Il santuario copto aperto dopo cinque secoli

Da il Giornale dell’Archeologia, a cura di Laura Giuliani.

Una delle più importanti chiese rupestri copte dell’Etiopia, nella regione del Tigray, annidata su una cengia rocciosa a 35 metri dal suolo, e resa inaccessibile dal crollo parziale della parete, è stata riaperta grazie all’intervento degli alpinisti di Mountain Wilderness, Elisabetta Galli e Giorgio Mallucci, che lo scorso mese di marzo hanno scalato la falesia, non senza difficoltà, per riaprire la porta del santuario dopo cinque secoli di silenzio.

Il santuario copto del Tigray, Etiopia


I due istruttori da anni lavorano in Etiopia per insegnare alle guide locali come condurre in sicurezza i turisti a visitare le chiese rupestri sparse tra le magnifiche guglie del massiccio del Gheralta. È qui che l’italiano Luigi Cantamessa li ha messi in contatto col Prof. Hagos Gebremariam dell’università di Adigratper affrontare una sfida più impegnativa: ripristinare la via d accesso al santuario di Maryam Dengelat, abbandonato dal XVI secolo, dopo che una frana lo aveva reso irraggiungibile. Da allora solo la rocambolesca spedizione del Prof. Michael Gervers dell’università di Toronto è riuscita a entrare. Lo studioso, invitato nel 2002 dal ministro del turismo del Tigray, Ato Kebede Amare, si è fatto calare dall’alto con una corda tenuta da 16 uomini, mentre da sotto altri giovani lo facevano dondolare nel vuoto per avvicinarlo alla parete, che strapiomba per sette metri. Prima di lui si erano recati a Maryam Dengelat l’archeologo etiope Gigar Tesfaye nel 1970, e una missone dell’università di Oxford nel 1973, ma senza poter accedere alla chiesa.

Giorgio Mallucci ed Elisabetta Galli durante le operazioni di ripristino della via di accesso


Oggi Mountain Wilderness, con il sostegno del nostro Ministero degli Esteri, in particolare dell’Istituto Italiano di Cultura di Addis Abeba diretto da Francesca Amendola, ha parzialmente attrezzato la parete e posizionato una carrucola con una corda statica. Lo scorso 24 marzo, un’emozionante cerimonia alla presenza del vescovo e di una folla ammassata ai piedi della falesia, ha assistito all’ascensione di un prete che è entrato a consacrare la chiesa, per restituirla alla devozione popolare. Anche se ci vorrà del tempo prima di poter ripristinare l’accesso con gradini e cavi d’acciaio, e istruire delle guide locali. La via originale s’intuisce chiaramente: risaliva un pilastro (oggi crollato) sul lato ovest, per poi traversare a destra, come sembra dalla sequenza dei fori scavati sulla facciata sud, dove venivano conficcati i pali di legno che sostenevano le passerelle.


Il problema, già rilevato da Gervers, sarà la rimozione del guano dal pavimento, dato che per secoli gli unici frequentatori sono stati gli uccelli. In alcuni punti forma quasi un metro di spessore, che per fortuna non ha intaccato le pitture, le quali conservano i colori brillanti originali, soprattutto le figure meno esposte alla luce proveniente dalle finestrelle di legno. Lo stesso Gervers rimase stupito dalla bellezza impareggiabile del repertorio pittorico. Probabilmente a lavorarci furono artisti diversi. Spiccano per originalità e finezza di dettaglio le composizioni della parete sud dove predominano le tinte rosso e blu, come nell’Annunciazione sopra alla porta d’ingresso. Numerosi anche i santi equestri e i riferimenti al famoso monastero di Gunda Gunde nel Gheralta, base dei seguaci di Estifanos, il riformatore della chiesa copta (XV sec.), qui rappresentato insieme al suo discepolo Abakarazun.


Per Gervers non vi è dubbio che si tratti della Prima Scuola Gondar (XVII sec.), mentre più controversa è la datazione del santuario. La tradizione locale lo vorrebbe fondato nel IV secolo, all’epoca di Abba Salama (San Frumenzio), il santo che introdusse il Cristianesimo in Etiopia. È più probabile invece che risalga alla prima metà del XV secolo. Questa ipotesi è avvalorata da un manoscritto che cita una donazione di terra fatta dal re etiope Zara Yaqob (1399-1468), che potrebbe spiegarsi con la fondazione del monastero. Altri preziosi reperti che appartenevano a Maryam Dengelat sono gelosamente custoditi dai contadini locali, i quali difficilmente li mostrano. Tra questi un trittico in smalto di Limoges del XV secolo ispirato alla Passione di Albrecht Dürer e una croce d’argento del XIII secolo.
I prossimi interventi, oltre al ripristino dell’ingresso al santuario, prevedono, in accordo con le autorità locali, la realizzazione di un museo dove collocare i reperti oggi sparsi in case private.

Testo: Giulia Castelli Gattinara
Foto: archivio Galli/Mallucci