Turismo invernale, impianti di risalita e marketing delle emozioni
Le grandi stazioni di sci con le loro ragnatele di impianti e connesse autostrade della neve, sono parchi gioco che hanno richiesto folli investimenti e che, per la loro discutibile attrattiva, per gli alti prezzi dei servizi resi, per il ridotto numero di giorni all’anno in cui vengono utilizzati, non possono garantire una redditività, e neppure un valore aggiunto, soddisfacenti. Di Giorgio Daidola.
Giorgio Daidola, torinese, classe 1943, è docente Analisi economico finanziaria per le imprese turistiche presso l’Università di Trento, pubblicista iscritto all’Ordine dei giornalisti e maestro di sci.
Turismo: la qualità emozionale non ha bisogno di forzature e di mistificazioni (da Corriere del Trentino, 29 dicembre 2015)
Di fronte agli evidenti misfatti di un sistema sempre più insostenibile, ecco che gli esperti di turismo si affannano nel cercare di recuperare la qualità emozionale. Questi si inventano iniziative artificiali a effetto atte ad aiutare la sopravvivenza del sistema.
La parola emozioni è sempre più utilizzata quando si parla di turismo, per indicarne le motivazioni più profonde. In tal senso si può parlare di qualità «emozionale», in contrapposto alla qualità «aziendale», ossia a quella dei servizi turistici tesi alla soddisfazione del cliente. È a quest’ultima che di norma fanno riferimento gli operatori, i politici, gli esperti e anche le normative, comprese quelle comunitarie per la certificazione della qualità. Anche le ricerche sulla qualità «percepita» dai turisti riguardano, salvo eccezioni, la qualità aziendale. Una qualità che risulta «costruita» dal sistema turistico, in contrapposto alla qualità emozionale che è data dalla autenticità e dalla qualificazione del rapporto con l’ambiente, con la storia e con le culture locali.
Nessuno mette in dubbio l’importanza della qualità emozionale, fondamentale per dare un senso profondo al turismo e al viaggiare. Anche se pochi sembrano rendersi conto che i due modi di intendere la qualità sono sempre più conflittuali, nel senso che la qualità aziendale fa venir meno quella emozionale. E piuttosto evidente che lo sviluppo abnorme della prima ha affossato in gran parte la seconda, rendendo quanto mai significativa l’affermazione che «il turismo mangia se stesso». Si è infatti dimenticato il principio fondamentale secondo il quale è il turismo, nelle sue diverse forme (quella sportiva in particolare) a doversi adattare all’ambiente e non viceversa. Le grandi stazioni di sci con le loro ragnatele di impianti e connesse autostrade della neve, le coste cementificate tipiche di un certo turismo balneare vuoto di contenuti, ne sono degli esempi. Si tratta di parchi giochi che hanno richiesto folli investimenti e che, per la loro discutibile attrattiva, per gli alti prezzi dei servizi resi, per il ridotto numero di giorni all’anno in cui vengono utilizzati, non possono garantire una redditività, e neppure un valore aggiunto, soddisfacenti.
Ci si può chiedere allora perché sono stati realizzati, perché sono stati commessi tanti errori e soprattutto perché si persevera nel commetterne. A prescindere dalle motivazioni speculative (si pensi alla baldoria immobiliare e a quella delle infrastrutture connesse, ben visibile nelle grandi stazioni turistiche) e dalle diverse situazioni del passato, la risposta è semplice: il finanziamento facile. Non solo i contributi pubblici (che in Trentino hanno interessato e interessano soprattutto gli impianti di risalita) ma anche i finanziamenti delle piccole banche locali che hanno privilegiato operazioni obiettivamente deboli. Purtroppo eliminare con una bacchetta magica le conseguenze di tanti errori, fermare le mega giostre, è ora impossibile: i costi sarebbero elevatissimi, i risultati difficilmente soddisfacenti e i molti responsabili dovrebbero essere allontanati dalle stanze del potere: politico, economico e finanziario. Un’intera classe dirigente dovrebbe insomma rendere conto del disastro di un sistema che si regge unicamente grazie a pericolose stampelle.
Ciò non sarebbe successo se fossero state fatte a suo tempo corrette analisi economico finanziarie, ben diverse da quelle pilotate dalla politica o suggerite da economisti che hanno troppa fiducia negli algoritmi matematici, poi applicati dalle banche attraverso sterili modelli computerizzati. Se a questo si aggiungono logiche clientelari, in particolare favoritismi a imprenditori e a politici improvvisati, ben si capisce come tali comportamenti abbiano potuto dare vita a un’economia turistica nel complesso malata. Non mi riferisco solo agli impianti di risalita di cui sono ben note le fisiologiche perdite, ma anche al settore alberghiero: si vedano in proposito, con riferimento al Trentino, le analisi di bilancio della «Scouting» e dello studio «Giuseppe Toccoli». Cash flows insufficienti o negativi sono la causa prima delle masse abnormi di crediti in sofferenza delle banche.
Di fronte agli evidenti misfatti di un sistema sempre più insostenibile, ecco che gli esperti di turismo, chiamati al capezzale del moribondo, si affannano nel cercare di recuperare la qualità emozionale. Essendo quella vera irrimediabilmente compromessa, essi si inventano surrogati della stessa, attraverso iniziative artificiali a effetto, atte ad aiutare la sopravvivenza del sistema. Come ad esempio i mega concerti di musica pop in quota, coinvolgendo artisti di fama internazionale. Si tratta di iniziative pregevoli ma che nulla hanno di autentico con riferimento all’ambiente montano, alla cultura e alla storia dei luoghi. Analogamente si può dire per la realizzazione di snowpark sempre più impattanti e adrenalinici, per le cene in ristoranti tipici in quota con ritorno a valle utilizzando mezzi meccanici. Anche la ripetitiva, martellante proiezione nei luoghi di incontro di video clip in cui si vedono nuvole bellissime che corrono a velocità impossibili nel cielo, sciatori che saltano pericolose falesie di roccia o che sciano in un esplosione di neve polverosa non sono che tentativi per far sognare ciò che non esiste o che viene categoricamente proibito in nome della sicurezza. Ormai dal cappello dei prestigiatori è difficile far uscire delle nuove idee. Allora ecco nascere le forzature, le mistificazioni, i facili trionfalismi, le evidenti superficialità tendenti a sviluppare un marketing delle emozioni provocate davvero sconcertante e preoccupante. Talvolta addirittura con l’avallo di qualificati ambientalisti e di bravi giornalisti, per confondere sempre di più le idee. Si cerca disperatamente di far vivere la qualità emozionale alla luce artificiale dei musei, vengono lanciate costose riviste patinate di lusso da aeroporto in cui si tenta di mettere insieme qualità aziendale e qualità emozionale, secondo le regole di una nuova retorica inconsistente tipica di un sistema senza futuro, che mescola inni (remunerati) alla vera sostenibilità a vuote e costose operazioni puramente commerciali. E dire che la qualità emozionale non costa nulla: basta avere la sensibilità necessaria per capirla e rispettarla, per insegnare a chi non la conosce come andare a cercarla. L’impressione (positiva) è che molti turisti abbiano già imparato a farlo da soli.
Giorgio Daidola