Archistar ad alta quota, i rifugi extralusso spaccano la montagna

Saune e idromassaggi caldi sui ghiacciai, cene gourmet, disco tra le nevi. Il boom del turismo estremo a cinque stelle cambia il volto anche al versante italiano delle Alpi. Il giro d’affari è miliardario, ma insorgono scienziati, alpinisti e ambientalisti. DI Giampaolo Visetti.
Per gentile concessione di Repubblica.it

Saune e idromassaggi caldi sui ghiacciai, a quota 3 mila. Ristoranti gourmet tra le vette, raggiungibili anche di notte con funivie illuminate, o gatti delle nevi.
Hotel a cinque stelle affacciati sulle piste da sci in aree naturali protette. Vecchi rifugi demoliti per lasciare il posto a maxi-strutture di lusso disegnate dalle nuove archistar bianche.
Party, feste, eventi, aperitivi, discoteche e fuochi d’artificio nei nuovi lounge costruiti tra neve e rocce, dove si sale anche in elicottero. Il boom del turismo estremo a cinque stelle, nato tra Canada, Giappone, Austria e Svizzera, cambia oggi il volto anche al versante italiano delle Alpi.

Il giro d’affari è miliardario, la crisi non tocca la fascia più alta del reddito, credito e contributi scorrono come torrenti in piena, la ricchezza globale preme per stare, e per investire, nella grande bellezza della nuova “funny-montagna” modello movida. Decine, tra il Monte Bianco aostano e le Dolomiti del Nordest, i resort da favola appena inaugurati o in costruzione.
Tratti in comune: servizi extra-lusso, design, panorami esclusivi e quota sempre più elevata. Da una parte imprenditori turistici, progettisti e fondi d’investimento internazionali. Dall’altra scienziati, alpinisti e ambientalisti.

Per i primi l’industria globalizzata del tempo libero non consente più nostalgie, ritardi e offerte che non soddisfano la domanda di massa. Per i secondi l’urbanizzazione definitiva dell’ambiente alpino, già stremato dal cambiamento climatico, spinge la natura al collasso. Un solo punto, fuori discussione: un limite è stato passato, non si tornerà indietro, ma occorrono subito regole diverse per rendere compatibili il business e la vita.

“Il problema – dice Giorgio Daidola, docente di analisi economica per le imprese turistiche all’università di Trento – è che ovunque ci si concentra nelle città e che monta la necessità di fuggire dal proprio ghetto, sconvolto dalle tensioni sociali. Il bisogno di pur brevi emozioni assolute, anche artificiali, è la leva del lusso in alta quota. La finanza internazionale investe su questo: ma così si inaugura l’era di un passaggio indiretto della proprietà stessa di luoghi unici, che anche sulla neve sono sempre più spesso in mani lontane e ignote”. L’effetto è spettacolare.

Appalti e progetti vanno ai migliori architetti del pianeta: a volte artefici di capolavori, altre schermo politico per semplici speculazioni. Il simbolo del fenomeno sono le Spa sui ghiacciai, le cucine stellate sulle vette, le baite trasformate in resort. Dal Tonale alla Val Senales, dall’alpe di Siusi alle Dolomiti di Cortina d’Ampezzo, è assalto alle saune costruite sui fronti glaciali in scioglimento e alle cene a base di ostriche e champagne. “E’ sempre tutto esaurito – dice Amelia Longhi, gestrice della nuova Capanna Presena, quota 2770 – Se nevica, invece di sciare si sta nel centro wellness, la sera apriamo le cabinovie del ghiacciaio ai buongustai. O garantisci questo, o la gente va altrove”.

Rifugio Gouter

 

Per gli scienziati presto in montagna non ci sarà più acqua per alimentare cannoni da neve, centri benessere, hotel e ristoranti. “Le difficoltà – dice lo storico dell’alpinismo Enrico Camanni – sono concrete. Trapiantare gli stili metropolitani oltre certe quote è anacronistico e culturalmente sbagliato. Senza uno stop finiremo per portare acqua negli idromassaggi e aragoste nelle cucine con gli elicotteri. Le Alpi ormai vivono di turismo, ma oltre i 2 mila metri, deve nessuno abita stabilmente, va scavato il confine invalicabile del rispetto della natura”.

L’altra faccia del boom è il contestato stile contemporaneo di rifugi e lounge. Addio bivacchi essenziali a capanne post-belliche: dominano vetro, acciaio, legno trattato, cemento, tecnologia spinta, design e arredi di ultima generazione. “In realtà – dice l’altoatesino Stefan Rier, nuova stella dell’architettura d’alta quota – l’impegno è ricreare una bellezza diversa, ma in armonia. Il turismo oggi chiede esclusività, ma prima di tutto il mondo intatto che ognuno ha perduto. L’ultimo lusso non a caso è l’off-line: niente auto, tivù, cellulare e connessione web. Chi sceglie di dormire a quota 3 mila, lo fa per staccare”.

 

La folla festante che d’inverno sconvolge i weekend sopra Cervinia, Madonna di Campiglio, Ortisei, Corvara, Arabba e Cortina, sembra smentirlo. Italiani, arabi, russi, i primi cinesi e i ricchi dell’ex impero sovietico, sciano sempre meno ma vogliono divertirsi, consumare e socializzare sempre di più. Alta gastronomia, Spa e vita notturna soppiantano discese ed escursioni bianche. “E’ saltato – dice Luigi Casanova di Mountain Wilderness – il concetto di libertà. Più l’offerta è di lusso e per pochi e più crescono i margini di guadagno dell’industria alpina. Ma se ovunque si può fare qualsiasi cosa, senza alcuna preparazione fisica, si paga e ci si prende ciò che non appartiene più a qualcuno capace di amare quanto ha perduto. In alta quota, colpevolmente, i montanari non ci stanno più, la loro cultura si estingue”.

Così tutti invocano una politica “capace di guardare lontano”. Sulle Alpi infatti l’incubo oggi è alimentare un elegante, esteticamente meraviglioso “turismo a termine in un prossimo deserto”. Però nessuno si ferma: sulla neve, “per non fallire”, bagno turco, Imax e foie gras si danno per scontati.