Wildeness individuale e wilderness partecipata

L’esperienza della wilderness adempie a una delle funzioni indispensabili al mantenimento di una società civile e democratica: è uno spazio di partecipazione libera dove tutti sono eguali al momento della partenza. Una riflessione di Gilles Privat

Gilles Privat. Vice President, Mountain Wilderness International

L’esperienza della wilderness si impone in prima battuta come esperienza intima dell’individuo
solitario.
Questa specie di eremo naturale appartato, dove gli esseri umani possono respirare come aquile le solitudini della montagna, connota gli aspetti più antropocentrici della wilderness.
Una vecchia concezione “mitologica” dell’alpinista come superuomo (“Solo di fronte alle sfide della montagna” …
“Impossibile esprimere a parole ciò che ho vissuto lassù”) contribuisce senza dubbio molto a questa visione estrema della wilderness e ne fa il territorio esclusivo di chi, praticandolo, immagina se stesso e intende proporsi come un individuo che ha scelto di collocarsi ai margini (o al disopra?) della società abitata dai comuni mortali.
Ora la domanda è questa: veramente l’esperienza della wilderness è per sua stessa natura incomunicabile?
Molti potrebbero riferire una variante personale di tale banale e crudele disillusione affettiva: il tentativo di condividere con qualche amico, che trasciniamo dietro di noi in montagna, la nostra intima meraviglia, i nostri più segreti impulsi del cuore, si scontra con il sentire di chi non desidera altro che ritrovare a valle il comfort e la sicurezza.
Beni preziosi dai quali costui si è allontanato per seguirci imprudentemente in un universo di cui percepisce solo l’ostilità.
Diciamo subito che questa non è la regola. Può accadere anche che l’amicizia reciproca venga rinsaldata a un livello inedito dalla condivisione di un’esperienza così fuori dal comune.
Per molti di noi una significativa e profonda esperienza della wilderness include sempre l’aspirazione a una condivisione con un compagno o una compagna; e spesso la rende praticabile.

Gran Paradiso, Parete Nord


Soprattutto se alla base esiste già una solida amicizia fondata su affinità consolidate. Da qui deriva che l’esperienza della wilderness non è condannata per forza a restare rinchiusa negli steccati dell’incomunicabilità individuale, ma può trasformarsi in un acceleratore di legami sociali.
Personalmente credo che la frequentazione degli spazi non addomesticati possa aprirci la porta che conduce a rapporti tra esseri umani meno effimeri, più sinceri.
Insomma, di qualità diversa. Si può riassumere questa idea, senza temerne l’aspetto paradossale, con la definizione che appare all’opposto di una visione eroiconietzschana: la wilderness inizia là dove non diviene più incongruo dire buon giorno a uno sconosciuto incontrato lungo il cammino. Questo semplice saluto, così spontaneo in montagna, altrove (in metropolitana, al supermercato) sembrerebbe certamente inopportuno, stravagante, imbarazzante, al limite di un disturbo psichico.
La wilderness naturale, intesa in questa prospettiva, si pone come l’esatto opposto di quel deserto sentimentale che connota certi quartieri delle megalopoli moderne (da quelli periferici a quelli esclusivi), dove sembra si faccia strada una nuova legge della giungla.

Arrampicata sulle Alpi Svizzera, Canton Uri. Foto: Sergio Ruzzenenti

Opponendosi implicitamente alla decomposizione della società moderna, l’incontro con l’altro nei silenzi della montagna favorisce la riscoperta di una convivialità in cui gli esseri umani possono respirare più liberamente ed affrancare se stessi da vincoli comportamentali imposti dalla pressione sociale.
La convivialità fiorisce là dove la presenza dell’altro non è più promiscuità subita obtorto collo.
Fiorisce lontano dai parcheggi affollati, dalle funivie, dalle piste di sci, dalle stesse vie normali alla moda, dove si avanza in processione; lontano dai rifugi trasformati in stie per pollame. L’esperienza condivisa della wilderness ci aiuta anche a non a cadere nell’equivoco di un rousseauianismo infantile che presuppone il mito fallace del ritorno puro e semplice alla natura.
Ricorrendo a un argomento caricaturale, si potrebbe sostenere che il biglietto d’ingresso alla wilderness (la cui caratteristica è invece proprio quella di non prevedere mai e in nessun modo un biglietto d’ingresso) garantisce a chi ne è provvisto, grazie all’impegno personale e alla competenza lentamente acquistata, l’appartenenza a una cerchia di simili che si riconoscono in certi valori condivisi e condivisibili.
Cosa differenzia quella cerchia dal sentimento di appartenere a un qualunque club elitario, di difficile accesso?
Semplicemente il fatto che potenzialmente nessuno è escluso. Il biglietto è gratuito.

A rischio di apparire magniloquente potrei sostenere che l’esperienza della wilderness adempie a una delle funzioni indispensabili al mantenimento di una società civile e democratica: è uno spazio di partecipazione libera dove tutti sono eguali al momento della partenza, dove i criteri economici, così soffocanti altrove, non
riescono a prevalere.

Piz Lagrev, vetta. Foto: Sergio Ruzzenenti


Ad essere sinceri, anche qui il rischio della formazione di sotto-categorie elitarie può presentarsi e in effetti, come ben sappiamo, si presenta spesso. I club alpini accademici, i gruppi d’alta montagna con esame d’ingresso, i confratelli dell’8 b, ne sono una dimostrazione. E allora?

Al di là dell’immersione in una wilderness “oggettiva” che effettivamente può porre delle barriere all’ingresso, esiste una wilderness “soggettiva” che equivale a un’esperienza accessibile a tutti.
Ciascuno può viverla intensamente, adattandola al proprio livello fisico e psichico.


Accadrà durante una bella sera d’autunno, su qualche sentiero alpestre poco battuto.
Percorrendolo un passo dopo l’altro, l’escursionista potrà sentire dentro di sé la stessa pienezza esistenziale che altri, più dotati, hanno provato più in alto, legati in cordata, tra roccia e ghiaccio, bufere e bivacchi.
E accadrà là dove lo sconosciuto diventa, grazie a un semplice saluto scambiato, qualcosa di molto simile a un amico. O a qualcuno con cui ci piacerebbe poter fare amicizia.

(traduzione e adattamento di Carlo Alberto Pinelli, con la collaborazione di Paola Imseng)