Fuoco e cenere sul Gran Sasso d’Italia

Mountain Wilderness chiede al Presidente della Regione D’Alfonso che i fondi del Masterplan siano dirottati per la tutela concreta delle aree protette dagli incendi e dalle aggressioni di ogni tipo.

Il Gran Sasso d’Italia (Parco Nazionale da 22 anni) è stato colpito dal fuoco alimentato da persone distratte e irresponsabili che non hanno a cuore la tutela del patrimonio vegetale e faunistico, Bene Comune della Nazione ai sensi della Legge quadro sulle Aree Protette n. 394/91.
La montagna più alta ed elegante dell’intera dorsale appenninica che Mountain Wilderness candida, unitamente alle altre montagne abruzzesi, a Patrimonio del Mondo UNESCO, è stata ed è trascurata dal Ministero dell’Ambiente e dall’Ente Regione per l’assenza di progetti strategici lungimiranti per una concreta tutela, per la valorizzazione scientifica e culturale della biodiversità e per il riscatto economico delle popolazioni locali.

Foto: Gino Damiani

Il 1 agosto un incendio è stato messo in atto nel territorio di Aragno (comune de L’Aquila), ed è durato 6 giorni. Il 5 agosto un incendio di grandi proporzioni è stato causato nella prateria di Campo Imperatore (comune di Castel del Monte) da turisti intenti a cuocere carne sulla brace nelle vicinanze della strada bivio Fonte della Macina – Fonte Vetica, a poca distanza dalla tradizionale Fiera annuale degli Ovini che ha richiamato 30.000 visitatori.
L’incendio, sottovalutato dalle autorità presenti alla suddetta rassegna, si è diretto verso est e, dopo alcune ore, ha raggiunto la base ovest del Monte Siella, per proseguire in direzione sud, sulle coste del Monte San Vito, bruciando l’intera foresta di conifere (pino nero, abete, larice) messa a dimora 60 anni fa.
L’incendio è tutt’ora in corso in due località di media e alta quota. A sud, nel vallone tra il Monte Guardiola, ColleTondo e Monte San Vito (comune di Farindola) e sulla cresta sud del Monte Siella ( comune di Arsita).

Monte Siella. Foto: Gino Damiani

Si teme per la estesa faggeta indigena secolare farindolese di 4000 ettari e, in particolare, per la presenza di faggi (veri patriarchi della foresta) che hanno superato i 500 anni.
Le praterie altitudinali di Monte San Vito, Vado Siella e Monte Siella, preferite dai camosci per la ricca alimentazione, sono state trasformate in cenere. Un vasto archivio di specie floristiche e microfaunistiche è andato perduto, impoverendo il Gran Sasso, l’Abruzzo e la comunità nazionale.
Davanti a questa tragedia della natura che si poteva evitare le domande sono d’obbligo:
• perchè i pochi canadair sono arrivati con notevole ritardo? Utilizzati in tempo rapido, l’incendio sarebbe stato circoscritto nella prateria di Campo Imperatore;
• perchè gli automezzi dell’ex Corpo Forestale dello Stato non sono stati utilizzati? L’utilizzo dei fuoristrada attrezzati con le autobotti avrebbe tempestivamente bloccato la prosecuzione del fronte del fuoco;
• Perchè non è stato coinvolto l’Esercito Italiano presente in Abruzzo con uomini e mezzi adeguati per fronteggiare qualsiasi tipo di emergenza?
• Perchè non è stato chiesto aiuto alle regioni attrezzate del nord d’Italia?
• Perchè il Piano antincendio presentato dal Presidente D’Alfonso poche settimane fa non ha funzionato?

Foto: Gino Damiani

Siamo di fronte ad un crimine consumato nei confronti di un parco nazionale.
L’ignoranza delle persone e la distrazione degli enti preposti alla tutela hanno consentito l’incemnerimento di centinaia di ettari di prateria e di bosco che ospitavano milioni di specie vegetali e animali della fauna minore.
L’indifferenza delle 30.000 persone presenti a Campo Imperatore per la rassegna degli ovini preoccupa per il presente e il futuro delle nostre montagne. Quelle persone, anziché fuggire, avrebbero dovuto partecipare allo spegnimento del fuoco. In una prateria le fiamme non superano i 40 cm e pertanto è possibile e doveroso l’intervento delle singole persone, mentre in una foresta, dove le fiamme si elevano oltre i 30 mt, è indispensabile l’utilizzo dei canadair.
I montanari, veri custodi delle montagne, ci insegnano che per arginare il fuoco nella fase iniziale occorre una azione rapida.
La Regione, le Prefetture delle tre province interessate (L’Aquila, Teramo, Pescara) e l’Ente Parco devono rispondere di quanto accaduto. Non è modernità istituzionale assistere al silenzio o al rimbalzo delle responsabilità come è accaduto nella tragedia di Rigopiano. Chi ha le responsabilità su questo disastro dovrebbe dimettersi dall’incarico pubblico e non attendere i percorsi delle indagini della magistratura. La nostra contemporaneità esige la trasparenza, l’onestà intellettuale e non la negazione delle responsabilità.
L’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha l’obbligo di redigere un rapporto sull’entità dei danni inferti alla Natura Wilderness e sul valore scientifico ed economico delle specie perdute in relazione all’emergenza climatica in corso.

Foto: Gino Damiani

Siamo di fronte ad un parco nazionale impotente che non riesce ad assolvere ai suoi compiti istituzionali per scarsità di fondi, uomini e mezzi per attuare i controlli di un vasto territorio.
Siamo di fronte ad una Regione che pensa di poter bucare e sfregiare le nostre montagne per consentire agli automobilisti di accorciare di pochi minuti l’arrivo sugli altipiani. La politica per le aree protette si fa sistemando le strade esistenti che assomigliano a quelle dei paesi del terzo mondo e che non sono compatibili con la settima potenza mondiale.
Mountain Wilderness chiede al Presidente della Regione D’Alfonso che i fondi del Masterplan destinati per opere poco utili (impianti sciistici) siano dirottati per la tutela concreta delle aree protette dagli incendi e dalle aggressioni di ogni tipo. E’ l’ora del coraggio di dimostrare di voler bene alla Regione Verde d’Europa.

Il Responsabile MW per l’Abruzzo
Marano Mario Viola