Una nuova croce di vetta sul Piz de Guda.

In questi mesi la polemica politica sulle croci di vetta ha scatenato un terremoto istituzionale all’interno del CAI https://www.mountainwilderness.it/etica-e-cultura/croci-di-vetta/.

Mountain Wilderness, che si è sempre occupata di infrastrutture e croci sulle vette, ha evitato di entrare nella bagarre ma non ha certo cambiato opinione.
Pertanto pubblichiamo quanto inviato al comune di Rocca Pietore e alla Soprintendenza di Venezia riguardo la volontà di mettere una nuova croce sul monte “Piz de Guda”. (Rocca Pietore-BL)

Egregio sig. Sindaco,
Spett. Soprintendenza del Veneto,

La scrivente Associazione è venuta a conoscenza della proposta di installare una croce su una montagna intonsa, il “Piz de Guda”, situato sulla sinistra orografica della Val Pettorina sopra la frazione di Sottoguda nel comune di Rocca Pietore (BL).
Il dolce colle fa parte della Catena del Padon, un sottogruppo della Marmolada, è alto 2132 metri.
Per raggiungerlo si utilizzano due sentieri, un primo parte da Sottoguda, l’altro dalla strada che porta a Fedaja poco sopra Malga Ciapèla. Ambedue attraversano trincee della Grande Guerra fino in prossimità della vetta.
La cima è un particolare, unico cocuzzolo, un piccolo pianoro circolare da cui si gode una splendida vista sulla Marmolada (zona del Serauta), sulla catena delle Cime d’Auta e sulla sottostante Val Pettorina. In vetta esisteva precedentemente una significativa, sobria, leggera croce in legno, caduta circa due anni fa.
Siamo a conoscenza del fatto che il Soccorso Alpino, stazione di Val Pettorina (il cui capo–stazione è anche Vicesindaco del Comune), ha recentemente imposto alla cima un basamento pronto ad ospitare la nuova croce, già commissionata: una croce in metallo, alta circa 4 metri, che dovrà essere fissata con i tiranti come si intuisce dal manufatto del basamento. La croce verrebbe dedicata ad un membro della Stazione morto alcuni anni fa: già oggi la nuova sede della stazione del Soccorso Alpino è a lui dedicata.
Ci risulta che la stessa stazione del Soccorso alpino locale anni fa abbia posizionato una notevole croce sull’anticima del Monte Alto d’Auta, visibile dalla valle, ma ancora non invadente sull’intero sistema paesaggistico, solo perché la vetta è lontana dal fondovalle.
Chi ha autorizzato e sulla base di quali norme?

Qualora sul Piz de Guda venga installata la croce, per le dimensioni ed il materiale usato l’impatto paesaggistico e valoriale sarebbe enorme. Ovviamente perché la cima che la ospita è modesta, ma anche perché direttamente soprastante la valle e visibile da ogni ambito.
E’ evidente: l’obiettivo degli ideatori è proprio quello di imporre un simbolo, di renderlo più visibile possibile, una scelta di conquista. Nella operazione non vi si riscontra né spiritualità né valore religioso, piuttosto il trionfo di una volontà narcisistica di imporre alle montagne un proprio segno, privo di rispetto del paesaggio e della montagna, privo di sobrietà (la croce cristiana è simbolo di sobrietà ed umiltà per eccellenza), togliendo a chi frequenta la zona la libertà di spaziare in una sua spiritualità, di godere di paesaggi e natura liberi per imporre un simbolo religioso probabilmente non da tutti condiviso.
Non avremmo disturbato il Vostro lavoro qualora si fosse ripristinata la croce preesistente o ne fosse stata proposta una di dimensioni molto ridotte, capace di recuperare una storia anche religiosa perduta con la caduta della precedente. Al di là dell’aspetto paesaggistico e dell’imposizione religiosa tanto marcata, va rilevato come la croce per come prevista impedirebbe di fatto l’atterraggio di un elicottero, anche in situazione di emergenza per un eventuale soccorso.
Altre brevi considerazioni.
In questi giorni il CAI nazionale è stato scosso da un intenso dibattito scaturito dalla presentazione da parte della prof.ssa Ines Millesimi, storica dell’arte, del suo libro “Croci in Vetta in Appennino” all’università Cattolica di Milano. Tra i partecipanti figurava monsignor Melchior Sànchez De Toca Alameda, sottosegretario per la cultura e l’educazione della Santa Sede.
L’incontro ha sollevato una vivace discussione all’interno del CAI, con risvolti polemici che hanno visto intervenire anche personaggi di rilievo della politica nazionale, portando l’allora direttore editoriale della rivista del CAI Marco Albino Ferrari alle dimissioni in polemica con il Presidente nazionale Antonio Montani; sono seguite le dimissioni di Pietro Lacasella, responsabile de Lo Scarpone.


Va ripreso quanto affermato in quel confronto dal monsignore: “…non si deve banalizzare il simbolo della croce facendone uso improprio, un eccessivo proliferare ne sminuisce il significato, come succede quando sulle montagne si erigono proprio enormi croci, simili a tralicci…”.
E’ evidente come la signora Millesimi e il giornalista Ferrari con il confronto aperto su un libro storico sociologico non avessero la benché minima intenzione di portare a scelte drastiche come l’abbattimento delle croci preesistenti. Il dibattito serviva a porre delle riflessioni e diffondere cultura del rispetto: anche evitando il proliferare di altri segni sulle montagne che vanno mantenute pulite, spazi dedicati alla natura e a diffuse poesie e sensibilità. Si chiedeva sobrietà, non esibizionismo, spettacolarizzazione di un simbolo religioso. Come ha recentemente scritto lo storico del cristianesimo e ricercatore della Fbk Claudio Ferlan (Il T, 11.07.2023) “…non si salgono le montagne nel nome di una qualche identità, tanto meno per ammirare delle croci di vetta, che, diciamolo pure in serenità, sono spesso molto brutte”.
Uscendo da queste riflessioni, alle Amministrazioni ed uffici pubblici competenti che ci leggono siamo a chiedere:

  • sono stati richiesti e ottenuti pareri favorevoli sulla conformità urbanistica della installazione?
  • quali procedure amministrative sono state adottate? Visto che siamo in zona di protezione
    ambientale e paesaggistica quali indagini si sono svolte?
  • quali uffici hanno rilasciato l’autorizzazione all’installazione del manufatto?
  • sono state rilasciate dalla Soprintendenza regionale autorizzazioni sul tema della tutela del
    paesaggio?
    Non si ritiene siano più che maturi tempi affinché Comuni, Regioni, Stato nazionale impongano limiti al proliferare di qualunque manufatto sulle alte quote, sia sul piano normativo che su quello etico?
    Dagli enti pubblici in indirizzo attendiamo risposte esaustive a queste domande.