Tempesta Vaia: i boschi fragili raccontano il cambiamento climatico
Resoconto dell’incontro pubblico del 18 gennaio a Pieve di Cadore.
Clima ed eventi estremi: necessaria un’assunzione di responsabilità collettiva
Ancora una volta il seminario organizzato dal coordinamento delle associazioni ambientaliste e sociali del Cadore ha riempito la sala: 200 persone, fra le quali parecchi amministratori pubblici. Al centro del confronto il tema dei cambiamenti climatici in atto e le loro ripercussioni nel territorio delle Dolomiti e nel vissuto della montagna.
Ha introdotto la serata la forestale dott.ssa Paola Favero, esperta in biodiversità. Con un filmato che ha colpito anche a livello emotivo, ha illustrato i danni che la tempesta Vaia ha portato in tutte le Dolomiti e ha spiegato perché tale evento non sia riconducibile a presunti errori selvicolturali, ma abbia radici nei cambiamenti del clima in atto.
Infatti sono stati devastati non solo boschi abbandonati ma anche boschi ben gestiti; boschi giovani e maturi. Facendo tesoro dell’esperienza, la relatrice ha ribadito la necessità di sviluppare il senso del limite e di rivedere i nostri modelli di sviluppo, tutti troppo energivori, nonché di investire con crescente fiducia nella scienza e nel porre attenzione ai segnali che da essa provengono.
Ha fatto seguito l’oceanografo Sandro Carniel, esperto in cambiamenti climatici e ricercatore presso il CNR di Venezia. Per mezzo di semplici modelli ha spiegato come si è formata la tempesta Vaia, l’incisività della profonda depressione che si era stabilizzata nel cuore del Mediterraneo e come i venti si siano incuneati con inconsueta violenza nelle vallate.
Un apporto significativo è stato dato dalla temperatura particolarmente elevata delle acque del Mar Mediterraneo, oltre due gradi sopra la media degli autunni passati: più caldo è il mare più è probabile che i
fenomeni siano intensi.
Certamente per le Alpi non si è trattato di un evento inconsueto: con minore violenza si erano già verificati fenomeni simili, il più grave dei quali l’alluvione del novembre 1966. Il relatore ha sollecitato i presenti a mettere in atto, da subito, azioni di risparmio energetico e a sollecitare l’avvio di politiche per l’attuazione di modelli di sviluppo completamente diversi dagli attuali: il nostro pianeta è limitato e mostra la sua insofferenza verso i comportamenti umani ovunque.
Il nivologo e esperto in valanghe dott. Anselmo Cagnati si è soffermato sullo sviluppo tecnico della tempesta in territorio dolomitico. Particolarmente significativi sono stati i grafici che hanno paragonato la saccatura depressionaria del 1966 a quella del 2018: stesse caratteristiche, stesse precipitazioni, se si esclude che quest’anno le nevicate sono state assenti; venti fortissimi in ambedue le occasioni, con differenze da località
a località. Con estrema chiarezza ha spiegato perché il vento abbia colpito in più direzioni, l’effetto rinforzo dovuto all’imbocco nelle strette valli delle Dolomiti, perché alcuni versanti siano stati devastati e altri, vicinissimi, si siano invece salvati. Al di là del dovuto recupero degli schianti rimane aperto il problema sicurezza: laddove i versanti sono stati denudati si dovrà intervenire con massicce opere di difesa valanghe, un lavoro ch interesserà 850 ettari di territorio in provincia di Belluno, 1200 ettari in provincia di Trento.
Luigi Casanova, vicepresidente di CIPRA Italia, nel coordinare il confronto ha concluso i lavori segnalando l’evidente necessità di investire da subito in informazione e formazione diffusa, che certamente diverranno patrimonio degli abitanti della montagna, ma che sarà necessario trasferire anche agli ospiti, ai turisti, a tutti gli abitanti delle aree urbane. Una diffusa consapevolezza porta all’assunzione di responsabilità collettiva, è stato più volte ribadito. I cambiamenti climatici sono ormai attualità: anche in presenza di comportamenti virtuosi dell’umanità porteranno conseguenze e emergenze per diversi decenni. E’ quindi necessario fermare da subito
l’aumento della CO2 e dei gas climalteranti nell’atmosfera partendo anche da aspetti che possono apparire scarsamente influenti come i comportamenti individuali, le politiche della mobilità, l’economia sostanzialmente di solo prelievo, le prospettive di un turismo che dovrà avere sempre più rispetto dei beni che la natura con tanta fatica
ha prodotto.