No ad altri impianti, si ad altri sentieri.
Riceviamo questa lettera da Filippo Da Re alla nostra casella di posta e con grande piacere pubblichiamo.
Gentile Mountain Wilderness,
mi chiamo Filippo Da Re Giustiniani, ho ventun anni e da sempre trovo nella montagna la mia ragion d’essere. La problematica di cui vorrei parlarti oggi è particolarmente complessa, perché riguarda prima di tutto la salvaguardia di un Bene inestimabile, ma anche la vita ed il benessere delle persone che all’interno di questo Scrigno vivono ogni giorno. Sto parlando delle nostre Dolomiti ed il problema riguarda l’industria dello sci.
Già da un decennio si dibatte sulla possibilità di un collegamento sciistico tra il Comelico e la Val Pusteria, promosso dalla Regione, dalle popolazioni autoctone e da un nutrito gruppo di imprenditori ed esercenti funiviari. A fine 2019 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha posto dei vincoli di ordine ambientale sull’area che si estende tra il Comelico e la Val d’Ansiei (la valle che ospita Auronzo), con il conseguente ricorso da parte della Regione; il tutto alla luce di altri tre progetti, che dovrebbero collegare Cortina ad Alleghe, Arabba e Cinque Torri. Si potrebbe parlare a lungo anche di questo, ed è necessario farlo, ma per ora preferisco concentrarmi sul Comelico. Nel caso tu non conosca a fondo la vicenda, eccoti un sunto di quanto sostenuto da promotori e detrattori.
I sostenitori
Come già detto sopra, si tratta in primo luogo degli abitanti del Comelico, i quali vedono nel collegamento l’unica ed ultima possibilità per non lasciare la loro terra, interessata da decenni (se non secoli!) dal fenomeno dello spopolamento. I vecchi muoiono, i giovani se ne vanno e i figli non nascono. Ti suona familiare?
La ragione è innanzitutto geografica. Da sempre, essere montanari vuol dire essere tagliati fuori, non poter godere delle stesse comodità e servizi di cui ci si avvale a valle, dover tirare avanti. Se poi quei pochi servizi presenti cominciano a mancare, se l’ennesimo alimentari chiude i battenti, se la scuola più vicina si trova oltre la montagna e perfino andare a pagare una tassa o fare una visita medica richiede un pieno di benzina (sempre che si trovi un distributore!), allora non si può che sperare in una manna dal cielo.
E la manna scende in funivia; diamo un’occhiata a chi si trova in cabina.
Presto fatto: ecco imprenditori come Franz Senfter, presidente della 3Zinnen Dolomites, la società che gestisce gli impianti di San Candido, Monte Elmo, Padola e Croda Rossa. Senfter può essere considerato il promotore principale del progetto, e trova l’appoggio unanime dei rappresentanti della Regione Veneto. Se questi ultimi si appellano alla necessità di un motore di crescita per il Comelico, le ragioni di Senfter & Co. sono più che scontate.
I detrattori (io, e forse tu)
Sono in primo luogo le associazioni ambientaliste, prime tra tutte Mountain Wilderness e Legambiente, che vedono nel collegamento uno scempio opportunistico e poco lungimirante (caratteri comuni di tutti gli scempi).
Come già accennato sopra, l’opera si pone l’obiettivo di completare il giro delle Cime dell’Orto (quelle appartenenti al settore più occidentale delle Alpi Carniche), collegando Padola e il Comelico ai preesistenti impianti di Croda Rossa, a loro volta congiunti alle stazioni di Monte Elmo; da qui, la traversata andrebbe completata giungendo agli impianti di Sillian, nell’Hochgruben (Tirolo dell’Est). Nel 2018 Senfter parlò di un costo complessivo di 38,5 milioni di euro per la realizzazione del progetto, 27 dei quali provenienti dal Fondo dei Comuni Confinanti; circa il 70%, quindi, sarebbe costituito da soldi pubblici. I restanti verrebbero sborsati dalla 3Zinnen.
Secondo Mountain Wilderness, invece, i milioni necessari sarebbero 44, il 60% dei quali messi a disposizione dal Fondo.
Milioni che potrebbero essere impiegati per la realizzazione di progetti virtuosi volti alla promozione di una terra dal potenziale immenso, senza che la natura di quei luoghi venga svilita. E con natura non intendo riferirmi solamente ad abeti, torrenti e fauna, da sempre il capitale delle Terre Alte, ma anche all’eredità culturale che gli uomini e le donne di montagna ci hanno lasciato. Le maschere tradizionali, le ricchezze archeologiche (v. strada romana ed accampamento di Passo Monte Croce), le musiche, i racconti e i mestieri che costituiscono il patrimonio immateriale di quei luoghi. Che dire poi della miriade di attività sportive non impattanti che solo in montagna possono essere svolte, e alle quali le nostre montagne già si prestano perfettamente, sia in estate che in inverno? Quante sono le alternative che aspettano solo di essere colte, e che continuano a maturare invano sotto una coltre di bugie?
C’è da lavorarci, c’è da progettare, c’è da prendere coscienza di una verità: altri impianti sciistici non farebbero che, passami la metafora, mettere soldi nelle tasche di un cadavere; basti guardare Cortina, che nonostante le piste, gli apericena e le vasche in centro, da più di 15 anni deve fare i conti con un saldo nati-morti negativo. Ma i Mondiali del 2021 e le Olimpiadi del 2026 cambieranno le cose, giusto? Dubito fortemente. La Storia ci insegna che l’evento arriva, ubriaca e se ne va, lasciando tutti con i postumi. Mi auguro non accada, almeno il sacrificio della Tofana all’altare dello sci non si rivelerebbe vano, ma il mio scetticismo ha basi ben fondate.
Non si sta parlando di abolire lo sci da discesa dal panorama alpino, sia chiaro, si sta parlando di aprire nuove vie.
Non è impossibile.
Uno degli esempi più riusciti di valorizzazione del territorio montano in Italia riguarda ArteSella, un’associazione culturale che nel giardino di Villa Strobele, in Val di Sella (Trentino-Alto Adige), è riuscita a creare, a partire dal 1986, una strabiliante simbiosi tra creatività umana e paesaggio naturale, con un’esposizione permanente di arte contemporanea e svariati eventi organizzati nel corso dell’anno. Ti consiglio di andare a cercare delle immagini.
Giusto per capirci, ArteSella conta circa 100.000 visitatori l’anno, con un indotto sul territorio che si aggira attorno ai 5 milioni di euro. La valle è rinata, e tutto grazie alla presenza di una singola realtà, che può però contare su una solida rete che comprende istituzioni locali, popolazione e artisti. Non credo che il gruppo di amici che ha posto le basi per tutto questo si aspettasse risultati simili nel 1986.
Altri esempi sono le centinaia di gruppi, società ed associazioni che, dalle Alpi agli Appennini, già promuovono attività in cui la montagna è nutrimento per gli occhi, il corpo e la mente, prevenendo la declassificazione dell’ambiente naturale a semplice mangime per ruspe. Esistono cooperative agricole, come la società “Auronzo Val d’Ansiei”, che sottraggono secoli di conoscenze al macero, e cooperative di comunità, come “Alberi di mango”, attiva proprio in Comelico.
Ovviamente sono necessari provvedimenti di ordine politico, che solo tramite la mobilitazione di più parti possono essere realizzati.
Se oggi sono qui a scriverti, quindi, è per provare a dare il via a questa mobilitazione, in parte già esistente altrove, adottando come paradigma non tanto il “No ad altri impianti”, ma piuttosto il “Sì ad altri Sentieri”.
Non uso di proposito il termine “alternative”, che troppo spesso acquista il sapore macilento del compromesso.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, se condividi quanto letto, se ci trovi dei punti deboli, e nel caso queste poche parole dovessero averti convinto, motivato o anche soltanto incuriosito, spero di poterne discutere con te nel prossimo futuro, e magari trovare un seguito ai nostri propositi.
Vi ringrazio per il vostro tempo.
A presto,
Filippo Da re