Tutte le strade portano in (alta) montagna. Prima parte
Toni Farina, con un lungo articolo che vi proponiamo in tre parti, percorre le “strade che salgono in alto” raccontandole attraverso la testimonianza di persone incontrate lungo il cammino.
Strade che salgono in alto. Oltre i paesi, verso le arene del silenzio. Le infrangono.
La questione è da tempo oggetto di contesa. E così accadrà anche quest’anno, 2018 con l’arrivo della calura estiva. Contesa fra portatori d’interesse diversi, talora opposti, sostenitori di posizioni che è arduo conciliare. Da un lato i fautori del turismo dolce per i quali queste strade devono essere in via prioritaria lasciate a camminatori e ciclisti. Una posizione che, è importante sottolinearlo, è fatta propria anche da titolari di esercizi commerciali, gestori di rifugi e posti tappa per i quali l’escursionista è il cliente principale. Un cliente esigente, che mal tollera la convivenza con i motori. Soprattutto se il cliente in questione proviene da oltralpe.
Dall’altro i fautori della massima “la montagna è di tutti”. “Non bisogna escludere nessuno”. Soprattutto non bisogna escludere quell’importante fetta di mercato composta da motociclisti e fuoristradisti, molti dei quali, provenienti anche da oltralpe, trovano sulle montagne del Bel Paese un terreno di gioco molto libero, impensabile nelle loro contrade. Una posizione condivisa da gran parte degli amministratori pubblici, restii a imporre limitazioni.
La questione è da tempo oggetto di contesa, ma nell’estate 2017 è diventata più stringente. Complice il gran caldo, la montagna è diventata luogo di salvezza. E così sarà anche quest’anno e nel tempo a venire. Ma la montagna è per sua intima natura anche luogo del limite: etico (per ci crede) e fisico. E così dalle Dolomiti alla Conca del Prà in Val Pellice, dall’Ossola alle Alpi Liguri è tutto un fiorire di soluzioni intermedie, “provvisorie”, “sperimentali”, spesso figlie dell’italica incapacità di decidere.
Numero chiuso, orario o periodo stagionale limitato, pedaggio, navetta. Lo scopo è di accontentare tutti. Col rischio di non accontentare nessuno.
Tuttavia emergono qua e là timidi segnali. Nulla di strutturato, però si inizia a capire che un accesso più dolce ai luoghi turistici di alta montagna non solo è possibile, ma può essere anche vantaggioso. Può creare qualità. E così si aderisce a campagne di mobilità sostenibile, nella speranza (convinzione sarebbe eccessivo) che di dare un impulso a quel turismo tanto vagheggiato, quanto ancora semi-clandestino.
L’elenco di località piemontesi che seguono costituiscono una sorta di “report” in parte aggiornato al 2017, in parte aggiornato all’estate in corso, 2018.
L’impulso a questa ricerca è comunque giunto l’anno scorso, il torrido 2017, foriero di polemiche in molte località.
Ho cercato per quanto possibile di dare voce a portatori di interesse di varia estrazione e mi scuso per eventuali inesattezze e omissioni. Sarà interessante seguire l’evoluzione negli anni a venire.
A piedi fra le nuvole
Nuvole che, spesso, si addensano sul Colle del Nivolé. Questa rassegna non poteva che esordire dal colle a 2600 metri fra Piemonte e Val d’Aosta, nel Parco nazionale Gran Paradiso.
La strada del Nivolé fu costruita negli anni ’60 del secolo scorso, quando il futuro viaggiava su quattro ruote azionate da un motore a scoppio. Non c’era futuro possibile senz’auto, anche nel cuore di un parco nazionale. E fu così che lo straordinario altipiano al cospetto delle cime del Gran Paradiso ebbe la sua dose di ossido di carbonio. Coinvolto nelle sorti magnifiche e progressive del progresso tecnologico.
La strada doveva collegare la Valle dell’Orco e la Valsavaranche, sui versanti piemontese e valdostano del parco, ma grazie alla mancanza di risorse e a un improvviso ravvedimento, le magnifiche sorti non progredirono oltre i salti di roccia che incombono su Pont Valsavaranche. E oggi la montagna si sta via via riprendendo il maltolto. Ma oggi, ancora oggi, i motori a scoppio valicano il colle per calare sul piano. Dopo anni di polemiche e discussioni il compromesso al ribasso ha imposto uno stop festivo di 6 ore nei mesi di luglio ed agosto. “A piedi fra le nuvole” è il titolo dell’operazione che l’ente di gestione del parco in collaborazione con altri enti mette in piedi da un po’ di anni in qua per far digerire alle amministrazioni locali il parzialissimo blocco. Un nutrito programma di eventi per giustificare l’ovvio. Ma la prima domenica di settembre la fila di auto e moto torna a calare sul piano, a riempire gli esigui spazi a lato strada sulla riva del lago.
Con buona pace degli escursionisti d’oltralpe, abituati a ben altro rispetto.
Il progetto di un collegamento stradale tra Valle Orco e Valsavarenche attraverso i 2600 del Colle del Nivolet fu specchio di un periodo storico molto diverso dall’attuale. Era, per l’Italia, il periodo del boom economico e della motorizzazione, ossia di un’idea di “sviluppo” dove non si contemplava – se non per una esigua élite di persone – il concetto di sostenibilità ambientale.
Gli stessi parchi nazionali, pur già istituiti da tempo, si trovavano ancora in condizioni piuttosto precarie, se non di vera emergenza, come nel caso del Parco nazionale Gran Paradiso, uscito malconcio dal secondo conflitto mondiale.
Per il nostro parco, occorreva arrestare il declino del patrimonio naturale e, in primis, della sua specie simbolo, lo stambecco (opera di cui fu artefice Renzo Videsott), e, al contempo, avviare una strategia di promozione che aiutasse le economie locali. La strada del Nivolet faceva parte di questa strategia, ne costituiva uno degli assi portanti.
A pensarci bene, quella strada può rispondere anche oggi a una funzione simile, partendo però da presupposti e modelli di fruizione totalmente diversi.
L’iniziativa “A piedi fra le nuvole” ne rappresenta un primo esempio. L’ampio consenso che ha ottenuto conforta i promotori, ma deve, al tempo stesso, spingere verso la ricerca di soluzioni più innovative e definitive, che azzerino, o quasi, l’impatto ambientale della fruizione turistica, pur permettendo a quanti vogliano accedere a quel luogo straordinario, di poterlo fare.
La questione “Nivolet” costituisce per il Parco Nazionale Gran Paradiso uno snodo chiave nella sfida tra tutela e fruizione. Il modo con cui l’Ente Parco riuscirà, di qui ai prossimi anni, a risolvere la questione, coinvolgendo tutti i “portatori di interesse”, rappresenterà una prova di maturità.
La sostenibilità ambientale non deve essere solo filosofia, ma pratica concreta. A partire dalle aree protette. La “questione Nivolet” deve dimostrarlo.
Antonio Mingozzi, Direttore del Parco nazionale Gran Paradiso
Il posto più bello del mondo
Così definisce l’Alpe Devero Alberto Paleari, guida alpina dell’Ossola. Se lo dice lui c’è da crederci. Ma Devero sarebbe ancora più bello senza quella rotabile che da Goglio s’infila nel granito delle Lepontine per giungere a lambire la piana.
Alta Ossola, estremo nord del Piemonte. Una zona che, per ragioni di distanza, i piemontesi non bazzicano molto, e che neppure gli ossolani considerano molto piemontese. In effetti molto più assidui sono i cittadini lombardi, in gran parte automuniti, tant’è che lassù, nei giorni di festa, estivi o invernali, è dura sistemare la fila di auto che s’inerpicano da Goglio, non c’è costo di parcheggio che tenga. La navetta organizzata dall’ente gestore del Parco naturale Alpe Veglia e Alpe Devero fa il suo egregio lavoro, ma non basta a soddisfare l’ansia d’Alpe. E dire che da Goglio saliva lassù una funivia. E dire che il confine con la Svizzera felix è lì, bastava prendere esempio da chi con il turismo fa affari da tempo, costava poco imparare pratiche virtuose.
Fu così che la funivia, anziché essere adeguata al pubblico trasporto, fu smantellata. E c’è stato pure chi ha sostenuto la “necessità” di portare auto e moto in quel di Crampiolo, con tanto di bel parcheggio con vista sull’Arbola.
E oggi si progetta di “avvicinare le montagne” con le funivie.
Follie ossolane.
La prima volta che ho sentito parlare della strada del Devero ero ancora una bambina. Me lo ricordo bene perché sentivo spesso mio padre discuterne con amici e conoscenti: lui era favorevole e elencava i vantaggi di una strada rispetto alla costruzione di una funivia.
Durante la mia infanzia, salivo a Devero a piedi, percorrendo la mulattiera o con la mitica funivia dell’Enel che partiva da Goglio. La piccola cabina rossa, portava, se non ricordo male, 16 persone in tutto e ci impiegava almeno mezz’ora per salire e riscendere. Era ogni volta un’avventura. Forse per questo motivo già allora ero contraria alla strada e favorevole alla funivia, in netta contrapposizione alle scelte paterne.
Ho visto da vicino la costruzione della strada e ho cominciato a lavorare a Devero quando ormai la strada era terminata. Non posso negare di averla trovata comoda, cosa che mio padre mi ha più volte rinfacciato, e di averla anche maledetta quando le condizioni della neve non permettevano di tenerla aperta per il pericolo di valanghe. Ora, dopo quasi 30 anni di lavoro come imprenditrice turistica al Devero, continuo a pensare che la scelta migliore per tutti sarebbe stata una strada di servizio e una bella funivia che ci avrebbe garantito l’accesso in qualsiasi momento.
Siamo ancora qui dopo tutti questi anni a chiederci come sarebbe stata la nostra vita qui al Devero se le scelte fossero state differenti. Ma ogni scelta, nel bene e nel male, chiude possibilità che restano nel mondo dell’ipotetico.
Rosy Saletta, titolare di Casa Fontana all’Alpe Devero.
“Un itinerario in bicicletta tra i più belli d’Europa”
Ancora una citazione per descrivere il Tracciolino. L’autore è Fabrizio Bottelli, responsabile del Giardino botanico d’Oropa, che certo la zona la conosce bene. E anche in questo caso c’è da credergli. In particolare se si azzecca la giornata con meteo favorevole, questa “traccia” a mezzacosta sulla montagna biellese, tra Andrate e Oropa, riserva impressioni davvero notevoli. Che ancor più notevoli sarebbero ponendo limiti (ora non previsti) al transito dei mezzi a motore.
Il maggior rispetto sarebbe tra l’altro coerente con gli importanti aspetti devozionali che caratterizzano la zona. Oropa, la Trappa, il Santuario di Graglia, il sentiero Frassati, la Chiesa di San Carlo.
Il Tracciolino è parte della “strada panoramica” ideata negli anni ’30 del secolo scorso dall’imprenditore tessile Ermenegildo Zegna nell’ambito di un vasto progetto di valorizzazione turistica avviato nella montagna sopra Trivero, sede del proprio lanificio. Il tratto in questione, completato in più riprese dagli anni ’50 del secolo scorso fino ai giorni nostri, attraversa sui 1000 metri di quota il territorio della Valle Elvo fra la zona degli alpeggi estivi e le emergenze della Trappa di Sordevolo, della borgata di Bagneri e del Santuario di Graglia.
“Ma come conciliare le ragioni di chi considera il Tracciolino un’opera da terminare, un “tracciamento” da potenziare con ulteriori percorsi paralleli e trasversali, e di chi la considera invece un errore, una ferita da rimarginare?
Ci può essere una terza strada? Un sentiero possibile che tenga insieme la gestione di un territorio montano con la salvaguardia dell’ambiente naturale. Può il Tracciolino diventare un percorso privilegiato di conoscenza? Una nuova cerniera tra due mondi complementari, come lo erano in passato i paesi e la montagna? Può diventare, questa traccia, il laboratorio di un nuovo turismo sostenibile e responsabile?”
Giovanni Pidello, Ecomuseo del Biellese
Valli di Lanzo, giardino dei Torinesi…
… che nelle domeniche estive giungono lassù a frotte, in cerca di refrigerio. Merenda-auto nei pressi è il vangelo. Nella Valle di Ala, la valle intermedia delle tre, il Comune di Balme ha iniziato un percorso virtuoso e chissà che prima o poi decida di porre un limite all’accesso estivo dei mezzi a motori allo splendido Pian della Mussa. Fa piangere il cuore il parcheggio selvaggio in quel luogo denso di storia alpinistica. Mette invece tristezza il bailamme di auto che arranca per trovare un posto in riva al lago in quel di Malciaussia, dove s’arresta a 1800 metri di quota la strada della Valle di Viù, la più meridionale delle tre. Il lago in questione è in realtà è un invaso neppur troppo attraente, ma tant’è. La strada in sé poi è pure insidiosa, ma al posto di porre limiti gli amministratori pensano al solito parcheggio.
È però freschissima la notizia dell’adesione del Comune di Usseglio all’iniziativa Alpi Road Bike Resort Summer 2018: strada chiusa ai motori per tre giovedì. Fumo negli occhi? Un pannicello caldo? Un segnalino incoraggiante?
Giudizio sospeso.
Nel 2007 dopo il diniego provinciale a istituire un pedaggio, introducemmo la sosta a pagamento per gli autoveicoli, che nelle domeniche di punta superano le mille unità. Era un primo tentativo per sensibilizzare i fruitori sul valore ambientale del luogo, già protetto, si fa per dire, come SIC (Sito di Interesse Comunitario). Gli introiti, tolte le spese di gestione, compensano in parte i costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti che ricadrebbero altrimenti sui proprietari di abitazioni. Ma il luogo merita ben altro. Soprattutto una maggiore vigilanza (ma chi la deve fare? Il comune non ha nemmeno un vigile…), l’eliminazione di brutture da sviluppo anni ‘70 (interramento del groviglio di linee elettriche e telefoniche e abbattimento di brutture in cemento), l’introduzione di un servizio navetta (ma a valle mancherebbero i parcheggi). Discorsi lunghi e difficili che però prima o poi andranno affrontati. Ne va del futuro di una delle perle turistiche delle Valli di Lanzo.”
Gianni Castagneri, ristoratore, ex sindaco di Balme e tuttora amministratore.
Toni Farina