Stiamo perdendo il Monte Bianco

Il 16 settembre La Repubblica pubblicava un articolo di Paolo Cognetti dal titolo “stiamo perdendo il Monte Bianco”. Carlo Alberto Pinelli ha scritto una lettera a Corrado Augias per dare all’intera vicenda una prospettiva di più ampio respiro.

Carlo Alberto Pinelli

“Stiamo perdendo il Monte Bianco” così titolava giovedì 26 settembre, in prima pagina La Repubblica, presentando un bell’articolo di Paolo Cognetti, a commento dell’ inarrestabile, rapidissimo e potenzialmente catastrofico arretramento dei candidi ghiacciai da cui la più alta vetta d’Europa trae il suo nome. Quel titolo non mi è piaciuto. Non perché non rispettasse – purtroppo – la realtà oggettiva degli sconvolgimenti morfologici causati in alta montagna dal riscaldamento globale del Pianeta, ma perché circoscriveva l’attenzione dei lettori soltanto su una metà del problema.
La metà esteriore. In realtà il Monte Bianco autentico, inteso come il simbolo più alto dell’incontro senza diaframmi tra gli esseri umani e il respiro della wilderness, abbiamo cominciato a perderlo ormai da quasi ottant’anni. L’aggressione ludico-consumistica alle alte quote, sostenuta da sfacciati interessi speculativi, ha provocato anche lassù una crescente emorragia di senso e ha ridotto la percezione della montagna a un banale fondale pittoresco, di fronte al quale è diventato lecito portare a termine qualunque iniziativa mercantilistica, anche la più irrispettosa.

Skyway, Monte Bianco

Si badi bene: le montagne di per se stesse non possono essere considerate sacre e venerate come tali: sono dei semplici corrugamenti geografici, con o senza quei ghiacciai che ne drammatizzano i profili. Però una società davvero civile dovrebbe essere capace di rispettare come non profanabili i vitali investimenti affettivi in cui una minoranza di cittadini ha radicato una porzione importante del significato della propria esistenza, grazie alla frequentazione appassionata e a volte totalizzante di quegli stessi e incontaminati “accidenti geografici”. I media dovrebbero aiutare il pubblico a comprendere l’importanza del valore di quell’incontro, non come morbosa vetrina di exploit superomistici che tendono a suggerire valutazioni depistanti, ma come superstite e preziosa esperienza della solitudine, del silenzio, della responsabilizzazione individuale, della fatica, del rischio consapevolmente affrontato.

La Skyway e l’enorme impatto sul paesaggio del bacino del Monte Bianco

Funivie avveniristiche che conducono il turista impreparato su vette degradate a mastodontici belvederi, progettati solo per solleticare volatili curiosità, cabinovie che sorvolano ghiacciai, elicotteri che permettono agli sciatori di tracciare senza fatica le proprie piste su neve vergine, rifugi d’alta quota trasformati in alberghi, affollati concerti di quota, mega raduni di suv o quad, indecenti reality televisivi, non contribuiscono certo a fertilizzare il mondo delle pianure urbanizzate con la proposta alternativa della montagna vera; al contrario contaminano gravemente quella proposta con le peggiori scorie della società urbana. In questa prospettiva la contrazione dei ghiacciai, per quanto dolorosa, appare addirittura, paradossalmente, come un male minore.

Carlo Alberto Pinelli