Un ponte verso il nulla
Di Carlo Alberto Pinelli, Gennaio 2015
Molti anni fa, di fronte al proliferare sregolato delle piste per lo sci di discesa, con il corollario delle loro aggressive e devastanti infrastrutture speculative, qualcuno di noi – al culmine della frustrazione – arrivò ad augurarsi che l’arrivo di un clima sempre più tropicale finisse per rendere l’innevamento così scarso e saltuario da scoraggiare investimenti indirizzati all’ulteriore sviluppo delle stazioni sciistiche. Un paradosso, naturalmente, ma non privo di una sua amara logica. Oggi che effettivamente quelle condizioni climatiche si stanno avverando (diciamolo francamente: purtroppo!) e il mantello nevoso da cartolina natalizia cede spazi sempre maggiori alle margherite – malgrado il costoso utilizzo dei cannoni spara-neve – i messaggi che ci giungono dai principali centri invernali sono tutt’altro che rassicuranti e anzi si allontanano sempre più da quelle che dovrebbero essere riflessioni sensate e saggi ridimensionamenti. Poco rassicuranti soprattutto per chi difende il valore etico e culturale di un sano rapporto tra gli esseri umani e la montagna. Tralascio di accennare qui allo scandalo del progettato collegamento funiviario tra la valle d’Ayas e Cervinia, perché di ciò si parlerà in altra sede e assai presto. E mi concentrerò su “scandali” diversi, forse meno macroscopici ma alla radice altrettanto inquietanti.
Per far fronte al progressivo calo delle presenze degli sciatori gli operatori turistici europei stanno escogitando affannosamente nuove proposte alternative, capaci di riempire di un pubblico pagante, comunque vada la stagione, le migliaia di alberghi sovra-dimensionati, frutto della speculazione e dell’avidità consumistica. Purtroppo le proposte non vanno in direzione della riscoperta (e riproposizione in forme appetibili) del fascino della “frequentazione dolce”: passeggiate nei boschi a piedi o a cavallo, visite culturali, trekking con ciaspole verso le zone più alte, corsi di cucina tipica, incontri con i saperi tradizionali, ecc. ma insistono a offrire il miraggio patinato di una montagna da operetta, vissuta sempre più come una ludoteca in cui, senza pericolo e con limitata fatica, si possono gustare forti e volatili pseudo-emozioni, anche in mancanza di neve. Insomma, una squallida parodia, ricalcata sui peggiori stereotipi urbani.
Ho visto recentemente che la pubblicità delle stazioni sciistiche dell’alta Provenza invita il pubblico a visitare “Il paese della Cuccagna”. Qualcuno da quelle parti deve aver letto molto superficialmente Pinocchio!
Due o tre altri esempi chiariranno meglio il senso di quello che sto scrivendo. A Titlis, in Svizzera, è stata costruita una funivia con cabina rotante per raggiungere un ponte “tibetano”, sospeso nel vuoto e lungo ben 107 metri. A Solden in Austria, e all’Aiguille de Midi in Francia sono in funzione piattaforme protese sul vuoto, con pavimento di vetro: il brivido della vertigine è garantito! Perfino in Cina, nelle montagne Tien Amen, c’è ora un ponte-giocattolo, disteso tra una guglia e l’altra, a quota 4700 metri. Alla Punta Helbronner, sul confine tra Italia e Francia, entrerà in funzione un ristorante vero e proprio, gestito da Eataly. Anche in questo caso gli infreddoliti frequentatori lo raggiungeranno servendosi di una avveniristica cabina rotante. Non sarebbe male organizzare picchetti con striscioni di denuncia di fronte agli sfavillanti locali di questa tanto lodata catena di ristorazione. Qualcuno si candida?
Con un filo di ironica esagerazione potremmo parlare di un concentrico tentativo di circonvenzione di persone alle quali, volutamente, non vengono forniti gli strumenti conoscitivi e culturali necessari per comprendere le dimensioni dell’inganno che stanno subendo e per accostarsi con piacere e curiosità a un rapporto con la montagna davvero alternativo.
Quando noi di Mountain Wilderness in un recente passato denunciavamo il rischio che l’esperienza dell’incontro con la montagna venisse ridotta a un infantile divertimento da luna park, davamo ingenuamente alle nostre affermazioni un significato soltanto analogico. Ora invece ci troviamo di fronte ad una realtà letterale. I ponti “tibetani” oscillanti, i passaggi su corda “alla tirolese”, le carrucole, ecc. offrono gli stessi identici brividi a buon mercato della grotta delle streghe dei vecchi luna park. Parchi tematici per frequentatori “mordi e fuggi”, di bocca buona.
Ricordate la campagna che la nostra associazione fece per arginare lo sviluppo delle vie ferrate? Allora moltissimi tra i frequentatori delle Alpi ci accusarono di estremismo elitario. “Perché” ci chiedevano “ve la prendete proprio con chi si impegna a raggiungere una vetta accettando di venire aiutato nell’impresa da qualche cavo metallico e da poche scalette? Non ci sono misfatti più gravi contro i quali puntare il dito?” Sì, in effetti c’erano allora e ci sono anche oggi. E tuttavia, con il senno di poi, bisogna riconoscere che la ragione stava già in quegli anni dalla nostra parte. I principi apparentemente innocui – o quasi – che giustificano le vie ferrate si sono rivelati semenze infide dalle quali è sbocciata la malapianta delle attuali macroscopiche aberrazioni. Il brivido della verticalità e della vertigine, il fascino di paesaggi ammirati dall’alto, il divertimento atletico, tendono a divenire gusci vuoti quando vengono conseguiti artificialmente, eliminando o riducendo al minimo il rischio calcolato, l’intelligenza nella scelta dei vari passaggi, l’intuizione dell’itinerario migliore, in una parola l’immersione nella montagna autentica, affrontata contando solo sulle proprie forze fisiche e energie psichiche. Non è un caso, ma piuttosto una deriva inevitabile, se il modello delle vie ferrate, esportato nel resto dell’Europa, si sia degradato a una grottesca caricatura. Un gioco da kindergarten per adulti di fronte al quale non si sa se piangere o ridere! Basta scorrere, ad esempio, la guida “Randoxigene-Via Ferrata”, edita dal Consiglio Generale delle Alpi Marittime francesi per rendersene amaramente conto.
Sento già la solita voce che esclama indignata: “Ma allora voi condannate ogni forma di divertimento all’aria aperta! Se pensate che divertirsi sia una colpa assomigliate troppo ai Telebani!” Cosa rispondere? Intanto premettendo che ciascuno può comportarsi come meglio credere purché (sottolineiamolo!) quei suoi comportamenti non interferiscano negativamente con le aspettative e i desideri di altri esseri umani. E poi il termine divertimento possiede diversi e anche opposti significati. C’è un divertimento epidermico, esclusivamente ludico, che ci allontana da noi stessi; e c’è un divertimento che può aiutarci a entrare più profondamente in noi stessi. Sinceramente non riesco a individuare molta dignità in un divertimento che altera, anche visivamente e in modo indelebile, il messaggio della montagna e allontana i suoi adepti dalla possibilità di aprirsi all’esperienza della natura incontaminata; non solo, ma rende anche impraticabile la fruizione degli stessi luoghi per chi fosse interessato a viverli in modo diverso. Il veleno che il modello delle vie ferrate secerne è sottile, inavvertito, facilmente sottovalutabile. Proprio per questo può essere assai pericoloso.
A conti fatti credo che dovremmo avere il coraggio di riprendere – magari in forme nuove e con parole d’ordine più articolate – questa nostra vecchia battaglia. Senza tema di scandalizzare qualcuno e di andare, come sempre, coraggiosamente contro-corrente.
Carlo Alberto Pinelli