Vie ferrate: introduzione all’alpinismo o tomba della creatività?
Una riflessione di Michele Comi, Guida Alpina e Maestro di Alpinismo
Per comprendere l’inutilità delle ferrate, non occorre essere rivoluzionari, ma semplicemente essere persone curiose, che sanno conoscere e frequentare con basilare consapevolezza le rupi, avvicinandosi al linguaggio della roccia, per accettare di mettersi in gioco accogliendo l’invito della montagna.
La sintonia tra l’uomo e la parete non può avvenire attraverso il ricorso a cavi e metalli, il cui unico risultato sta nell’allontanare dal contatto reale e sensibile con l’ambiente con cui vogliamo confrontarci.
Un artifizio che ci illude d’esser gagliardi, d’assaporare il vuoto, senza troppi pensieri, senza percorsi d’iniziazione che richiedono dedizione, impegno e un po’ di fatica.
Puntare ad esperienze svincolate dalle esagerate facilitazioni d’accesso con scale e catene e mirare a percorsi naturali, accessibili al proprio livello, non può che migliorare le proprie capacità di messa a fuoco, con il vantaggio di poter affrontare i percorsi con maggiore autonomia e indipendenza.
La sequela di passi ferrati anestetizza la sperimentazione, il gioco, la scoperta di sé e dell’ambiente.
Accarezzare la roccia e muoversi senza intralci d’acciaio, indipendentemente dal grado di difficoltà, dà l’opportunità di vivere meglio quel contesto, tollerare e comprendere i rischi e scalare con migliore efficacia e con meno fatica.
Se condividiamo l’idea che l’importanza di un’uscita in montagna risieda nell’esperienza, nelle emozioni che essa attiva, potremmo facilmente rinunciare a questi modesti trofei metallici e “adrenalinici”, per dirigere altrove e ritrovare un inesauribile terreno di scoperta, per mettersi a nudo di fronte alla montagna.
Per ampliare l’incertezza, privarsi dell’eccesso di informazioni anticipate, per resettare il nostro rapporto con la parete, riportando il sistema di elaborazione allo stato iniziale, cogliendo così ogni passaggio, ogni sfumatura, rinunciando al superfluo, cogliendo appieno ogni piccolo passo verso l’alto.
Perché dunque continuare a fare ferraglia anziché disfare l’esistente?
Perché sostenere costi sempre più imponenti a carico della collettività, oneri di manutenzione, collaudi, “certificazioni”, opere senza fine che non eliminano di certo la possibilità di farsi del male come si evince dal gran numero di interventi di soccorso che le ferrate mobilitano?