Quasi Venezia, un docufilm sull’ impatto del turismo low cost
Un miliardo e 61 milioni di turisti hanno viaggiato in Italia negli ultimi 10 anni. Con 5 milioni di posti letto, abbiamo il record di ospitalità in Europa. Venezia ha introdotto una tassa su chi entra in città. La Valle di Braies, nelle Dolomiti, d’estate è a numero chiuso. Il 60 per cento delle spiagge italiane è a pagamento”. Questi i dati che i documentaristi Alberto Gottardo e Francesca Sironi mettono in testa al loro documentario in tre parti, Quasi Venezia, che affronta il fenomeno del turismo di massa in Italia.
Il reportage, andato in onda su Sky Atlantic il 30 giugno 2019 per il ciclo “Il racconto del reale”, racconta in modo inedito i protagonisti e le conseguenze di tre tipologie di vacanza contemporanea, portando in primo piano identità ed esperienze dei nuovi viaggiatori low cost. Dalle gite al mare effettuate in un solo giorno, tramite pullman che partono da Milano in piena notte e la notte successiva fanno ritorno, alla folla che ogni giorno prende d’assalto la valle di Braies, divenuta quasi un “set fotografico” per la presenza del lago più “instagrammato” delle Dolomiti, fino al più grande ostello di Venezia, inaugurato da poco a Mestre, in un quartiere dove sono in costruzione migliaia di posti letto, pensato per chi desidera un’esperienza economica, seppur “mordi e fuggi”, dei capolavori di Venezia.
Intervista ai registi Francesca Sironi e Alberto Gottardo di Nicola Pech
L’impatto del turismo di massa sulle montagne è uno dei temi centrali delle campagne di Mountain Wilderness che, fin dalle origini, si è sempre battuta contro la commercializzazione, lo sviluppo eccessivo e la appropriazione esclusiva da parte di chi, dalle montagne, vuole unicamente trarne profitto.
Uno dei tre episodi di Quasi Venezia è ambientato sul lago di Braies nel cuore delle Dolomiti che, divenuto popolare per la fiction Un Passo dal Cielo, è stato preso d’assalto negli ultimi anni da frotte di turisti che rischiano di comprometterne il fragile ecosistema.
Francesca Sironi e Alberto Gottardo sono i registi che ci hanno guidato attraverso un’idea di turismo che consuma rapidissimamente ogni cosa, contrapposta al viaggio di matrice otto novecentesca, esperienza senza limiti di tempo, riflessiva, aristocratica.
Abbiamo fatto loro alcune domande.
In un momento storico in cui tutti sbandierano certezze, Quasi Venezia pone domande scomode, coltiva il dubbio, invita a riflettere sospendendo il giudizio.
E’ ricorrente durante il film la contraddizione tra la voglia di viaggiare e di evadere, che legittimamente si diffonde sempre di più tra larghi strati della popolazione, e il prezzo che l’ ambiente è costretto a pagare. Esiste un punto di equilibrio? Su quali basi e attraverso quali strumenti è possibile raggiungerlo? Che idea vi siete fatti durante il vostro viaggio? Dobbiamo rassegnarci al fatto che i “dollari vinceranno sempre sull’ambiente”?
Durante la fase di ricerca dei nostri documentari tendiamo a essere attratti dalle contraddizioni più che dalle analisi; anche in questo lavoro, come giustamente osservi, abbiamo provato a restituire una complessità di sguardi, punti di vista, e luoghi che sentivamo mancare, piuttosto che non delineare delle sintesi. Quando poi siamo sul campo e iniziamo a girare, la nostra attenzione si rivolge prima di tutto alle persone, ai loro comportamenti, a come parlano, a come occupano lo spazio, a come trovare la giusta distanza, fotografica ed emotiva. Volendo provare a rispondere alla tua domanda, così, l’unica strada che sentiamo di poter tracciare resta nel dubbio. Come accade per molte, se non tutte, le industrie di massa e i comportamenti sociali globalizzati, infatti, trovare un bilanciamento fra la scala su cui si possono estendere i desideri individuali, la pressione al consumo omologato da parte di multinazionali o piattaforme, e il rispetto di comunità, territori e conoscenze, è sicuramente molto difficile. Continuiamo a pensare però che singoli, amministratori e istituzioni possano sempre scegliere: con che attitudine muoversi, se speculare o intervenire per rafforzare la resilienza dei territori, se sostenere la mescolanza fra residenti e viaggiatori. Oppure no. Anche per questo è importante diffondere, crediamo, strumenti e riflessioni critiche sul tema.
Le interviste che avete fatto al lago di Braies rivelano alcune delle motivazioni che spingono le persone a mettersi in viaggio, ne cito alcune: “Ho visto il lago nella fiction Un Passo dal Cielo”, “Ho visto delle foto su Instagram”, “Voglio provare la GOPRO nuova”. Sono davvero solo questi gli stimoli che muovono il turismo di massa, quali esperienze questi turisti si portano a casa? Qual è il prezzo ecologico che siamo disposti a pagare per soddisfare queste curiosità?
Sicuramente al lago di Braies è difficile astrarsi dall’irriflesso, continuo, scattare di fotografie da parte di chi arriva sul pontile. Già dal primo affaccio sembra un gesto improrogabile, uno stimolo impetuoso e collettivo. Per i visitatori che arrivano esclusivamente per quelle foto, l’esperienza che si portano a casa è probabilmente il rispecchiamento, la possibilità di appartenere e accreditarsi sui punti di riferimento della propria comunità. Il piacere dell’esser lì è proiettato così anche nel risultato che quella presenza avrà in termini di consenso. Poi, come ci ricordavano due ragazze di Roma che abbiamo intervistato, e che erano lì per vedere il lago prima di iniziare un trekking di diverse ore, «la montagna è di tutti ed è capace di parlare a tutti». Per cui anche chi di fatto viene vissuto, anziché vivere, dalla propria presenza nel luogo, potrebbe riuscire a entrare in ascolto del luogo. Per quanto riguarda invece l’impatto ecologico, questo è sempre collegato a interessi economici. Se non avessero ad esempio appena costruito un enorme parcheggio a pagamento a un passo dal lago, probabilmente sarebbe difficile le persone si fermassero per uno scatto per poi scappare via.
“Siamo sempre di più e viaggiare costa sempre meno” questo è innegabile e la tensione tra tutela dell’ambiente e sviluppo economico sarà sempre più forte nei prossimi anni. Esistono e quali sono secondo voi gli strumenti necessari per far capire che qualsiasi cosa che non protegga o generi risorse ecologiche, non è progresso ma suicidio di massa?
Siamo dalla parte degli strumenti! Altrimenti probabilmente non faremmo documentari e non saremmo in questa continua ricerca. Non sappiamo quale siano gli strumenti giusti. Noi stiamo provando questi.
Nicola Pech