Crisi climatica e sci da discesa senza prospettive: è tempo di una moratoria
Di Luca Martinelli. Copyright: Altraeconomia
Già nel 2007 l’Ocse evidenziava i problemi del turismo invernale a causa della riduzione della copertura nevosa e alla maggiore esposizione ai rischi naturali. Un tema ignorato da impiantisti e amministratori, anche dell’Appennino, che oggi puntano ancora su consumi elettrici superflui per impianti e cannoni sparaneve.
“È soprattutto per la presenza di neve e ghiaccio che le montagne sono considerate ‘water towers’ capaci di fornire acqua ai territori a valle e alle pianure compensando la riduzione delle precipitazioni estive tipiche dei climi italiani […]. La riduzione della neve e la scomparsa dei ghiacciai comprometteranno questo fondamentale ruolo tampone andando ad incrementare le crisi idriche estive”. L’Appennino senza neve è un problema immenso, ma il problema -come si può capire leggendo il virgolettato sopra estratto dal Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, pubblicato a fine dicembre sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica- non riguarda gli operatori economici, per cui le Regioni Abruzzo, Emilia-Romagna e Toscana hanno chiesto ristori economici immediati al governo, ottenendo un incontro con la ministra del Turismo Daniela Santanché, in programma mercoledì 11 gennaio, alle 10.
È alla prossima estate e all’equilibrio dell’ecosistema che dovrebbero guardare coloro che amministrano. Avendo chiaro che quella che oggi definiscono “anomalia climatica” è in realtà qualcosa di assolutamente preventivabile, probabilmente uno degli effetti più indesiderati dei cambiamenti climatici per territori che per decenni hanno puntato sullo sci da discesa come modello turistico. Già nel 2007, infatti, l’Ocse richiamava l’attenzione sui rischi del futuro prossimo, in un paper intitolato “Climate Change in the European Alps: Adapting Winter Tourism and Natural Hazards Management“. Il report affronta i problemi legati alla crisi economica del turismo invernale a causa della riduzione della copertura nevosa e alla maggiore esposizione degli insediamenti e delle infrastrutture ai rischi naturali. L’abstract inizia così: “Il cambiamento climatico rappresenta una seria sfida per lo sviluppo sociale ed economico di tutti i Paesi”. Una sfida che non hanno compreso né il governo italiano né chi amministra territori alpini e appenninici, che sono ancora più esposti, date le altezze sul livello del mare meno elevate delle località sciistiche, altrimenti quasi 16 anni dopo gli operatori non si ritroverebbero ancora a chiedere “provvedimenti per posticipare i mutui” e “aiuti per la sostituzione dei vecchi impianti di innevamento con quelli di ultima generazione che permettono di mantenere la neve artificiale anche a temperature più elevate”.
Un operatore dell’Appennino Centrale, Francesco Cangiotti, amministratore della Società funivie Bolognolaski che gestisce gli impianti di Bolognola e di Frontignano di Ussita (Macerata), nell’area del Parco nazionale dei Sibillini ha riassunto all’Ansa la situazione: “Le temperature restano per tutto l’arco della giornata sopra lo zero termico e questo non consente di attivare l’innevamento programmato, nonostante quest’anno abbiamo acquistato un nuovo cannone sparaneve”. Quest’ultimo aspetto è senz’altro il più rilevante, nella fase attuale: per produrre neve artificiale occorre energia elettrica e la richiesta di impianti di innevamento di nuova generazione dimostra -anche da parte delle Regioni- la totale inconsapevolezza degli sforzi necessari per ridurre le emissioni di gas climalteranti, a cominciare da quelli legati alla produzione di energia elettrica. Non è “in atto una vera e propria guerra alla montagna”, come ha detto nei giorni scorsi il sindaco di Lizzano in Belvedere, nel bolognese, attaccando i comitati contrari a un nuovo inutile impianto di risalita in Appennino tra Corno alle Scale e Lago Scaffaiolo, ma è il momento in cui bisogna prendere decisione radicali e rinunciare a quei consumi elettrici superflui.
È il momento di una moratoria che impedisca di aumentare il fabbisogno elettrico di imprese che vogliono essere considerate energivore (“La nostra categoria richiede a gran forza di entrare a far parte di questa selezione di imprese in forza della sua necessaria attività di consumo di energia elettrica per la produzione di neve oltre che per l’attività di funzionamento degli impianti. Certamente il nostro consumo è solamente relativo al periodo invernale ma in questo periodo siamo ‘energivori’ a tutti gli effetti”, Federfuni, gennaio 2022).
La moratoria dovrebbe riguardare la realizzazione di nuovi impianti di risalita, a servizio di nuove piste, che potranno essere fruite solo tramite neve artificiale, perché questo porterebbe necessariamente con sé un aumento dei consumi di energia: l’adattamento ai cambiamenti climatici del turismo invernale legato allo sci da discesa comporta un aumento della domanda di elettricità, che potrebbe comportare un aumento delle emissioni (in Italia è successo, nel secondo e terzo trimestre 2022, secondo Enea, colpa dell’aumento nell’uso del carbone e di una riduzione della produzione idroelettrica, a causa della scarsità idrica dell’estate appena trascorsa), con effetti negativi sul riscaldamento globale. È un circolo vizioso, dal quale non si esce se non riducendo le emissioni (per approfondire si rimanda al paper Cmcc uscito sulla rivista Nature Communications, “L’aumento dell’uso di energia per l’adattamento ha un impatto significativo sui percorsi di mitigazione”).
È surreale, infine, che questo dibattito avvenga nel primo inverno in cui i cittadini italiani sono stati invitati proprio dal governo a limitare i consumi di gas (e quindi anche di energia elettrica, che nelle centrali termoelettriche è prodotta a partire dal metano). Forse, con le temperature ancora stabilmente intorno ai 10 gradi a gennaio in buona parte del Paese, ce ne siamo dimenticati.
Luca Martinelli