“Une soupe aux herbes sauvages”. Una storia di resistenza civile

Una storia di resistenza civile condotta all’insegna del motto “Des moutons pas de camions” e ben raccontata in un libro dal titolo “Une soupe aux herbes sauvages”. Autrice Emilie Carles, anziana ma attivissima maestra di Val de Pres, vera eroina di questa vicenda. Di Toni Farina

Sono molti gli italiani che oggi frequentano la Valle della Clarée, altrimenti nota come Valle di Nevache. In estate, contribuisce alla frequentazione il Colle della Scala che consente un agevole accesso da Bardonecchia. Ma soprattutto contribuisce l’ambiente di questa valle, autentico gioiello delle Alpi francesi e non solo.

Ma quanti italiani (e credo anche francesi) sanno che all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso era previsto un accesso ancora più rapido, e possibile anche con la neve? Questo grazie a un nuovo tunnel sotto il colle e all’autostrada che, se realizzata, avrebbe cambiato radicalmente l’ambiente della valle. Un’opera ritenuta “necessaria” per un collegamento diretto fra Torino e Marsiglia.

Se così non è stato lo si deve alla tenacia degli abitanti che si sono opposti allo sconquasso generato da un’arteria a quattro corsie. Una storia di resistenza civile condotta all’insegna del motto “Des moutons pas de camions” e ben raccontata in un libro dal titolo “Une soupe aux herbes sauvages”. Autrice Emilie Carles, anziana ma attivissima maestra di Val de Pres, vera eroina di questa vicenda.

Fino a quel momento la Clarée è una valle pressoché ignorata dai flussi turistici. Marginale, isolata, vicina ma al contempo lontanissima dalle stazioni sciistiche di Serre Chevalier e Monginevro. Una condizione di isolamento soprattutto geografico: lo conferma il curioso fatto che il torrente principale, la Clarée, a dispetto della considerevole portata è considerato un affluente del rigagnolo Durance e non viceversa, come logica vorrebbe (sgorgando al Monginevro la Durance acquisisce il diritto di portare il suo nome fino al Rodano).

La lotta dei paysans ottenne due risultati: nel 1992 la valle acquisì lo status di “site classée”, misura che la salvò dall’autostrada e la preservò da futuri interventi immobiliari nefasti (nei site classée gli interventi sul territorio sono soggetti ad autorizzazione preventiva da parte di una specifica commissione). E allo stesso tempo innescò la discussione sulle prospettive di futuro. Da un lato i propugnatori del modello Serre Chevalier (i sostenitori dell’autostrada), dall’altro i fautori di un modello dolce, compatibile con l’ambiente ancora ben conservato della valle. Visti i presupposti, furono le tesi dei secondi a prevalere.

Da quel momento la Clarée ha iniziato la sua seconda vita. Anche grazie ai connotati simbolici della vicenda, la valle è diventata un caso sociale ed economico, un modello di compatibilità fra esigenze sociali e ambientali indagato e descritto dai molti giornalisti, inviati di testate specialistiche ma non solo. Fra questi, la nota autrice di libri di montagna Agnès Couzy, che ha definito Névache “l’histoire d’un miracle” (Alpinisme et Randonnée, Vallée de Névache, la vallée harmonieuse).

Il miracolo di un turismo cha appena qualche anno fa avremmo definito “diverso”, ma che tale rimane rispetto a quello che monopolizza, ad esempio, molte località appena oltre confine. Le valli olimpiche, la Via Lattea, costellazione di impianti a fune e di piste innevate in modo artificiale. Un modello ormai soggetto ad accanimento terapeutico e che palesa sempre più i suoi limiti.

Il turismo di Nevache, fatto di passi, di respiro, di lentezze, di neve naturale. Fatto di gentilezza ed equilibrio. E, pur fra alcune contraddizioni e criticità, è proprio l’equilibrio l’elemento che caratterizza oggi la Clarée. Una condizione privilegiata che la valle ha trovato “toute seule”, secondo l’autorevole definizione di Jean-Gabriel Ravary (Alpinisme et Randonnée n° 218), valligiano d’oc che conosce bene Névache e soprattutto conosce la sua storia recente.

Ho modo di verificare per l’ennesima volta questa condizione valicando il Colle della Scala in bicicletta in un caldo e limpido giorno di giugno. Al di qua del confine vaste aree parcheggio vuote, condomini chiusi, stagione morta. Oltre confine si fatica a trovare posto per pernottare. A Nevache la stagione “morta” è molto breve. E ho ben presente le giornate invernali: a Ville Haute, dove termina lo sgombero della neve, al mattino è tutto un fermento di preparativi. Niente sdrai prendi sole, ci si muove, sci o ciaspole ai piedi. Si va a conoscere gli Chalet des Acles, gioiello appartato e nascosto ai piedi del colle omonimo, si va nei valloni della Buffére o di Thures, sui vasti campi innevati verso il Col des Chardonnet, ai piedi dei Cerces, le Dolomiti del Briançonnais.

Impegnati nel periplo del Monte Thabor si traversa in Vallée Etroite, enclave di Névache “in quel di Bardonecchia”. Italiana di orografia e di frequentazione, dal 1947 la Valle Stretta è territorio francese, Comune di Névache:

“Meglio così, la valle si è conservata meglio…”., mi aveva raccontato anni fa Riccardo Novo, gestore dello storico Rifugio Terzo Alpini del CAI, alle Grange di Valle Stretta. Pinerolese d’oc, Novo, cittadino italiano residente in Francia, vive da 21 anni la singolare esperienza di occupare uno scranno nel Consiglio Comunale di Névache. Una condizione ideale per fare raffronti fra realtà vicine ma diverse:

“Névache, ha privilegiato le strutture alberghiere piuttosto che le seconde case e oggi, nonostante i suoi 349 abitanti, ha più posti letto di Bardonecchia che conta 3000 abitanti stabili (33.000 d’estate!)”, aveva aggiunto Novo durante una chiacchierata in rifugio in un giorno d’inverno di una quindicina di anni fa.

Così mi informava Novo, ma con credo che oggi la situazione sia molto mutata. Per verificarlo sono stato a trovare Riccardo Novo in rifugio in un pomeriggio di inizio luglio. Giorno infrasettimanale, la sala pranzo è animata da gruppi di francesi impegnati nelle randonnée, il Tour del Thabor è molto frequentato.

“Riccardo, com’è oggi Nevache”? La risposta: “Per molti italiani Nevache è un mito, tuttavia le criticità ci sono anche lì. Come molte località di montagna occorre fare i conti con una presenza nei periodi di punta che è davvero difficile gestire. La navetta per l’alta valle in funzione da 18 anni è una scelta ormai irrinunciabile, d’altronde sono scelte da cui non si torna indietro, ma a causa della difficoltà di coprire i costi si è limitato l’esercizio al periodo 11 luglio-19 agosto. In tale periodo 10 navette da 20 posti fanno servizio continuativo da Ville Haute a Laval, dove termina la strada. Inoltre, una navetta da 40 posti fa la spola da Roubion a Ville Haute. L’anno scorso sono state trasportate 96.000 persone in 40 giorni di servizio.

A proposito di flussi turistici critici proprio la Valle Stretta, in virtù della comodità di accesso dal lato italiano è zona calda.

“Difficile trovare la quadra fra esigenze spesso contrapposte, dopo qualche provvedimento sperimentale, dall’anno prossimo in estate alle Grange si salirà solo in navetta, la strada sarà chiusa al parcheggio di Pian del Sole” (ora la navetta è scelta opzionale).

Così mi informa Novo. È sera, si torna a valle. Lassù il Thabor privo di copertura nevosa informa che il cambio di clima non conosce confini. In ogni caso, pedalando nell’alta Valle della Clarée, in un paesaggio così agréable, ravvivato dalla limpida compagnia del torrente e le dolomitiche cime dei Cerces all’orizzonte, non si può che essere grati a Emilie Carles. Oggi la maestra di Val de Pres non c’è più, ma sarebbe certo contenta nel vedere la sua valle oggi, vitale ma ancora riconoscibile, animata dal belato dei moutons e non dal ruggito dei camions.

Toni Farina