Il ghiacciaio ferito

Di Marco Albino Ferrari. Copyright: La Stampa.

L’indignazione generale è partita da una serie di scatti del giovane fotografo svizzero Sébastien Anex. Al centro delle inquadrature appare un’enorme escavatore giallo da cantiere, tutt’intorno il ghiacciaio grigiastro piagato dall’estate e, in primo piano, il risultato del lavoro appena compiuto: una distesa di grumi di ghiaccio, prima addentati, poi strappati dalla massa compatta e poi via via triturati accumulando una gelida scia inerte, come un’immensa granita.
Si sa, niente ha la forza dell’immagine che coglie la concretezza del fatto. E ancora di più se quell’immagine riesce a fissare la flagranza di un reato. Reato contro il buon senso e contro la montagna e, forse, anche contro la legge, se tale lo giudicheranno le procedure di verifica appena avviate dalle autorità elvetiche.

La nuova pista “Gran Becca” appare un’opera surreale, non tanto per i primati che insegue, per esempio la quota (si parte dai 3.800 metri della Gobba di Rollin) o gli investimenti pubblicitari (100 miloni di franchi, riferisce il quotidiano elvetico 24 Heures), quanto per lo scempio ambientale che porterà al Teodulo.
Siamo su un ghiacciaio in sofferenza. Il Teodulo è malato. E le ruspe scavano. Trasformano un ambiente d’alta quota in una pista omologata per la libera, con curve, toboga, cambi di pendenza, salti, zone tecniche e rettilinei. Scavano e consumano materia preziosa come se in questi anni innumerevoli articoli, documentari, conferenze, allarmi dell’Onu non avessero mai denunciato la crisi ambientale, mai parlato dell’agonia dei ghiacciai alpini. Tutti sanno che i ghiacciai stanno collassando. Eppure si va avanti, come si organizzasse una battuta di caccia sparando – in favore di telecamere e accanto a striscioni pubblicitari – a una specie in via di estinzione.

Poi c’è la logistica che dovrà basarsi su innumerevoli voli in elicottero per spostare atleti e personale, e con loro tonnellate di materiali per le dirette TV e le attrezzature per i tifosi.
Ora, però, gruppi di persone attente all’ambiente hanno chiesto alle autorità di verificare che i lavori non si siano spinti oltre il perimetro concordato e non abbiano interessato zone sotto tutela ambientale. Avremo presto il responso. In ogni caso rimane da considerare l’idea, lo spirito, persino l’estetica che muove questo tipo di iniziative. La “Gran Becca”, così verrà chiamata la nuova pista per la discesa libera, è in realtà più di una pista, è il terreno di gioco di una grande macchina dello spettacolo chiamata “Matterhorn Cervino Speed Opening”. La pista si svolge tra Svizzera e Italia. Ma, e qui arriviamo al nocciolo, si ha accesso dalla nuova funivia Matterhorn Glacier Ride II (inaugurata lo scorso luglio), una porzione del collegamento Zermatt -Cervinia. Il grande evento è stato pensato anche per pubblicizzare questa nuova infrastruttura extra lusso, con cabine firmate Pininfarina e abbagliate da cristalli Swarovski.

Si dirà, ma queste iniziative fanno girare l’economia! La montagna ha bisogno di vivere! Ma qual è il mercato di riferimento? Non certo quello italiano. Il costo per la traversata Zermatt-Cervinia è di 240 Euro. Quanti se lo possono permettere? Sono soprattutto turisti dall’Estremo Oriente, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Thailandia. Turisti danarosi che ammirano di passaggio il Cervino, la Gran Becca vista in Tv, per poi ripartire subito verso altre icone del turismo globalizzato.
Quello dello sci è stato definito dal centro studi Tam del Club Alpino Italiano come un mercato “maturo”. Da vent’anni ormai non ci si scosta da quei 150 milioni di presenze stagionali. Gli italiani arretrano, mentre avanzano gli stranieri. Chiudono le piccole stazioni, vinte dalla concorrenza dei grandi comprensori e dalla crisi della neve: in Piemonte nel 2016 se ne contavano 46, ora sono diventate 30. Mentre vanno a gonfie vele certi immensi parchi dello sci come quello di Madonna di Campiglio. E i grandi chiedono di allargare il proprio dominio sciabile, per accaparrarsi fette di mercato nella perenne rincorsa di un primato da pubblicizzare, con skipass sempre più cari. Lo sci è ormai un grande luna park che andrebbe ripensato alla radice. Per esempio, visto che i fruitori sono stazionari, fermando nuovi impianti. Non dobbiamo aspettare una nuova immagine-icona per indignarci. Sappiamo già com’è. Sappiamo soprattutto come sarà. E l’errore più grande in questi anni di transizione è non essere lungimiranti.