Addio alle armi, la Colombia difende le sue montagne

Fra pace e guerra, Yaku opera per i magici paramos, spazi sacri per molte popolazioni, come racconta Francesca Caprini che ha collaborato con Mountain Wilderness portando a suo tempo in Marmolada lo sciamano Berito Cobaria di Francesca Caprini

La Colombia ha firmato nel novembre del 2016, dopo tre anni di trattative, gli accordi di pace fra il principale esercito guerrigliero delle FARC e il governo di Juan Manuel Santos. Oltre 300.000 morti, fra i 7 e i 10 milioni di sfollati interni e un numero imprecisato di desaparecidos sono ciò che la cosiddetta guerra sucia si lascia alle spalle in più di mezzo secolo di conflitto. Purtroppo la conflittualità nei territori rimane molto alta, con l’aumento dell’occupazione da parte di eserciti irregolari paramilitari, spesso al soldo di multinazionali senza scrupoli. Nonostante ciò, la capacità di autorganizzazione delle comunità indigene, afrodiscendenti e contadine, e le forme di resistenza non violenta volte alla difesa dell’acqua, della terra e delle risorse primarie, stanno creando un movimento importante che al grido di “paz con giustizia social y ambiental” dà speranza alla Colombia intera.

Yaku lavora in Colombia da anni, con progetti di cooperazione internazionale insieme con le comunità delle zone di conflitto nel Sud Ovest del Paese, soprattutto per la difesa, l’accesso e l’autogestione delle risorse idriche. Qui un gruppo di attivisti

Yaku lavora in Colombia da anni, con progetti di cooperazione internazionale insieme con le comunità delle zone di conflitto nel Sud Ovest del Paese, soprattutto per la difesa, l’accesso e l’autogestione delle risorse idriche. Questa primavera abbiamo svolto una lunga missione di valutazione, monitoraggio e accompagnamento. Una delle finalità – accanto all’appoggio alle organizzazioni comunitarie femminili per valorizzare il protagonismo delle donne nella costruzione della pace – è stato l’incontro con associazioni e comunità che si occupano della difesa delle montagne e nello specifico, dei paramos, quelle zone fra la linea di termine della foresta e la cima delle Ande che coprono 3.599.290 ettari di superficie montana e che rappresentano preziosissime riserve di acqua e minerali per tutta la Colombia, abbeverando almeno il 70% della sua popolazione e dando origine ad alcuni fra i principali fiumi. Ecosistemi strategici per la biodiversità, in cui vivono piante e animali di specie uniche (come i frailejones, mellocos e mashuas per la flora, e l’orso e l’aquila andini, la volpe del paramo e molti roditori e uccelli per la fauna), di cui purtroppo anche le tante multinazionali minerarie straniere che si sono accaparrate quasi il 45% del territorio colombiano si vogliono appropriare: nello specifico, dei 34 paramos di montagna, almeno 22 si trovano in grave rischio per la concessione di almeno 391 titoli a società straniere.
Durante anni di militarizzazione e di costruzione di megaprogetti appoggiati da leggi che favorivano la spogliazione dei territori e la privatizzazione dell’acqua e dei boschi (Ley Forestal, Ley de Aguas, Ley de Páramos), le comunità indigene e contadine si sono unite per costruire strategie comuni: le montagne andine ed i loro magici paramos sono infatti anche spazi sacri per molte popolazioni ancestrali, e spazi di identità che danno sostento per le attività quotidiane.
Il modello estrattivista e la promozione della politica minero-energetica voluta dagli ultimi governi colombiani ha provocato la giusta indignazione delle popolazioni locali, che appoggiate da associazioni ambientaliste colombiane ed internazionali – come Yaku – e da campagne di sensibilizzazione hanno portato negli ultimi tempi a risultati straordinari, come il referendum popolare della regione di Cajamarca contro l’estrazione di oro con lo slogan di “Agua si, oro no”, dello scorso marzo, la mobilitazione di 40.000 personas a Bucaramanga per la difesa del Paramos di Pisba, la meravigliosa battaglia del popolo U’wa per salvare dalla follia del turismo di massa la loro montagna sacra, il Cocuy.

Con lo sciamano Berito Cobaria, Mountain Wilderness ha pregato nel 2005 alla Marmolada per la salvezza dei ghiacciai di tutte le montagne del mondo.

Berito Cobaria, sciamano del popolo U’wa, ha visitato le nostre Dolomiti per due estati, intrecciando i propri canti con le parole di Mountain Wilderness e le speranze di tutti noi perché le montagne, madri delle acque, possano conservare la loro sacralità e dignità. Le battaglie ormai sono comuni, così come i nemici della vita stessa, esponenti di quel modello neoliberista che finanziarizza la natura e accaparra territori e risorse. Lotteremo insieme perché – come diceva Berito dal ghiaccio della Marmolada insieme con tutti noi – “i fiumi, i torrenti, i ruscelli, che sono le parole delle montagne, possano continuare a raggiungere la madre Mar (il mare) e raccontarle delle vicende del cielo”.
Francesca Caprini