Cara neve: ma quanto ci costi?

Pubblichiamo, per gentile concessione di Dislivelli, un’ inchiesta sui costi dell’industria dello sci, gran parte dei quali sono a carico dei contribuenti.

di Simone Bobbio, Maurizio Dematteis e Daria Rabbia

L’industria dello sci muove milioni di euro ogni anno tra Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Trento, Bolzano e Friuli. Ma le spese sembra superino ogni anno di più i guadagni, facendo lievitare l’intervento pubblico a sostegno del settore.
Ma quanti sono i quattrini che tutti noi versiamo per sostenere questa industria? Abbiamo provato a capirlo con un’inchiesta nelle regioni alpine italiane.

L’estate scorsa il Commissario alla spending review Carlo Cottarelli  rendeva pubblico l’elenco delle partecipate pubbliche: 1424, di cui una su 4 di quelle esaminate, in passivo. Un bagno di sangue. Sul Fatto Quotidiano del 5 settembre, in un articolo a firma Luigi Franco, si metteva in evidenza come nella lista delle partecipate stilata da Cottarelli, ci fossero oltre 60 aziende che gestiscono impianti di risalita, da Trento Funivie a Skiarea Valchiavenna e Monterosa spa. Franco ha calcolato che in base ai dati pubblicati sul sito revisionedellaspesa.gov.it, riferiti al 2012, le perdite complessive, sottratti gli utili delle poche società in attivo, superano i 16 milioni di euro. Soldi in prevalenza pubblici. Tanto che il professor Giorgio Daidola, da noi interpellato in un articolo che segue, nell’articolo de Il Fatto Quotidiano dichiarava: «Il modello del turismo invernale va rivisto, altrimenti si rischia di buttare via altri soldi pubblici».

Giorgio Daidola

Ma quanti sono questi soldi pubblici, che ogni anno tutti noi dobbiamo sborsare per tenere in piedi un’industria in crisi, che senza correzioni non può avere futuro?
È la domanda che ci siamo fatti in redazione. E abbiamo tentato, regione per regione, di capirci qualcosa di più, lanciandoci in una “caccia al dato” che, alla faccia della trasparenza pubblica, non è stata per nulla semplice. Tra finanziamenti diretti, società a partecipazione pubblica, voci di finanziamento diverse erogate da enti diversi, siamo arrivati a una rappresentazione che, seppur disomogenea, riesce a dare l’idea dello sforzo economico che tutti noi affrontiamo ogni anno per tenere in piedi l’industria dello sci, aiutando le migliaia di persone che ci lavorano.
Buona immersione nei numeri.

Piemonte

Tra le Regioni alpine, la realtà dell’universo neve piemontese è senz’altro la più variegata, per non dire caotica. In Piemonte infatti si trova la maggiore estensione di Alpi nonché il maggior numero di stazioni e stazioncine invernali, tutte o quasi in perdita, gestite da Comuni, società private e associazioni senza scopo di lucro.
Sono 46 le realtà che nel 2013 – relativamente all’anno 2011/2012 – hanno ricevuto contributi dall’Ente regionale per “sicurezza delle aree sciabili”, “gestione degli impianti di risalita” e “innevamento artificiale” sugli oltre 1000 km di piste da discesa. Spesa totale: 11 milioni di euro di cui 7 milioni destinati alle cosiddette Grandi stazioni, cioè Alagna Valsesia Monterosa Ski, Bardonecchia, Limone Riserva Bianca, Mondolé Ski e Via Lattea, e 4 milioni stanziati per
tutti gli altri.


Successivamente, il 22 dicembre 2014, la Giunta Regionale ha stanziato 841 mila euro destinati alle Piccole stazioni e 1 milione 358 mila euro per le Grandi, a sostegno dei conti 2012/2013.
Nel frattempo però, il 7 maggio 2013 la Regione Piemonte ha trasferito ai Comuni dell’Alta Valsusa gli impianti di innevamento artificiale e di risalita acquisiti in previsione delle Olimpiadi. La successiva determinazione dirigenziale n. 3 del 15 gennaio 2015 per il trasferimento dei contributi – oltre 3,5 milioni di euro – relativi alla stagione invernale 2014/2015, non è stata stanziata in favore delle società che gestiscono le infrastrutture, bensì dei Comuni di Bardonecchia, Cesana Torinese, Sauze d’Oulx e Sestriere che ne sono proprietari. Senza che, per il momento, vi sia traccia delle compensazioni destinate a tutte le altre stazioni.
Insomma, come si evince da questi dati, la situazione piemontese appare piuttosto complessa dopo che il progetto di regionalizzare le stazioni, annunciato nel 2011 dall’Assessore al turismo Cirio della Giunta Cota, non ha avuto esito. La realtà dello sci in Piemonte si presenta quindi all’insegna della confusione tra disparità nelle quote di contribuzione pubblica e nella distribuzione dei flussi turistici. Nei prossimi mesi la Giunta guidata da Sergio Chiamparino, sarà chiamata a prendere delle decisioni in vista di un nuovo assetto organizzativo dello sci, ma si tratta di provvedimenti soggetti a un forte indirizzo politico che finiranno per scontentare inevitabilmente molte realtà.
Simone Bobbio

Valle d’Aosta

Tra le Regioni alpine la Valle d’Aosta è quella in cui il turismo dello sci ha il maggiore impatto sull’economia. Confrontando la superficie regionale e il numero di abitanti con la lunghezza delle piste, si può affermare che le montagne valdostane sono le più densamente sciistiche d’Italia; con gli oneri e gli onori che ciò comporta: 700 chilometri di piste da discesa serviti da 214 impianti di risalita.
Secondo i dati provenienti dall’assessorato al Turismo della VdA, risulta che dalla stagione invernale ’95/96 a oggi la Vallée ha investito complessivamente oltre 512 milioni di euro per mantenere in salute il proprio universo neve. Si tratta di costi generali comprensivi di spese di gestione, investimenti in infrastrutture e aumenti di capitale nelle diverse società. Il risultato più evidente di questa costosa politica è l’acquisizione da parte della partecipata regionale
FinAosta di tutte le aziende che gestiscono impianti di risalita e piste da sci: 95 milioni di euro in 20 anni. Il processo, iniziato nel 2008 quando la Cervino SpA si ritrovò senza acquirenti privati e fu salvata da “mamma” Regione, si è definitivamente concluso nella primavera del 2013. Alla voce “aumenti di capitale” il quinquennio 2008-2013 segna una spesa di oltre 65 milioni di euro. Successivamente, per la stagione 2013-2014, l’esborso da parte della Regione si è ridotto a quasi 5 milioni di euro per le ricapitalizzazioni di FinAosta.


Ma le voci di uscita più cospicue – 230 milioni di euro in 20 anni – sono relative agli investimenti per il rinnovamento degli impianti a fune. Si tratta di spese che hanno conosciuto picchi elevati distribuiti nel corso dell’intero ventennio. In particolare svettano gli oltre 95 milioni di euro spesi nel triennio 2004-2007 e il risparmio nelle ultime due stagioni, in cui l’esborso è stato di appena 900 mila euro.
Infine, la terza voce di spesa che si è mantenuta stabile nel periodo in esame è per il soccorso: 73 milioni di euro nel ventennio. Mentre la quarta, più interessante, riguarda i costi dell’innevamento artificiale: 64 milioni di euro in 20 anni. In questo caso si osservano notevoli oscillazioni tra periodi di investimento in infrastrutture – 2005-2008 con oltre 32 milioni di euro spesi – insieme alle oscillazioni dovute agli inverni poveri di precipitazioni. Anche in questo caso, negli ultimi 3 anni i costi si sono drasticamente ridotti con 175 mila euro nel 2010-2011, 747 mila euro nel 2011-2012 e 518 mila euro nel 2012-2013.


La Vallée ha quindi speso mediamente 25 milioni di euro all’anno per sostenere l’economia dello sci, per mantenere un comparto che rappresenta l’immagine complessiva della regione e ne alimenta un indotto significativo. L’acquisizione da parte della Regione di tutte le società che gestiscono strutture sciistiche può rivelarsi un’opportunità per razionalizzare gli investimenti e promuovere prodotti turistici più variegati e mirati tra i numerosi segmenti di mercato che sono nati negli ultimi anni. Questa politica di regionalizzazione dello sci si è conclusa nel 2013; la spesa complessiva affrontata dalla Regione nell’inverno successivo è stata la terza più bassa del ventennio con 10 milioni di euro. Non è sufficiente per individuare un trend, ma può essere un punto di partenza.
Simone Bobbio

Lombardia

1230 chilometri di piste da discesa, 300 impianti di risalita e 30 comprensori sciistici per le montagne della Lombardia. Un paradiso di coltre bianca per sciatori italiani e stranieri e un buco nero per quelli che, come noi, cercano di cavarne fuori qualche dato.
«La situazione lombarda è difficile da esaminare – commenta Luca Serenthà, socio di Dislivelli e profondo conoscitore della realtà alpina delle Alpi centrali –. Mi sono scontrato con un territorio e un campo vastissimi». Anche perché sono una quarantina le società che gestiscono gli impianti. Tra queste, diverse sono sostenute dal pubblico che interviene anche finanziando la costruzione degli impianti e l’innevamento artificiale. È il caso di società partecipate dalla Provincia, dalle Comunità Montane e/o dai Comuni di pertinenza. «Quando disponibili, ne ho analizzato i bilanci – continua Serenthà –. Con i dovuti condizionali del caso, posso dire di avere riscontrato un’interessante correlazione tra la performance economica delle società e l’altitudine del comprensorio».

Ogni anno di più, i comprensori a bassa quota si scontrano con l’aumento delle temperature, dando origine al noto circolo vizioso, per cui si tampona l’assenza di neve accendendo i cannoni, i costi crescono esponenzialmente e le società chiudono l’anno in rosso.
La stessa sorte tocca anche ai comprensori più blasonati. È il caso di Bormio, gestito dalla S.i.B. Spa, cui partecipano il Comune di Bormio e quello di Valdisotto, che ha chiuso il 2013 con una perdita di quasi 400 mila euro. Di casi come questi se ne contano a decine.
La Provincia di Brescia, ad esempio, partecipa alla Baradello 2000 Spa, a capo della ski-area Aprica–Corteno, che a fine 2013 ha registrato un risultato negativo di quasi 185 mila euro. Anche la Skiarea Valchiavenna, partecipata dalla Provincia di Sondrio, è in perdita dal 2012, con più di 760 mila euro di buco nel 2013.
A sostegno del sistema lombardo arriva la Regione, che nel giugno del 2013 approva ed emette il bando «per l’assegnazione di agevolazioni finanziarie finalizzate alla miglioria, all’adeguamento e alla sicurezza degli impianti di risalita e delle piste da sci». 6 milioni di euro, incrementabili fino a 8 in caso di ampia partecipazione delle imprese, a disposizione degli impiantisti per promuovere – si legge nel bando – «lo sviluppo e l’attrattività della montagna lombarda invernale». I soldi pubblici sono serviti a finanziare l’acquisto di nuovi cannoni sparaneve e battipista, oppure per realizzare bacini di accumulo d’acqua per l’innevamento programmato.
Daria Rabbia

Veneto

450 chilometri di piste da discesa, servite da oltre 150 impianti di risalita. Il Veneto è una regione di primo piano dello sci italiano, con rinomate località come Cortina d’Ampezzo, metà turistica internazionale, e un domaine skiable che va dal Monte Baldo alla Lessinia, dalla montagna vicentina di Asiago e di Recoaro Mille al Monte Grappa, al Pian del Cansiglio, dall’Alpe del Nevegal al Monte Avena, all’Alpago. E poi le Dolomiti: dall’Agordino con
Arabba e Marmolada, San Vito, Pieve di Cadore, Auronzo Misurina, Comelico Superiore, Sappada e il Comprensorio Ski Civetta.

Un comprensorio notevole finanziato dall’ente pubblico nel corso del 2014, si legge sul Corriere delle Alpi del 2 gennaio 2014, a firma Marco Ceci, con «ventiquattro milioni di euro per gli impianti a fune del Veneto, dei quali 16 milioni 856 mila (a sostegno di 22 interventi) in esclusiva a quelli della provincia di Belluno. Il maxi finanziamento, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, è stato assegnato dalla giunta regionale del Veneto a favore degli impianti a fune regionali. A darne notizia è stato il vicepresidente Marino Zorzato, relatore di concerto con l’assessore al turismo Marino Finozzi del provvedimento che finanzia 32 domande ammesse a contributo […]. Fondi che dovranno avviare gli interventi entro la prima metà del 2015. I contributi pubblici verranno destinati nel seguente modo: per
quanto riguarda la “nuova realizzazione di impianti o sostituzione di impianti già esistenti”, a Padon Marmolada Srl sono stati destinati 2 milioni di euro, a Tofana Srl 1 milione 410 mila euro, alla società Funivie Arabba Marmolada Sofma Spa 2 milioni di euro, ad Alleghe Funivie Spa 1 milione di euro, alla Impianti Falcade-Col Margherita Spa 1 milione, alla Marmolada Srl 3 milioni, a Campetti Sappada 2010 Srl 166 mila euro, a Sciovie Cima Snc 166 mila euro, a Pordoi Spa 2 milioni, ad Alpe del Nevegal Srl 436 mila euro, alla Società impianti turistici Boè Spa 1 milione di euro.
Per ammodernamento, sistemazione, revisione, rinnovo di vita tecnica e riposizionamento di impianti: Tofana Srl euro 159.776, Quinz Impianti Srl 163.500, Alpe del Nevegal Srl 27.790, Cima Tofana Srl 234.900, Campetti Sappada 2010 Srl 193.000, Marmolada Srl 352.000, Palafavera Srl 520.080, Pordoi Spa 797.452, Impianti Averau Srl 22.822, Ista Spa 139.200, Croce D’Aune Sviluppo 67.567 euro».
Maurizio Dematteis

Trento

Il domaine skiable della Provincia autonoma di Trento, spiega Luigi Casanova, vice presidente Cipra Italia, è notevole: 13 comprensori sciistici con un totale di 239 impianti, capaci di coprire 62.762 m di dislivello e di servire 485 piste per un totale di 730 km di piste, distribuite su 1536 ettari di superficie, di cui 1279 innevati artificialmente.

Luigi Casanova

Gli impianti hanno una capacità di 351.937 persone all’ora (cresciuta di 25.000 unità negli ultimi nove anni), a un costo Skipass di 53 euro a persona.
Secondo gli ultimi dati che siamo riusciti a recuperare, pubblicati a fine 2012 dall’associazione Anev di Confindustria trentina, il settore delle società funiviarie genera un indotto valutabile intorno ai 400 milioni di euro all’anno e fornisce lavoro a 1300 persone (su 560.000 abitanti del Trentino), di cui 900 stagionali e 400 fissi.
Secondo i dati forniti dalla Provincia, sempre nello stesso 2012, si segnala un incremento sia di arrivi (+ 2,8%) che di presenze (+ 1,3%) di turisti in Trentino; a fronte però di un crollo (- 13%) di passaggi sugli impianti a fune. Confindustria Trentino sottolinea infatti come solo un terzo degli impianti viaggi in attivo, 1/3 in parità e 1/3 con passivi importanti.
 Ed è qui che interviene il finanziamento pubblico a sostegno del core business dell’industria del turismo invernale trentino. Ma non direttamente da parte della Provincia: attraverso Trentino Sviluppo, spa a 95% pubblica, nata nel 2007 per “favorire lo sviluppo sostenibile del sistema trentino”.
Abbiamo provato a capire quale sia il flusso di denaro pubblico che annualmente la Provincia autonoma di Trento impegna attraverso Trentino Sviluppo per sostenere la spesa ordinaria dell’indotto sciistico. Ma non è stato così semplice. Troppe e troppo sparse su capitoli diversi le voci relative al sostegno pubblico. Come ad esempio i finanziamenti sotto la voce “mobilità alternativa”, che permettono a Trentino Sviluppo di superare le limitazioni di sostegno
pubblico degli impianti sciistici.
Eppure, secondo un’interrogazione consiliare di qualche anno fa realizzata dal consigliere dei Verdi Roberto Bombarda, si calcola che annualmente la Provincia, attraverso Trentino Sviluppo, versi alle società impiantistiche un capitale di 160 milioni di euro. Comprensivi però anche di spese straordinarie per la realizzazione di nuovi impianti. Sempre attraverso l’escamotage della mobilità alternativa. «Come nel comprensorio Pinzolo-Campiglio, dove il collegamento di mobilità alternativa con funivia in tre tronconi – scriveva Luigi Casanova su Dislivelli.eu di dicembre 2012 – che parte da Pinzolo e arriva, attraverso il Grostè, a Madonna di Campiglio, è stato sostenuto dall’ente pubblico con 50 milioni di euro.
Ebbene, nel primo inverno 2011-2012 di apertura del collega-mento, dei 300.000 passaggi previsti ce ne sono stati solo 57.000.
Tanto che l’impianto è stato obbligato a rimanere chiuso nei mesi estivi». Con buona pace della mobilità alternativa.
Maurizio Dematteis

Bolzano

L’industria dello sci per l’Alto Adige è sicuramente una risorsa economica strategica. E l’Alto Adige è la regione che annualmente accoglie più turisti della neve in tutta Italia. Con 29 stazioni sciistiche e oltre di 1000 km di piste (di cui 900 coperti dai canoni per la neve artificiale) che coprono ben 3868 ettari su un totale di 740.043 della provincia di Bolzano (lo 0,5% della superficie totale), e un costo skipass di 53 euro, si stima trasportino in media oltre 120 milioni di passeggeri all’anno. Lo sci da discesa in Alto Adige genera un indotto dichiarato di circa 1,7 miliardi di euro, e un impatto occupazionale diretto di 1972 persone (tra fissi e stagionali) su una popolazione di 511 mila abitanti.


Nonostante le cifre economiche da capogiro, l’impegno nell’ammodernamento continuo degli impianti e l’attenzione estrema alla promozione dello sci invernale, anche in Alto Adige negli ultimi anni si registrano dei cali nei fatturati. «La stagione invernale 2011-2012 in Alto Adige è stata negativa – scrivevano Andrea Omizzolo e la collega Serena Frittoli su Dislivelli.eu del dicembre 2102 (http://www.dislivelli.eu/blog/alto-adige.html) -. Dolomiti Superski,
nel settore altoatesino, ha registrato un calo nel fatturato stagionale invernale 2011-2012 di circa il 6%». E il trend negli anni successivi,purtroppo, non sembra essersi invertito. Nonostante gli ingenti finanziamenti pubblici riversati nell’importante indotto economico.
Mettere il naso in questi finanziamenti pubblici all’indotto dello sci in Alto Adige, però, è affare complesso. Ce lo conferma Andrea Omizzolo, dell’Eurac di Bolazano, impegnato proprio in questi giorni con i colleghi in ricerche sul tema, che sottolinea la reticenza del settore pubblico e di quello privato a rendere pubblici i dati sull’andamento del settore: «Da qualche anno sono stati riorganizzati gli uffici di competenza dei vari settori: c’è un ufficio che si occupa
degli impianti funiviari, uno di quelli da sci più molti altri comparti economici. Tutti abilitati a erogare finanziamenti pubblici». Il solo ufficio Trasporti funiviari, che per correttezza, bisogna sottolineare,si occupa anche delle funivie adibite a trasporto pubblico, eroga
tra i 4 e i 5 milioni di euro in finanziamenti pubblici all’anno, per lagestione e l’ammodernamento degli impianti esistenti, dato cheuna legge provinciale vieta la realizzazione di nuovi impianti. Di questi 4 o 5 milioni si sa che una parte (circa 1 milione) va a finanziare le piccole stazioni sciistiche, quelle non comprese nei grossi consorzi (già finanziati attraverso altri canali), per sostenere l’economia locale. Ma quanto della cifra totale sia ripartita tra trasporto e sci, ci spiega Andrea Omizzolo, «è impossibile saperlo».
Il settore industria ed economia, poi, con soldi pubblici finanzia l’innevamento artificiale, anche attraverso la costruzione dei bacini per la raccolta acqua. Che servono, è corretto sottolinearlo, oltre che per l’innevamento per l’irrigazione di meleti e altre coltivazioni.
«Ma anche per questo settore – conclude Andrea Omizzolo – è difficile avere dei dati certi».
Maurizio Dematteis

Friuli

Spaziano dalle Dolomiti Friulane fino alle Alpi Giulie, passando dalle Prealpi Carniche: Piancavallo, Forni di Sopra, RavasclettoZoncolan, Tarvisio e Sella Nevea sono i cinque poli sciistici del Friuli Venezia Giulia. La ski-area regionale comprende 131 km di piste per lo sci alpino (dati Ski Info), gestite dall’agenzia regionale Promotur e dai suoi 213 addetti, di cui 73 fissi e 140 stagionali (dato 2012).
Con quali costi? Abbiamo raccolto una serie di dati relativi alle spese per l’innevamento artificiale.

Le stazioni si trovano a quote piuttosto basse: si parte da un minimo di 900 m e si arriva a un massimo di appena 2100 m della Sella Nevea. È anche per questo motivo che il Friuli Venezia Giulia ha elaborato un complesso sistema di innevamento programmato che copre il 100% delle superfici sciabili. Una prassi con conseguenze economiche e ambientali da capogiro: basti pensare che per innevare artificialmente il comprensorio del Piancavallo dove
non ci sono sorgenti naturali in quota, sono stati realizzati due laghi artificiali in cui accumulare l’acqua da pompare in estate prelevandola dal lago artificiale di Barcis, 800 m più in basso.
Sappiamo anche che nella stazione del Ravascletto-Zoncolan, l’innevamento viene avviato già dalla metà di novembre. A riportarlo, la Tesi di Laurea in Economia Aziendale di Maria De Blasis che nell’A.A. 2012/2013, insieme al professor Francesco Marangon dell’Università di Udine, ha condotto un’interessante Valutazione economico-ambientale dell’innevamento artificiale sulle Alpi, partendo proprio dai dati raccolti in FVG. «È in questa fase che vengono maggiormente sfruttati i cannoni sparaneve, perché è necessario formare lo strato più profondo del manto nevoso che va a costituire l’innevamento di base – scrive la De Blasis – nel
solo periodo compreso tra metà novembre a metà dicembre, che anticipa il periodo ufficiale della stagione sciistica; sulle piste dello Zoncolan viene prodotta una quantità di neve equivalente a ben 11.000 metri cubi d’acqua al giorno». Stando sempre al lavoro della
De Blasis, la gestione degli impianti di innevamento del comprensorio Ravascletto-Zoncolan, nella stagione invernale 2012, è costata alle casse regionali circa 250 mila euro.
«Considerato che questi soldi sono serviti ad innevare poco più di 72 ettari – commenta Walter Coletto, Operatore Nazionale Tutela Ambiente Montano del CAI –, si può ipotizzare una spesa di 3472 euro ad ettaro. Estendendo il calcolo ai 300 ettari di piste sciistiche nell’intera regione, scopriamo che l’innevamento artificiale dei nostri comprensori nel 2012 è costato più di 1 milione di euro». Gran parte a carico degli enti pubblici.
Daria Rabbia