Un nuovo ruolo per l’ambientalismo italiano

Quali prospettive per l’ambientalismo italiano? di Luigi Casanova

Luigi Casanova

La recente, necessaria provocazione del vicedirettore del Trentino Paolo Mantovan probabilmente non era diretta né alla SAT né agli ambientalisti, ma agli amministratori della Provincia di Trento che hanno perso, scientemente e da tempo, un reale controllo del territorio. In questa situazione sociale e politica ai due mondi dell’associazionismo rimane solo il ruolo di sentinelle.
Perché? Perché le regole della gestione del territorio montano, fragile, sono state svuotate di contenuto e non vengono applicate: troppo complicate, aperte alle deroghe.
La deroga è uno strumento che divide: chi ha conoscenze altolocate ottiene l’impossibile, perfino stalloni sotto siti valanghivi. Perché i servizi della Provincia sono direttamente controllati dall’organo politico, non sono autonomi. Perché la parola partecipazione è stata privata di significato: tutti gli assessori a partire da quello all’ambiente, la relegano al momento informativo. Una partecipazione frontale che impedisce confronto. Non è un caso che molti tavoli di lavoro, dalla cabina di regia delle aree protette, a diversi osservatori, o vengono convocati con frequenze lunghissime o vengano dimenticati. Le associazioni vengono ridotte a tappetini dei diversi servizi. Del resto ormai troppe leggi della provincia, dalla circolazione dei veicoli a motori, all’eliturismo, all’invasione delle alte quote con concerti invasivi, sono aggirabili con estrema facilità. Grazie all’istituto della deroga, il consumo di territorio e la cementificazione sono arrivati fino ai 3000 metri: Presena, rifugi abnormi, viabilità e motorizzazione di ambienti delicati. Altra parola ormai usata a sproposito è la sostenibilità. Oggi qualunque intervento consumi suolo o risorsa naturale non è più sostenibile.

Quad sulle Dolomiti

Anche il mondo dell’informazione mostra debolezze preoccupanti, specie quello pubblico. L’ambientalismo fa notizia solo quando attacca frontalmente. Ogni qualvolta propone, dice dei SI importanti, la notizia viene quasi nascosta. Noi ambientalisti dopo decine di anni di impegno siamo stanchi di essere relegati nell’area del NO. Ogni nostro NO porta altra visione, presuppone dei Si strategici, di lungo periodo.
E’ in questa situazione che l’ambientalismo si trova a operare. Inevitabile quindi l’avanzante demotivazione che ha coinvolto tante sensibilità, di gruppo e singole. La percezione diffusa dell’ambientalismo è che ogni azione e sollecitazione risulti inutile.
Certo, le responsabilità della debolezza dell’ambientalismo non sono solo esterne al movimento. Ci sono difetti che vanno aggrediti. Le associazioni nazionali, quasi tutte, hanno accentrato ogni decisione, hanno privato di autonomia chi lavora in periferia a contatto con la gente. Non è un caso il proliferare dei comitati. Ma questi durano il tempo della protesta e perché troppo eterogenei sono privi di visione complessiva delle emergenze. Prendono energia da una sfiducia ormai dilagante rivolta verso ogni istituzione.
L’ambientalismo è anche eccessivamente ideologico. Oggi, per rimanere nei temi, per sviluppare progettualità altre, per investire in visioni propositive, c’è bisogno di impegno continuo, di studio, di scienza libera. Fra i tanti esempi di debolezza posso citare quello del recente decreto governativo sulla gestione dei boschi italiani. Era molto semplice fare meglio, offrire alle regioni una cornice reale di selvicoltura naturalistica diffusa. Ma da una valutazione fortemente critica a arrivare a definire il decreto “Sfasciaforeste” ce ne vuole. Una percezione solo ideologica della difesa strenua di ogni bosco ha buttato all’aria il documento invece di avviare un percorso, anche radicale, teso a migliorarne il testo. Come del resto si rifiuta un confronto aperto, severo con enti che oggi mantengono i portoni inaccessibili ai cittadini: il CIO, la FISI. Enti che ricercano nelle grandi manifestazioni solo occasioni per speculazioni e mai portano attenzione ai reali problemi di chi in montagna vive, vedasi cosa sta accadendo, nel silenzio più assoluto della stampa nazionale, attorno ai Mondiali di sci alpino di Cortina.

Eliski

Certo, essere ambientalista oggi è molto più impegnativo che nel recente passato. Tutto è complesso: sempre più spesso chi protesta è vissuto come un fastidio. Non è casuale che la celere o l’esercito siano ormai protagonisti in ogni situazione: dalla vergogna della TAV della valle di Susa al vallo di Mori fino alla pagliacciata sindacale degli alberi di Rovereto. O vallate intere che minacciano direttamente, con violenza, chi pensa diversamente lo sviluppo in montagna, vedasi il Comelico. E’ in atto una guerra diffusa tesa a demolire ogni fonte di dissenso. Proprio oggi, mentre sono in atto cambiamenti climatici implosivi, mentre i suoli liberi sono rarità assolute, quando si dovrebbe investire in un solo impegno, garantire più biodiversità (e biopensiero) possibile. Oggi dobbiamo portarci in tempi brevi a una revisione totale del nostro modo di vivere, consumare, relazionarci sia a livello locale che globale.
Se l’ambientalismo ha bisogno di maturare altre strategie, se è vero che, come ci invita a fare Naomi Klein c’è bisogno di unità, se è vero che dobbiamo essere più capaci nell’usare i media locali e nazionali, il problema dell’assalto alla montagna non riguarda certo negligenze né della SAT, né dell’ambientalismo. E’ un problema che riguarda il mondo politico, destra e sinistra, un mondo legato al vecchio modello di sviluppo, capace di leggere solo le esigenze del profitto e delle speculazioni, capace di distorcere il significato reale di termini strategici come sostenibilità, sobrietà, partecipazione e condivisione.
Luigi Casanova