Motorizzazione e banalizzazione dell’esperienza dell’uomo in montagna

Mountain Wilderness da sempre sostiene l’opportunità di restituire valore alla barriera della fatica come  antidoto contro gli effetti malsani di un sistema che, a causa della sua crescente complessità, tende ad appiattire gli esseri umani. Di Nicola Pech

Il deterioramento del rapporto tra l’uomo e l’ambiente e la pervasività della motorizzazione sono fenomeni strettamente interconnessi. La capacità delle macchine di ridurre drasticamente i tempi di percorrenza ha permesso all’uomo di addentrarsi con relativa facilità in zone rimaste selvagge e inaccessibili per migliaia di anni. Il progresso tecnico-scientifico, iniziato con la rivoluzione industriale, ha impresso un’accelerazione violenta alla capacità dell’uomo di dominare i fenomeni naturali.

Ampie zone del pianeta sono diventate terre di conquista, il paesaggio è stato largamente modificato: fiumi, laghi e mari sono stati imbrigliati e incanalati. Deserti sono diventati giardini e foreste sono state trasformate in deserti. Intere città sono state edificate in zone ritenute inospitali per millenni.

Le montagne, sebbene inizialmente solo marginalmente toccate dalla modernità, non hanno resistito al vortice dello sviluppo e negli ultimi due secoli hanno subito quasi ovunque mutamenti radicali. Le Alpi, già largamente antropizzate, sono diventate il giardino d’Europa con strade, rifugi d’alta quota, funivie. Gli aerei hanno portato alpinisti prima e turisti poi nelle Ande e in Himalaya. Una trasformazione che non è di per sé negativa ma che lo diventa ogniqualvolta l’uomo non è in grado di governare lo strapotere della tecnologia e di porsi dei limiti etici e morali.

Nell’immaginario collettivo le montagne si sono così trasformate: da luoghi spaventosi e inospitali sono diventate prima fenomeni da studiare, poi teatro di imprese e di realizzazioni del proprio ego, per diventare infine un grande luna park. La natura, spogliata della sua inaccessibilità e dei suoi pericoli, diventa così intrattenimento.

Abbreviando le distanze, le macchine hanno facilitato il rapporto dell’uomo con la natura rendendo reale il rischio che venisse sminuita l’intensità e la qualità dell’esperienza, perdendone gran parte del significato. Il rapporto monistico uomo-natura diventa dualistico e non siamo più in grado di cogliere la connessione che ci lega indissolubilmente come parte di un tutto.

Il modo in cui l’uomo muta la proiezione della propria immagine nella natura, coglie nitidamente il cambiamento. L’alpinismo, da ascesa anche spirituale, diventa tecnicismo esasperato, nascono lo sci e la mountain bike da discesa con una forte componente atletica e acrobatica. È l’immagine del corpo che prima sale, si eleva, poi scende, inebriato dalla velocità. E, nei casi peggiori, diventa zavorra inerte, lanciata a oltre 100km orari lungo un cavo di una zipline.

Le funivie, i fuoristrada, gli elicotteri aumentano enormemente la scala di questo fenomeno. Consumiamo anche la nostra esperienza in montagna con una velocità e una voracità impressionante. Ossessionati dalla performance, rischiamo di perdere la parte più intima, profonda e creativa del nostro rapporto con la wilderness.

Già trenta anni fa i fondatori di Mountain Wilderness ci avevano messo in guardia da questa deriva e le Tesi di Biella sono una testimonianza lucida e attuale di quella intuizione. Qualcuno allora si era posto il dubbio che un atteggiamento apparentemente conservatore venisse considerato reazionario, che un freno al liberismo potesse nuocere allo sviluppo economico delle popolazioni locali.

Così non è stato, la crisi economica degli ultimi dieci anni ha smascherato l’inganno: non esiste crescita che dia un benessere diffuso senza che venga mantenuto un equilibrio tra uomo e natura e questo vale soprattutto in montagna. I disastri ambientali, lo spopolamento, l’impoverimento e l’omologazione di intere vallate sono le conseguenze indiscutibili di questo processo. La modernità urbana ha cancellato tratti millenari di culture locali e l’identità dei luoghi, diventata ora anche risorsa economica e turistica, è andata in larga parte perduta.

Questi trenta anni trascorsi dal primo convegno di Biella sono la dimostrazione che le battaglie contro l’eliski, i quad, le moto, le battaglie contro la motorizzazione in montagna, sono battaglie giuste, giuste non solo per gli alpinisti ma anche per le popolazioni di montagna.

Giuste non solo in montagna ma ovunque si perda il senso del limite, ovunque si perda il rapporto originario con la Terra. Mountain Wilderness da sempre sostiene l’opportunità di rinaturalizzare l’approccio e di restituire valore alla barriera della fatica e oggi, più che mai, questo orientamento“può rappresentare un importante antidoto contro gli effetti malsani di un sistema che, a causa della sua crescente complessità, tende ad appiattire gli esseri umani, a circoscriverne gli ambiti di responsabilità, a rendere prevedibili e pilotabili comportamenti e bisogni, a negare qualsiasi dignità all’anarchia vitale del mondo interiore”.

Nicola Pech