittadini liberi in consumatori asserviti al potere del denaro. Pasolini comprese già allora che il fascismo storico ormai non costituiva più una minaccia reale per la democrazia, e questo proprio in ragione della modernizzazione della società italiana, assai diversa da quella arretrata degli anni Venti e Trenta. Le reincarnazioni moderne del fascismo, le nuove forme di fascismo occulto sono più pericolose non solo perché apparentemente non repressive né costrittive, anzi seducenti e liberali, ma soprattutto perché non ben identificabili, mascherate. Se pensiamo alle polemiche suscitate dalla recente adunata neofascista di Acca Larenzia, l’analisi pasoliniana è assolutamente attuale: il fascismo storico nelle sue manifestazioni nostalgiche non è più il vero pericolo, mentre lo sono le nuove forme di autoritarismo e di centralismo, ben più raffinate e subdolamente invisibili del Potere di cui parlava Pasolini; si pensi soltanto alla finanziarizzazione dell’economia, al potere delle banche, ai poteri di controllo e di indirizzo esercitati da organismi sovranazionali non eletti dai popoli, al predominio della tecnica e dell’economia sulla politica dei governi nazionali, che indipendentemente dall’orientamento ideologico (destra, sinistra) devono sottostare alle loro direttive e non hanno alcun potere di incidere sulle decisioni di politica economica e finanziaria che provengono da questi centri di potere, scelte e decisioni ispirate all’imperante paradigma neoliberale che comprime i diritti dei lavoratori e riduce le tutele del welfare state (a titolo di esempio, in Italia è stato inserito in costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, il famigerato fiscal compact, che condiziona le politiche economico-finanziarie dei governi). Se poi pensiamo alla pubblicità, al potere di condizionamento degli influencer, al ruolo degli algoritmi nel profilare gusti, idee, orientamenti, ecc. in un’ottica di sfruttamento commerciale, certo oggi il ruolo della televisione appare ridimensionato e perfino ingenuo rispetto ad allora.
Se ai tempi in cui scriveva Pasolini la merce era ancora palpabile, tangibile e materiale, così come il denaro, mentre la compra-vendita aveva nel negozio il suo luogo sacro deputato e il suo rito ozioso, oggi molto spesso l’acquisto è reale e virtuale nello stesso tempo, compulsivo e im-materiale (si pensi ai pagamenti elettronici, agli acquisti su piattaforme internet come eBay, Amazon, ecc., dove la merce non è immediatamente disponibile e a portata di mano ma solo visionabile: la vista è anteposta al tatto). Soprattutto oggi è lo stesso consumato consumatore ad essere a sua volta consumato: diventa egli stesso merce ed è venduto; s-oggetto al consumo e oggetto di consumo nel medesimo tempo. In quanto al consumismo, il tema è ancora attuale; anche qui basti l’esempio delle lunghe file davanti ai negozi per acquistare l’ultimo modello di I-phone, sorta di moderna processione pagana votata al (d)io-consumo.
A differenza di cinquant’anni fa quando scriveva Pasolini, oggi è però del tutto evidente che un modello di sviluppo fondato sull’imperativo della crescita continua non è più percorribile, che nell’epoca dei cambiamenti climatici occorre ripensare ad uno sviluppo sostenibile. Tuttavia, come ha insegnato Pasolini, la sostenibilità prima ancora che attraverso soluzioni miranti a ridurre l’emissione di Co2 deve ripensare categorie quali utile, futile, necessario e recuperare il valore antico della frugalità e dell’essenzialità contro il voluttuario e il superfluo nell’ottica di privilegiare la qualità della vita piuttosto che una vita di quantità.
Giovanni Widmann