Il turismo e-bike spacca le montagne: l’allarme sui sentieri di Lombardia e Trentino.
Di Corrado Zunino. Copyright: La Repubblica
Ciclovie da 110 chilometri realizzate con escavatori ed esplosivi in provincia di Sondrio, percorsi in mezzo ad animali protetti sopra il Lago di Como. E nuove funivie nel Nord-Est.
All’Alpe Devero, grazie al meticoloso lavoro del Comitato Tutela Devero, il progetto di “sistemazione e valorizzazione” di un sentiero lungo 5 km nell’aera protetta del Grande Est, è stato bloccato dal TAR.
Le iniziative si moltiplicano e fragili ecosistemi corrono rischi enormi.
La bici elettrica in montagna è moda che dura da dodici anni, quindi oggi è un fenomeno. L’e-bike, bici con pedalata elettrica assistita, un oggetto tra i 500 e i 2.000 euro, sta cambiando la cultura della mobilità nei centri urbani, ha portato marchi come Harley Davidson a scendere in questo campo lontano dalle proprie origini industriali e da tempo sta allargando le potenzialità del turismo montano, sull’arco alpino e lungo la dorsale appenninica. I contraccolpi sull’ecosistema, tuttavia, si sentono. E le proteste dei residenti più accorti, affiancati da organizzazioni ambientaliste perlopiù locali, crescono.
Lungo il Parco nazionale delle Orobie Valtellinesi, provincia di Sondrio, l’Ente di gestione guidato dal leghista Doriano Codega ha promosso la realizzazione della Ciclovia del Bitto: 110 chilometri per una nuova pista escavata in quota – 1.800 e 2.000 metri sul livello del mare – alle testate delle Valli del Bitto, di Albaredo e di Gerola. Si vuole convogliare qui, allargandolo, il turismo da e-bike, ma siamo pur dentro un parco, area protetta per definizione. Di più, si vanno a toccare le sue zone più pregiate.
Sono coinvolti sette comuni, nell’Ente Parco delle Orobie Valtellinesi, tutti favorevoli al progetto poiché convinti del ritorno economico nello sfruttamento delle vallate. L’importo complessivo per l’intervento è di 3,2 milioni di euro, il 90 per cento dei quali da spendere all’interno dell’area sotto tutela. L’ente descrive il percorso ciclopedonale in alta quota – avviato nel 2022 – “un nuovo tracciato di mobilità leggera” con una sede, percorribile nei due sensi, di 180 centimetri. La potranno affrontare, assicura, anche i mezzi monoruota – joelette – dei portatori di handicap. I documenti del Comune di Gerola alta, ricevuti dal comitato nato in difesa delle valli, dicono che la costruzione della Ciclovia del Bitto si sta realizzando, tuttavia, a turni di mini-escavatori e a colpi di esplosivo, necessario per svellere le rocce più resistenti: “Si utilizzano, quindi, gabbie di acciaio per stabilizzare il tracciato escavato”. Le prescrizioni e i vincoli imposti dal Parco per il rilascio della valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione operativa, ecco, sono stati disattesi dalle ditte incaricate dei lavori.
Per tutelare il Lago Zancone e la Val Tronella, paesaggi integri e prevalentemente rocciosi, si è formato un gruppo spontaneo di opposizione al progetto che ha avviato una raccolta firme (2.300 adesioni, ad oggi) e a metà ottobre è sceso in piazza. Il lancio della petizione su Change.org dice: “La costruzione di ciclovie in aree protette come quella del Lago Zancone rappresenta un intervento devastante per il nostro patrimonio naturalistico ed escursionistico. Questo non è solo un attacco alla bellezza naturale del territorio, ma anche una minaccia alla sua biodiversità. Le nostre montagne sono luoghi di rifugio per numerose specie di flora e fauna, molte delle quali sono già a rischio. La costruzione di infrastrutture invasive come le ciclovie può causare danni irreparabili a questi delicati ecosistemi. Crediamo fermamente nel turismo sostenibile, che rispetta la natura e valorizza l’ambiente senza alterarlo. La costruzione della ciclovia al Lago Zancone va in direzione opposta a questa visione”.
Il percorso, tra l’altro, prevede tratti con pendenze al 30 per cento che l’ex sindaco di Rasura, Maurizio Pezzini, ha definito impraticabili dopo averle provate: “Non è un bell’andare spingere una bici a mano per un’ora”. L’attivista Andrea Savonitto denuncia: “Basta un temporale per innescare ruscellamenti e dissesti favoriti, o addirittura innescati, dai nuovi tracciati”.
Nel corso del World Congress for Climate Justice di Milano, 12-15 ottobre scorsi, è nato “Ribelliamoci Alpeggio!”, giornata di mobilitazione diffusa contro progetti ritenuti nocivi e inutili in montagna. Il claim dell’Associazione proletari escursionisti di Milano diceva: “Non siamo contrari alla manutenzione dei sentieri, ma al fatto che questa avvenga con ruspe ed esplosivi che snaturano in modo irreversibile le caratteristiche ambientali e storiche di sentieri e mulattiere. La costruzione di ciclovie alpine, così come quella di nuovi impianti di risalita e di ogni opera che vuole sfruttare il territorio trasformando la montagna in un parco giochi per umani, si fonda sulla pretesa di poter arrivare ovunque e sempre, incuranti dei propri limiti”.
Un altro progetto, e un’altra contestazione, sono partiti in Valle di Rozzo e Val Sanagra, provincia di Como, Lario occidentale. Anche qui una pista “e-bike”, nel caso solo di 6,3 chilometri, dal costo di 200.000 euro. I lavori, che dovranno correre tra gli alpeggi di Nasdale e Rozzo, sono iniziati lo scorso agosto. Il Comitato di salvaguardia aveva portato il progetto al Tar, insieme alla Lipu e al Wwf Lombardia, e il 23 giugno scorso ha perso. I custodi di questa montagna non avevano le risorse economiche per proseguire la battaglia al Consiglio di Stato.
Così ha riassunto, su Facebook, il presidente Giuliano Cerrano: “Volevamo ridurre l’impatto della nuova Bike 66, larga due metri e mezzo, evitare danni irreversibili all’ambiente, al paesaggio, alla fauna, alla flora e alla stabilità idrogeologica di territori in gran parte ancora intatti. Il comitato non è mai stato contro alcuna iniziativa turistica montana, né, tanto meno, contro le piste bike. Riteniamo che iniziative di questo tipo devono essere realizzate tenendo conto dell’ambiente, della natura e della gestione che questo comporta. Nel Parco della Val Sanagra vivono animali protetti e ormai rari in tutto l’arco alpino: il gallo Forcello, la coturnice, il Francolino di Monte, l’aquila reale, il gipeto, il camoscio”.
In tutta Italia i sentieri di montagna si estendono per 160.000 chilometri, a fronte, come paragone, dei 7.000 chilometri di autostrade. Li curano seimila volontari, in gran parte legati al Cai, Club alpino. Ma servono risorse pubbliche per affiancare la manodopera spontaneista.
La Regione Friuli Venezia Giulia, altro esempio, nel 2022 tolse 100.000 euro per la manutenzione dei sentieri compromettendo interventi “a misura d’uomo” (segnaletica, decespugliature, ripristini) su diciannove sentieri inagibili tra la Carnia, la Val Canale e il Canal del Ferro. Alle richieste del mondo e-bike, invece, le amministrazioni stanno stendendo tappeti rossi.
L‘eldorado delle bici elettriche, con il suo portato di guadagno, sta scassando mulattiere impervie e livellando gli ostacoli di vie antiche, che mettevano in congiunzione la Pianura Padana con il Nord Europa. “I promotori delle ciclovie, che cannibalizzano gli antichi tracciati, sono spesso gli stessi abitanti, obnubilati da una cultura massificante”, si legge sul sito Montagna Tv. “Non sanno più riconoscere i propri luoghi. Le nuove piste sono realizzate con l’impiego sistematico di mini-escavatori. Così, in pochi istanti, la lentezza con cui pietre, muschi, terra e radici si sono incastrati perfettamente uno nell’altro, viene dissolta lasciando spazio a nuovi paesaggi davvero brutti”.
Nelle ultime quattro stagioni anche il Trentino Alto Adige ha conosciuto l’esplosione delle e-bike in montagna. Incroci pericolosi tra pedoni e ciclisti sono costati, in alcuni casi, morti. La conflittualità tra chi fa trekking e i bikers è sfociata in atti di sabotaggio, con tronchi messi di traverso sui sentieri percorsi dalle bici.
Gli incidenti in bicicletta censiti nel 2010 furono 47, dodici anni dopo ne sono stati denunciati 221, cinque volte tanto. Il passaggio delle ruote dentate allarga l’erosione dei sentieri, costringendo a un lavoro di ripristino extra i volontari del Sat, la sezione trentina del Club alpino. Pasubio, Marzola, Catinaccio, Val di Peio, Brenta, Val di Ledro, Alto Garda, Baldo, Bondone e Paganella: la Commissione sentieri del Club alpino ha certificato che in tutte le aree del Trentino i divieti vengono sistematicamente violati: “La pressione sull’ambiente è enorme, nessuno si sarebbe aspettato numeri del genere”.
La fame del bikers sta portando alla rivisitazione di antichi progetti di funivia. Sul Monte Baldo si è tornati a parlare di un progetto a scavalco tra Trentino e Veneto per collegare l’impianto della Colma di Malcesine (Verona) con quelli della Polsa-San Valentino (Trento). Per Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness, è un tentativo di trasformare il Baldo, candidato a patrimonio Unesco, in un luna park per biciclette. La presenza delle bici in montagna è ormai fenomeno vasto. Paolo Grigolli, direttore generale dell’Azienda di promozione turistica della Val di Fassa, già due anni fa disse che “la convivenza tra escursionisti e ciclisti in montagna sarà impossibile”. Si dovrà arrivare, sosteneva, a una “zonizzazione”, una divisione della montagna per aree di frequentazione, con divieti incrociati: da una parte gli amanti degli scarponi, dall’altra le ruote grasse.
La bicicletta rappresenta una fetta ormai irrinunciabile dell’industria turistica dalla primavera all’autunno: alimenta le presenze, fa girare gli impianti di risalita, sostiene il ricco commercio legato a un mezzo, comunque, non inquinante.